Concorsi universitari: i criteri devono essere definiti nei regolamenti degli atenei

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La Commissione può soltanto specificarli prima di conoscere i nomi dei candidati

Riferimenti normativi: art. 18, legge 20 dicembre 2010, n. 240

 

Il fatto

La vicenda trae origine dall’espletamento di una procedura concorsuale avviata da un Ateneo per un posto di professore ordinario.

Con distinti ricorsi, successivamente riuniti in quanto legati da vincoli di connessione sia soggettiva che oggettiva, due candidati non vincitori hanno impugnato gli atti della predetta procedura. In particolare con uno dei ricorsi vengono contestati, tra i vari provvedimenti, il Regolamento di Ateneo che disciplina le procedure concorsuali per professori di prima e seconda fascia e il verbale della prima seduta della Commissione giudicatrice, con cui è stata approvata la definizione dei criteri di valutazione dei candidati ammessi alla procedura.

Uno dei candidati lamenta, tra i motivi del ricorso, l’illegittimità del Regolamento per violazione dell’art. 18, comma 1, legge n. 240 del 30.12.2010 (cd. legge Gelmini) in quanto “non detterebbe le regole generali e astratte per la disciplina di tutti i concorsi dell’Ateneo ma delegherebbe, di volta in volta, alle singole commissioni di concorso, il compito di individuare le regole della loro specifica selezione”, circostanza che si è verificata nel caso in esame per avere la Commissione determinato “ad hoc” i criteri di valutazione nella prima seduta dei lavori. Il ricorrente rileva, altresì, tra i vizi di legittimità, la violazione degli artt. 3 e 97, comma 1, della Costituzione per lesione del principio di uguaglianza e imparzialità nella loro esplicazione della regola dell’anonimato nei pubblici concorsi, in quanto i criteri di valutazione dei candidati sarebbero stati determinati dalla Commissione quando alla stessa già erano noti i nominativi dei candidati e le pubblicazioni da esaminare.

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I motivi della decisione

Il Tar, nell’accogliere i motivi del ricorso, pone preliminarmente l’attenzione sulla portata dell’art. 18 della legge n. 240/2010. A parere del Collegio la norma rimette alle Università la determinazione, nell’ambito di uno specifico regolamento, la determinazione dei criteri per la valutazione delle pubblicazioni scientifiche, del curriculum e dell’attività didattica degli studiosi partecipanti alle selezioni per accedere ai posti di professore di prima e seconda fascia.

A parere del Tar la norma in questione “tende a risolvere uno dei profili di maggiore criticità delle procedure concorsuali, ossia quello della fissazione di criteri oggettivi e trasparenti di valutazione dei candidati” e quindi a “sottrarre tale incombenza alle commissioni giudicatrici affidandola – in termini generali – alla potestà regolamentare degli atenei, demandando per contro alle commissioni nominate soltanto l’attività di specificazione e dettaglio dei criteri indicati nel regolamento”.

Per il giudice la norma regolamentare contestata non è coerente con il suddetto quadro normativo in quanto prevede che la valutazione debba avvenire “sulla base dei criteri predeterminati dalla Commissione nella prima riunione e resi pubblici sul sito web dell’Ateneo per almeno cinque giorni, durante i quali la Commissione non potrà riunirsi”. La disposizione del citato Regolamento di Ateneo detta soltanto indicazioni di massima sui criteri di valutazione. Secondo il Tar tali indicazioni sono testualmente riproduttive del dettato normativo, talmente generiche e prive di contenuti immediatamente applicabili che “impongono necessariamente una successiva attività compilativa, affidata come detto alla commissione nominata, che non può ritenersi di mera specificazione e integrazione costituendo, piuttosto, un’attività di vera e propria determinazione dei criteri di valutazione”. La norma regolamentare, pertanto, di fatto affida alle singole commissioni di concorso la fissazione dei criteri di valutazione dei candidati.

Per il Collegio dai riscontri documentali emerge un ulteriore vulnus nella procedura concorsuale, in quanto la definizione dei criteri ad opera della commissione è avvenuta quando i commissari avevano già esaminato l’elenco nominativo dei candidati partecipanti alla selezione per rendere la dichiarazione di insussistenza di cause di incompatibilità o di conflitto di interesse. Il Giudice ritiene irrilevante che in tale fase la Commissione si sia limitata a consultare l’elenco degli ammessi inviato dal competente ufficio e non abbia anche esaminato le domande di concorso nelle quali sono riportati i titoli e le pubblicazioni dei candidati. Infatti, in considerazione del numero particolarmente esiguo dei partecipanti (cinque) e del ristretto bacino dei potenziali aspiranti al posto messo a concorso, tutti ampiamente conosciuti o conoscibili anche per la loro attività accademica e bibliografica, soltanto la predeterminazione dei criteri di valutazione in sede regolamentare e la “mera specificazione” degli stessi da parte della commissione, in una fase precedente all’esame dell’elenco dei candidati, avrebbe assicurato la necessaria trasparenza, scongiurando così il rischio che alcuni candidati potessero percepire un’ipotetica minaccia all’imparzialità della Commissione.

