Concorso di persone nel reato e reati associativi

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E’ ormai noto, che vi sia compatibilità tra il concorso di persone nel reato e i reati associativi. A ben voler osservare però, le questioni controverse non sono poche, specie nell’ottica della tutela della libertà personale garantita solo attraverso il rispetto dei principi fondamentali del diritto penale e nella specie del principio di tipicità insito al più generale principio di legalità. Il presente contributo, si pone l’obiettivo di evidenziare le criticità legate alla suddetta compatibilità, al fine di auspicare un ritorno alla tipicità legale, troppo spesso aggirata sotto le spoglie dell’interpretazione estensiva.

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Indice

1. Concorso necessario e concorso eventuale

Il concorso di persone nel reato rappresenta una forma di manifestazione del reato. Invero,  generalmente la fattispecie tipica di un reato può essere realizzata sia da un solo soggetto agente, che da più soggetti nel medesimo contesto d’azione (spaziale e temporale). Bisogna, però, affrontare una prima dicotomia tra ciò che è da considerarsi concorso di persone nel reato e ciò, che invece non lo è. Ci si sta riferendo alla differenza tra il concorso eventuale e il concorso necessario. In altre parole, vi sono delle fattispecie di reato che naturalisticamente e per come tipizzate dal legislatore, per configurarsi necessitano dell’apporto di più soggetti, almeno due come nel caso della rissa ex art. 588 c.p., almeno tre come nel caso dell’associazione a delinquere ex art. 416 c.p. Orbene, ogni volta che si è di fronte a simili fattispecie, parlare di concorso di persone nel reato, anche se del tipo necessario è scorretto perchè, in realtà, ciò che si realizza non è l’azione di un soggetto che concorre con l’azione di un altro soggetto nella commissione di un certo reato ma, l’unione dell’azione di un soggetto con l’azione di un altro soggetto o di più soggetti che insieme commettono quel determinato reato. Ne consegue che, nel caso del c.d. concorso necessario, in realtà, senza l’apporto di più soggetti non si può configurare quel particolare tipo di reato mentre, ogni volta che si è di fronte al c.d. concorso di persone eventuale nel reato, quest’ultimo si configura a prescindere dal numero dei soggetti coinvolti, tale per cui ha senso parlare di concorso di persone nel reato, proprio perchè è vero che l’azione di un soggetto va a concorrere con quella di un altro soggetto. Cosa diametralmente diversa, è la necessità dell’apporto di almeno due soggetti nella realizzazione di una certa fattispecie di reato che per essere tale, necessita appunto, dell’intervento di più individui sul piano fenomenico. Ci si sta riferendo a tutte quelle fattispecie di reato dove si verifica la condizione in cui vi sono più soggetti che si trovano ad interagire ma, solo uno risulta punibile in quanto l’unico a porre in essere la fattispecie tipica, si pensi alla truffa ex art. 640 c.p. In tali casi, l’apporto del soggetto ulteriore rispetto all’azione commessa dal soggetto agente non rileva dal punto di vista degli effetti penali ma, coagisce naturalmente alla realizzazione del reato.
Di seguito, si parlerà del concorso di persone di reato solo con riferimento alla fattispecie dell’art. 110 c.p. il quale lo definisce come l’ insieme di più persone che concorrono nella realizzazione di un «medesimo reato». Da tale disposizione, possono estrapolarsi diverse conclusioni. In primo luogo si può dedurre che il nostro codice penale non assorbe l’impostazione tedesca che suddivide il concorso sulla base dei ruoli effettivi ricoperti dai soggetti che hanno effettivamente agito nella realizzazione del medesimo reato (modello della differenziazione della responsabilità), prospettando, invece, il principio della pari responsabilità dei concorrenti con eventuale differenziazione in fase di commisurazione della pena. Secondariamente, l’art. 110 c.p. limita il concorso di persone nel reato alla realizzazione della medesima fattispecie e questo vuol dire che, il primo si può realizzare solo se si concorre nella realizzazione dello stesso reato per come tipizzato dal legislatore. Si necessita, quindi, di una particolare attenzione di indagine nella valutazione di ciò che è stato realizzato in relazione a ciò che il legislatore richiede per la configurazione di un certo di tipo di reato. Ne consegue che, nelle fattispecie a forma libera l’indagine sarà meno scrupolosa perchè bisognerà accertare puramente il nesso causale tra la condotta tenuta e la produzione dell’evento giuridico (reati di condotta) e dell’evento naturalistico (reati di evento), come nel caso del reato di omicidio ex art. 575 c.p. ove ciò che rileva è il cagionare la morte di un uomo mentre, nel caso delle fattispecie a forma vincolata o causalmente orientate, l’indagine sarà più scrupolosa perchè si richiede la verifica della realizzazione di quanto