L’autorevole pronuncia giurisprudenziale che qui si commenta era ormai attesa da tutti gli operatori del diritto che negli ultimi anni avevano visto succedersi una serie di sentenze che lasciavano inevitabilmente aperto il problema della giurisdizione nel caso di concorso del civile nel reato militare commesso dall’imputato con le stellette.
In particolare, l’ultima sentenza in ordine cronologico, era quella del 20.01.05, emessa dalla sez. I della Corte di Cassazione penale che aveva ribadito la giurisdizione del giudice speciale, ovviamente per il solo militare, nei casi di concorso dell’extraneus nel reato proprio dell’imputato appartenente alle FF.AA.
Per affrontare ordinatamente la problematica, e comprenderne i complessi risvolti applicativi si rende quindi opportuna una breve digressione storico-sistematica.
Prima dell’entrata in vigore della Costituzione, nel vigore del c.p.p. del 1930, il legislatore con l’art. 49 co.3 aveva previsto che “nel caso di connessione tra procedimenti dell’autorità giudiziaria ordinaria e di competenza dei Tribunali militari, la competenza per tutti appartiene al giudice speciale”.
Evidentemente, l’incompatibilità di un tale “dictum” con i principi della nuova Carta Costituzionale, portò la Corte di Cassazione ad invertire la prescrizione dell’art. 49 co. 3 c.p.p. statuendo viceversa, in via meramente interpretativa, che “se i procedimenti connessi appartengono alcuni alla competenza dell’Autorità giudiziaria ordinaria e altri alla competenza dei giudici speciali… è competente per tutti il giudice ordinario” ( Sez. Un. 12 maggio 1951; Sez. Un. 17 gennaio 1953; Sez. Un. 4 luglio 1953).
Successivamente, con la l. n.167 del 1956, che modificava all’art. 8 l’originario art. 264 c.p.m.p., il legislatore stabiliva una diversa disciplina per i procedimenti connessi di competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria e militare statuendo che si avesse connessione solo per:
- delitti (con ciò apparentemente escludendo la connessione tra contravvenzioni e contravvenzioni e delitti);
- commessi da più persone riunite, o anche in concorso tra loro in luoghi e tempi diversi;
- commessi in danno reciprocamente le une delle altre, ovvero per eseguire o occultare gli altri (delitti) o per conseguirne o assicurarne, al colpevole o ad altri, il profitto, il prezzo, il prodotto o l’impunità.
In tutti questi casi di connessione pertanto, la competenza era da attribuirsi all’autorità giudiziaria ordinaria, fermo restando la facoltà per la Corte di Cassazione, su ricorso del P.m., ordinario o militare, di ordinare la separazione dei procedimenti.
Nonostante l’anomalia di escludere dalla nozione rilevante di connessione ipotesi, come il concorso formale di reati o la continuazione tra reati (che normalmente ai sensi dell’art. 12 c.p.p. determinano fenomeni di connessione), tale disciplina è stata più volte giudicata conforme all’art. 103 Cost. in quanto, secondo i giudici costituzionali, fermo restando l’impossibilità di attribuire al giudice militare la cognizione su reati ordinari commessi da non appartenenti alle ff.aa., residua per il legislatore la discrezionalità di attribuire al giudice ordinario la cognizione di reati militari commessi quindi da imputati con le stellette (cfr. Corte Cost. 20 maggio 1980).
Come avevamo anticipato, l’entrata in vigore del nuovo c.p.p. del 1989, ha comportato una nuova definizione della connessione proceduralmente rilevante, avendo l’art. 13 c.p.p. richiamato espressamente l’art. 12 dello stesso codice. Pertanto da una lettura integrata delle norme si evince che viene meno l’ipotesi di connessione determinata dall’essere il reato commesso in danno reciproco o in concorso, come invece, e logicamente, ricompare la connessione dettata dall’essere i reati militari e comuni in concorso formale tra loro od in continuazione.
La novità dell’art. 13 c.p.p. è pertanto quella di prevedere la giurisdizione del giudice ordinario nelle ipotesi di connessione (e quindi anche del concorso formale di reati o della continuazione), solamente quando il reato comune è più grave di quello militare avuto riguardo ai tradizionali criteri sanciti dall’art. 16 c.p.p..
La sentenza De Marco (Cass. sez. I 23 novembre 1995) : abrogazione dell’art. 264 c.p.m.p. per effetto dell’art. 13 c.p.p.;
Una prima applicazione dei nuovi principi in materia di connessione e giurisdizione dettati dal codice Vassalli si ha nel caso “De Marco” in cui l’imputato del reato di furto militare aggravato, in concorso con un civile, viene giudicato da un tribunale militare che rigetta un’eccezione di difetto di giurisdizione, rilevando che nel caso di un reato unico (commesso in concorso tra militare e civile), ogni procedimento segue la sua naturale “strada” (si intende di giurisdizione), essendo venuto meno per effetto dell’abrogazione dell’art. 264 c.p.m.p. ogni ipotesi di connessione determinata dal concorso di persone nel reato e quindi ogni conseguente devoluzione di ambedue i procedimenti al giudice ordinario.