In conclusione, a parere di chi scrive, la sentenza evidenzia due considerazioni interpretative che possono orientare gli Atenei nell’eventuale riesame della disciplina regolamentare delle procedure concorsuali finalizzate al reclutamento di professori.

In primo luogo, all’esito dell’analisi del rapporto tra le fonti (legge, regolamento e bando), il Tar, discostandosi da un consolidato orientamento giurisprudenziale, che riconosce l’attività di predeterminazione dei criteri di valutazione quale espressione dell’ampia discrezionalità amministrativa di cui sono fornite le commissioni esaminatrici,[1] ritiene che le università debbano fare in modo di individuare all’interno dei regolamenti i criteri di valutazione da applicare a tutti i concorsi dell’Ateneo, “suscettibili di integrazione in relazione alle specifiche procedure concorsuali da parte degli organi dei diversi dipartimenti, liberando conseguentemente da tale incombenza la commissione giudicatrice, chiamata soltanto a darne applicazione o comunque a dettare disposizione di mera specificazione o di dettaglio”. Per il Tar, pertanto, la Commissione può soltanto applicare i criteri, eventualmente contestualizzandoli nel processo valutativo mediante un intervento – se necessario – di pura e semplice specificazione.

In secondo luogo le argomentazioni del Tar sulla violazione dei principi di trasparenza e imparzialità impongono un’attenta riflessione sull’opportunità di codificare nei regolamenti l’obbligo per la commissione di specificare o dettagliare i criteri, già individuati nel regolamento, in una fase antecedente all’esame dell’elenco dei candidati (ovviamente sempre nel caso in cui tale attività di dettaglio sia necessaria secondo le considerazioni in precedenza espresse). Nel contesto accademico l’esiguità del numero degli studiosi appartenenti ai singoli settori scientifici rende conoscibili i titoli e le pubblicazioni di cui sono in possesso i potenziali candidati. Alla luce di tale circostanza le commissioni di concorso, a garanzia dei principi di trasparenza e di imparzialità dell’azione amministrativa, devono specificare o dettagliare – ove necessario – i criteri di valutazione prima di aver preso conoscenza dei nominativi dei candidati. In tal modo si evita l’insorgenza del sospetto che l’applicazione dei criteri possa essere influenzata dalla conoscenza dei candidati e mirata a favorire o penalizzare taluno di essi e possa alterare la genuinità del risultato della selezione.[2] È auspicabile che il modus operandi suggerito dal Tar venga codificato non solo in una disposizione regolamentare, ma anche in sede di definizione delle misure di trasparenza che ogni Ateneo, al pari di ogni Pubblica Amministrazione, è tenuto ad individuare nell’apposito Piano di prevenzione della corruzione e della trasparenza da aggiornare annualmente.

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L’opera affronta la complicata casistica che ruota attorno all’utilizzo delle graduatorie concorsuali da parte dell’amministrazione. Infatti, molto spesso non c’è chiarezza nelle modalità di scorrimento e nell’ordine di chiamata, con potenziale rischio di lesione di diritti dell’aspirante dipendente pubblico.Il testo vuole essere uno strumento di supporto per l’avvocato, sia civilista che amministrativista, che si trovi ad affrontare il caso specifico del singolo vincitore di concorso, leso nei propri diritti soggettivi. Numerosissimi sono i casi in cui il privato si rivolge al professionista per conoscere i propri diritti e gli strumenti di tutela a propria disposizione, a fronte di un’azione amministrativa scorretta: il presente testo intende pertanto fornire le conoscenze necessarie all’avvocato per poter riconoscere l’illegittimità dell’operato dell’amministrazione.Con linguaggio semplice vengono affrontate le questioni giurisprudenziali maggiormente discusse e vengono fornite le chiavi di lettura del sistema che, ponendosi a cavallo tra diritto civile e diritto amministrativo, solleva molteplici perplessità.Iride Pagano, Avvocato. Laureatasi con lode all’Università degli Studi “Federico II” di Napoli, è componente del Centro Italiano di Studi Amministrativi – C.I.S.A. e collabora da diversi anni con la rivista on-line diritto.it.

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Note

[1] Cons. Stato, sez. III, 29 marzo 2019, n. 2091; Cons. Stato, sez., IV, 5 febbraio 2018, n. 705; Cons. Stato, sez. VI, 17 maggio 2017, n. 2334; Cons. Stato, sez. VI, 26 gennaio 2015, n. 330; Cons. Stato, sez. VI, 17 giugno 2014, n. 3050; Cons. Stato, sez. IV, 3 aprile 2014, n. 1596.

[2] T.A.R. Milano, Sez. III, 5 aprile 2019, n. 757; Cons. Stato, sez. VI, 13 dicembre 2017, n. 5865.

Giacomo Giuseppe Verde

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