espressamente previsto dalla legge per la configurazione di una certa fattispecie di reato, si pensi alla truffa ex art. 640 (con artifizi e raggiri). Il dover realizzare la medesima fattispecie è un punto fermo che ci invita a riflettere anche in merito alla figura del concorso esterno, elaborata dalla giurisprudenza, con cui dalla nota pronuncia Demitry, si punisce il contributo rafforzativo di un soggetto, appunto, esterno all’associazione di stampo mafioso ( si rammenta che tale figura è stata ritenuta compatibile con la tipologia dei reati associativi in generale) che con la sua azione, sebbene non voglia aderire alla consorteria, comunque la sostiene. Se, infatti, l’art. 110 c.p. parla di medesimo reato, allora il concorrente esterno è cosa diversa dal concorrente per come disciplinato dalla legge e pertanto, in ragione del principio della riserva di legge e del divieto di analogia in malam partem, tale figura non potrebbe essere ritenuta ammissibile, anche se il fine di combattere il fenomeno della contiguità mafiosa sia degno di tutela.
Una delle problematiche che si innescano dalla disposizione dell’art. 110 c.p. e che costituisce punto nodale per il fine del presente contributo è l’assenza di ogni riferimento in relazione al grado dell’apporto materialistico o morale che il concorrente deve realizzare per dirsi tale. In altre parole, il nostro codice non fornisce, come già accennato, alcun riferimento al tipo di contributo necessario per la configurazione di una certa fattispecie di reato realizzata da più soggetti in concorso. Ebbene, risulta chiaro che per parlare di concorso nel reato vi è bisogno, in via preliminare, che via un nesso eziologico tra l’area temporale, spaziale e finalistica dell’azione criminogena posta in essere. Maggiori problemi sul punto, emergono con riferimento alle tipologie di reato frazionati o a consumazione prolungata, ove  la fattispecie viene realizzata in un contesto spazio-temporale più o meno ampio. In tali casi, potrebbe risultare difficoltoso differenziare l’azione tipica posta in essere da un primo soggetto agente, rispetto all’azione tipica di un altro soggetto agente. Pertanto, bisogna capire se si è di fronte alla realizzazione di due fattispecie separate anche se afferenti alllo stesso reato, oppure ad un caso di concorso di persone nel reato. E’ evidente che, se si parla di concorso di persone nel reato è perchè ognuno dei soggetti agenti è in grado di realizzare la fattispecie tipica anche da solo e avendo abbracciato lo schema della pari responsabilità, l’art. 110 c.p. non pone alcuna distinzione sul piano fenomenico tra i soggetti concorrenti. Ne consegue che, per poter capire cosa voglia dire realizzare un concorso di persone nel reato, si ritiene opportuno fare riferimento al criterio del medesimo reato. Orbene, ogni soggetto concorrente deve porre in essere la stessa fattispecie di reato nel medesimo contesto finalistico. Questo si traduce in una valutazione della condotta dal punto di vista giuridico e non strettamente fenomenico. Si pensi a due soggetti che decidano di realizzare un furto in abitazione e si trovino in una situazione materiale dove il primo scardina la porta, fa accesso nell’appartamento, si appropria di soldi e gioielli ed esca dall’abitazione allontanandosi dalla medesima mentre, il secondo svolgeva il classico ruolo del palo, appostato all’esterno dell’abitazione (teoria della causalità agevolatrice per la quale è sufficiente un contributo che abbia agevolato, materialmente o moralmente, la realizzazione della fattispecie tipica). Sul piano materialistico è evidente che i due soggetti abbiano svolto ruoli e abbiano commesso atti differenti ma, sul piano della fenomenologia penalistica entrambi hanno realizzato la medesima fattispecie tipica del furto in abitazione. In tal senso, infatti, devono apprezzarsi la contestualità spazio-temporale degli atti posti in essere, orientati verso lo stesso fine (unitarietà) e cioè, quello di commettere non un furto in abitazione ma, quello specifico furto in abitazione (teoria della fattispecie plurisoggetiva eventuale). L’esempio appena esposto fa riferimento a due soggetti che si accordano per commettere lo stesso reato. Invero, l’art. 110 c.p. non richiede l’elemento dell’accordo per la sua configurazione, quest’ultimo può esserci oppure no, pur ritenendosi necessario che vi sia la coscienza e la volontà di realizzare la fattispecie di reato in concorso, anche in via unilaterale (non rileva la mera connivenza a patto che il soggetto ulteriore non abbia un obbligo giuridico di impedire la condotta penalmente rilevante altrui).Tale assunto, lo si desume non solo dalla mancanza di riferimenti all’accordo nella fattispecie dell’art. 110 c.p. ma, anche, dal combinato disposto degli artt. 111, 112 e 119 c.p. ove il concorso può sussistere anche tra persone non tutte punibili e soprattutto non tutte imputabili (autore mediato).
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2. La partecipazione