Il secondo orientamento : contemporanea vigenza dell’art. 264 c.p.m.p. e 13 c.p.p. ;
Questo diverso orientamento, che prende le mosse da una sentenza della Suprema Corte di Cassazione (Sez. I 20.01.05), afferma che “l’art. 13 co. 2 c.p.p. non ha affatto abrogato l’art. 264 c.p.m.p., e che la sua funzione è quella di limitare la devoluzione al giudice militare del simultaneus processus in tutti i casi di connessione prefigurati dall’art. 264 c.p.m.p……..quando il reato più grave sia quello militare” : quindi ove si tratti come nel caso “De Marco” di reato unico militare commesso in concorso tra imputato militare e civile torna ad applicarsi la regola della connessione procedimentale di cui all’art. 264 c.p.m.p. e la conseguente devoluzione del procedimento al giudice ordinario. Tuttavia, tale sentenza, afferma una parziale abrogazione dell’art. 264 c.p.m.p. nella parte in cui la norma riconosce alla Suprema Corte, su ricorso del P.M., il potere di ordinare la separazione dei procedimenti per ragioni di opportunità. Tale norma infatti, seppure come obiter dictum, è stata ritenuta incompatibile con il nuovo sistema di riparto giurisdizionale, in quanto abrogata ai sensi dell’art. 15 delle pre-leggi.
Il terzo orientamento c.d. “sentenza Cimoli”: l’irrilevanza di ogni questione pregiudiziale sull’abrogazione dell’art. 264 c.p.m.p. quando si tratti di reato unico commesso in concorso tra militare e civile;
Secondo quest’indirizzo , confermato anche dalla I^ sez. della Cassazione nel marzo del 2005, l’art. 13 comma 2 c.p.p. presuppone necessariamente, per la sua applicazione, una pluralità di reati .
Viceversa, nel caso di concorso di persone nel reato unico, come nell’analizzata vicenda De Marco un problema di connessione non potrebbe neanche logicamente porsi e quindi risulterebbe irrilevante stabilire l’efficacia abrogante o meno dell’art. 13 c.p.p. rispetto all’art. 264 c.p.m.p.; ne discenderebbe quindi, secondo questo percorso ermeneutico che in tali casi la giurisdizione del giudice ordinario anche nei confronti del militare discenderebbe direttamente dall’art. 103 Cost. posta la tassatività delle ipotesi di giurisdizione speciale.
Questa lettura eccessivamente semplice del problema è stata ampliamente criticata dalla dottrina più attenta che ha osservato come l’art. 103 co.3 Cost. abbia solo la funzione di escludere la giurisdizione speciale nei confronti di reati non militari commessi da soggetti estranei alle FF.AA., ma non imponga certamente la regola della giurisdizione ordinaria per tutte le ipotesi di connessione , posto anzi che il legislatore, con l’art. 13 c.p.p. ha preferito nella sua discrezionalità optare per un regime di separazione dei procedimenti in relazione, in particolare, alla “specializzazione” presente tra i giudici militari (ved. Corte Cost. n.204/01).
Le Sezioni Unite e l’abrogazione dell’art. 264 c.p.m.p. per l’effetto del sopravvenuto art. 13 c.p.p.;
nella loro argomentazione, per sostenere la tesi che in sostanza riprende le ragioni della sentenza “ De Marco”, le SS.UU. si riferiscono ai lavori preparatori del codice dal quale emerge la volontà di disciplinare, con il nuovo art. 13 c.p.p. “compiutamente la materia , determinando l’abrogazione dell’art. 264 c.p.m.p.”.
Anzi, si aggiunge, che il tenore letterale della rubrica (“connessione di procedimenti di competenza di giudici ordinari e speciali”), la collocazione della disposizione ed il contenuto, fanno emergere una simmetria con l’abrogato art. 49 c.p.p., poi sostituito dall’art. 264 c.p.m.p.
Il codice di rito, pertanto, secondo le Sez. Unite costituisce la sede naturale per la disciplina della connessione tra procedimenti di competenza di giudici ordinari e speciali: perciò non è pensabile, concludono i giudici, che l’art.13 abbia la funzione di integrare l’art. 264 c.p.m.p..
La tesi dell’integrazione tra le due norme qui analizzate viene ritenuta giuridicamente insostenibile per una serie di ragioni: innanzi tutto si rileva come tra i casi di connessione non vi sia coincidenza tra art. 264 c.p.m.p. e art.13 c.p.p., cosicché non può affermarsi, come fatto dalla seconda delle tesi summenzionate, che l’art. 13 c.p.p. abbia un valore “limitativo” degli effetti potenzialmente ampliativi della giurisdizione ordinaria derivante dall’applicazione dell’art. 264 c.p.m.p.; si aggiunge inoltre che una lettura “integrata” comporterebbe un operare della connessione oltre i casi delineati dall’art. 264 c.p.m.p. (si pensi al concorso formale nel reato ed al reato continuato) con un inevitabile ampliamento della sfera di giurisdizione special- militare (ove il reato comune sia meno grave di quello militare), con ciò frustrando l’intento del legislatore di favorire ove possibile la separazione dei procedimenti in ragione della composizione collegiale e specialistica dei tribunali militari.
In definitiva i giudici della Suprema Corte interpretando la “ratio” della normativa, si sono ricollegati a quanto affermato nella relazione al c.p.m.p., in cui si optava chiaramente per la specializzazione dei giudici militari affermando che ” l’attrazione nella competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria dei reati militari connessi con un reato comune è eccessivamente e irragionevolmente limitativa della giurisdizione militare”.
Concludendo quindi, potremmo dire che in tempi in cui il legislatore, in tutti i settori del diritto, e non ultimo quello processuale penale, preferisce optare per il c.d. simultaneus processus per ovvie ragioni di economia processuale, proprio nel settore del diritto processuale penale militare ha imboccato, con l’avallo della giurisprudenza, una strada in controtendenza che privilegia la specializzazione della giurisdizione : nessuno se ne abbia a male se sommessamente l’autore aggiunge che, tra i vari motivi non scritti nella sentenza, sembra aleggiare al di là di ogni argomentazione giuridica, quello di salvaguardare una “fetta” di giurisdizione dei Tribunali militari contro il progressivo svuotamento in atto dei ruoli degli uffici giudiziari militari.
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