Si è visto come il nostro codice penale, nel disciplinare il concorso di persone nel reato, abbracci lo schema della pari responsabilità e rifiuti, quindi, la differenziazione basata sull’effettivo contributo che ciascun soggetto ha apportato nella realizzazione della fattispecie concorsuale il quale, avrà eventualmente rilievo in sede di commisurazione della pena. Orbene, la c.d. teoria dell’accessorietà, seguita in Germania e in Francia, viene però in parte accolta con riferimento ai reati associativi. Si pensi, ad esempio, alla fattispecie dell’associazione per delinquere ex art. 416 c.p. e alla differente descrizione sia in termini di apporto fenomenico, che con riferimento alla sottoposizione a pena diversa, dei soggetti coinvolti nella realizzazione della fattispecie (suddivisione dei ruoli). In tale contesto, ci si deve chiedere chi sia e cosa realizzi il c.d. partecipe rispetto al c.d. correo, dal momento che l’orientamento giurisprudenziale prevalente ammette la configurazione del concorso di persone nel reato anche con riferimento ai reati associativi.
In via preliminare, si ribadisce il fatto che la struttura del reato associativo è cosa diversa dall’istituto del concorso che, sebbene venga riconosciuto come necessario, in realtà, a parere di chi scrive, hanno ratio e funzione diversa. Non è, infatti, sufficiente ricollegare la circostanza che ci debbano essere almeno tre soggetti come requisito minimo per potersi dire configurata la suddetta fattispecie (416 c.p.) al tipo del concorso necessario perchè, non si tratta di concorrere in un reato ma, di costituire quel particolare reato che ha natura e struttura associativa. Tanto è dimostrato dal fatto che nel caso dei reati associativi il numero dei soggetti che devono essere coinvolti è elemento costitutivo del reato. Ne consegue che, al venir meno del numero minimo dei soggetti agenti la fattispecie di reato non si configura. Infatti, il nucleo centrale dell’associazione per delinquere lo si rinviene al primo comma, dove l’art. 416 c.p. dispone che: “Quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere più delitti…”. Da tale disposizione si evince che per ritenere configurato il reato di associazione per delinquere si deve poter apprezzare la costituzione di un’associazione di almeno tre persone (requisito del numero minimo) rivolta (requisito finalistico) alla commissione di più delitti (programma non determinato). E’ solo in un secondo momento che la medesima disposizione si occupa di definire e punire diversamente i soggetti che si associano in relazione al ruolo ricoperto all’interno dell’associazione, in coerenza con il fine pubblicistico della norma che è la tutela dell’ordine pubblico in chiave preventiva (reato di pericolo). Orbene, i capi, i promotori, gli organizzatori e coloro che hanno costituito l’associazione per delinquere sono soggetti ad una pena più severa rispetto a chi vi partecipa proprio, in ragione della tutela dell’ordine pubblico in via preventiva, parametrata al grado di pericolosità che è maggiore con riferimento alla prima classe dei soggetti agenti. A fortiori, il partecipe è colui che si associa in un secondo momento rispetto a chi ha dato vita all’associazione per delinquere e pertanto ritenuto meno offensivo e quindi sottoposto ad una pena più lieve. Chiarito il discrimine tra i soggetti agenti espressamente disciplinati dalla fattispecie ex art. 416 c.p., ci si deve concentrare sul rapporto tra il partecipe e il concorrente. Si è già detto che il partecipe, nel caso che si sta affrontando ci si riferisce al partecipe dell’associazione per delinquere semplice, sia un soggetto agente che aderisce al vincolo associativo venutosi a creare necessariamente in un momento precedente per mezzo di altri soggetti, capi, organizzatori etc. Ebbene, un simile schema è rispettoso del tipo legale per come disposto. Infatti, se si analizza la fattispecie dell’art. 416 c.p. partendo dal suo nucleo centrale, si rileva che quest’ultima può essere integrata quando sia manifesta una struttura organizzativa (cfr. Cass. pen., sez. II, 27 marzo 2013, n. 16540) dedita alla commissione di più delitti, che può dirsi tale solo se vi siano almeno tre persone dedite a tale scopo, prescindendo sia dai ruoli svolti, sia dall’effettiva realizzazione di delitti. La differenziazione soggettiva, in base al momento in  cui i soggetti agenti manifestano la propria volontà di abbracciare il vincolo associativo e dunque in base al ruolo ricoperto è un segmento della fattispecie che incide non nella fase costitutiva vera e propria del reato ma, nella fase della sottoposizione a pena dei soggetti coinvolti in relazione al ruolo effettivo ricoperto. Il concorrente, invece, secondo la giurisprudenza maggioritaria che ne ammette la figura in relazione al tipo dei reati associativi è un soggetto che, sebbene aderisca al nucleo centrale della fattispecie e quindi al vincolo associativo, comunque rimane esterno alla compagine associativa perchè non aderisce a quest’ultima per un tempo indeterminato. Tale è la conclusione della giurisprudenza più recente che si è trovata a delineare il confine tra l’associazione per delinquere e la realizzazione di un concorso di persone nel reato continuato (in tale circostanza vi è stato anche il superamento dell’apparente incompatibilità tra il medesimo disegno criminoso proprio del reato continuato e il requisito dell’indeterminatezza dei delitti afferente all’associazione per delinquere, proprio sulla base dell’elemento organizzativo, ritenuto tratto comune e della durata temporale). Ma, a ben vedere, la maggiorparte delle volte, in presenza di più soggetti coinvolti il cui numero raggiunga o superi il limite quantitativo previsto per la realizzazione di un certo reato associativo, si tratta di risolvere questioni problematiche legate alla soluzione dei casi concreti, nell’ottica di individuare se vi sia il concorso di persone nel reato, anche se continuato o via sia un reato associativo. Non di compatibilità si discute allora ma, di elementi distintivi in presenza di una fenomenologia simile, quasi a ricordare il concorso apparente di norme ove si verifica, appunto, un contrasto tra più norme solo in apparenza che, si risolve con l’applicazione dell’unica norma che in realtà può essere applicata al caso di specie.

3. Conclusione

Sebbene acclarata, la compatibilità, intesa come contestualità e compresenza, tra il concorso di persone nel reato e il tipo dei reati associativi, come si è avuto modo di osservare, desta ancora non poche perplessita. A maggior ragione, se si ragiona nell’ottica dei principi fondamentali che caratterizzano il diritto penale e nella specie il diritto penale punitivo. A fronte del principio di legalità e con esso dei suoi corollari, strumentale alla tutela del diritto inviolabile della libertà personale ex art. 13 Cost., nel corso del presente contributo ci si è chiesti, retoricamente, se in relazione a certi istituti non vi sia stato un lavoro esageratamente estensivo da rasentare l’analogia la quale, come noto, è vietata quando produce effetti in malam partem. Orbene, mai come in un altro settore del diritto, nel diritto penale la lettera della legge è un comando a cui nessuno può disobbedire e tale pare, a chi scrive, siano state alcune scelte interpretative-applicative effettuate dalla giurisprudenza. Una disobbedienza, dunque, anche se effettuata per fini utilitaristici e spesso lodevoli ma, pur sempre di disobbedienza alla tipicità si tratta. E la situazione tende a precipitare quando la disobbedienza, produce, appunto conseguenze malevoli per il reo. Gli effetti penal-punitivi sono ben differenti se si è di fronte ad una fattispecie associativa o ad un concorso di persone nel reato, anche se continuato, a maggior ragione quando si assiste alla destrutturazione della fattispecie tipica. Ci si riferisce, in particolar modo, alla figura del concorso esterno il quale è figlio dell’estensione applicativa dell’art. 110 c.p. ai reati associativi. In conclusione, si auspica un ritorno alla “strutturazione” del diritto penale applicato in concreto. 

Francesca Fuscaldo

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