“Il concetto di concorso esterno è un ossimoro: o si è esterni, e allora non si è concorrenti, o si è concorrenti, e allora non si è esterni“. ( Carlo Nordio, Ministro della Giustizia, Corriere della Sera on-line del 14/07/2023). “Sul concorso esterno la giurisprudenza è consolidata“. (Alfredo Mantovano, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Repubblica on-line del 14/07/2023). “Trattandosi di interpretazione della legge e di indirizzi giurisprudenziali, è sperabile che il ministro Nordio eviti di coltivare progetti di rimodulazione ardita del concorso esterno in associazione mafiosa“. (Armando Spataro, ex magistrato, la Repubblica del 14/07/2023).
“È mai possibile che si crei un reato per chi va ai rave e poi si voglia cancellare il concorso esterno in associazione mafiosa?“. (Pietro Grasso, ex magistrato e ex Presidente del Senato della Repubblica, la Repubblica del 19/07/2023).
Durante la prime settimane di luglio si è assistito ad una caotica polifonia sulla figura del concorso esterno in associazione mafiosa. Il coro principale si è diviso tra la pretesa di intangibilità dell’istituto, a fortiori ratione in quanto la paternità dello stesso viene attribuita a Giovanni Falcone, e coloro i quali di contro lo ritengono inesistente, evanescente, fantasmatico.
Ogni banda di orchestrali necessita di una guida, cerchiamo allora di trasformare in musica la baraonda che abbiamo ascoltato sinora.
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Indice
1. Le origini: dove si scopre che ciò che è nuovo non è affatto una novità
Art. 265: “Ogni associazione di malfattori, diretta contro le persone o le proprietà, è un crimine contro la pace pubblica“.
Art. 266: “Questo crimine esiste col solo fatto dell’organizzazione delle bande o di corrispondenza fra esse ed i loro capi o comandanti, o di convenzioni tendenti a render conto, o a distribuire o dividere il prodotto dei misfatti“.
Art. 267: “Quando questo crimine non fosse stato accompagnato né susseguito da alcun altro, gli autori, i direttori dell’associazione, ed i comandanti in capo o sottocomandanti di queste bande, saranno puniti coi lavori forzati a tempo“.
Art. 268: “Saranno punite colla reclusione tutte le altre persone incaricate di un servizio qualunque in queste bande, e quelle che avranno scientemente e volontariamente somministrato alle bande o alle loro divisioni delle armi, munizioni, istromenti atti al crimine, alloggio, ritirata o luogo di unione“.
Domanda: sono stati citati quattro articoli, ma qual è la fonte di cognizione? Le disposizioni sono state tratte dal “Codice dei delitti e delle pene pel Regno D’Italia” del 1810. Esso è la traduzione ordinata da Napoleone Bonaparte del “Codice penale dell’Impero francese” del medesimo anno, l’ultimo dei codici promulgati in età napoleonica, e rimasto in vigore in Francia sino al 1994. Dal combinato disposto delle norme sopra citate emerge con chiarezza che la fattispecie astratta del reato-tipo di “contributo esterno in associazione delinquenziale” costituiva un’esigenza di politica criminale avvertita già agli albori del XIX secolo e quindi non è affatto un’invenzione o un problema peculiare del nostro tempo.
2. Cenni giurisprudenziali in materia di concorso esterno in associazione mafiosa
“In tema di associazione di stampo mafioso, assume il ruolo di corrente “esterno” colui che, pur non inserito stabilmente nella struttura organizzativa del sodalizio, fornisce tuttavia un concreto, specifico, consapevole e volontario contributo, di natura materiale o morale, sempre che questo abbia una effettiva rilevanza causale nella conservazione o nel rafforzamento delle capacità operative dell’associazione” (Corte di Cassazione, Sez. 6, n. 8674 del 24/01/2014, Imbalsamo, Rv. 258807).
“La fattispecie di “concorso esterno” in associazione di tipo mafioso non costituisce un istituto di creazione giurisprudenziale, bensì è conseguenza della generale funzione incriminatrice dell’art. 110 cod. pen., (…) qualora un soggetto (…) fornisce alla stessa (associazione, n.d.r.) un contributo (…) come condizione necessaria per la conservazione o il rafforzamento delle capacità operative dell’associazione” (Corte di Cassazione, Sez. 5, n. 2653 del 13/10/2015, Paron, Rv. 265926).
Dalle due sentenze richiamate si deduce che:
- L’attività interpretativa della Corte Suprema di Cassazione non ha svolto una funzione creativa, non essendo ravvisabile né un quid novi né un quid pluris giuridico.
- Il combinato disposto di art. 110 c.p. e art. 416 bis c.p. risulta ex se sufficiente a qualificare penalmente il fatto.
- Non sussistono difficoltà di determinazione dell’elemento soggettivo e dell’elemento oggettivo del reato; le difficoltà si addensano attorno all’accertamento del nesso eziologico.
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3. Il concorso esterno in associazione di stampo mafioso ex artt. 110 e 416 bis del codice penale
L’art. 110 c.p. è una norma generale ed è infatti inserito nel Libro primo, Dei reati in generale, Titolo IV, Del reo e della persona offesa dal reato, Capo III, Del concorso di persone nel reato, afferma:
“Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, salve le disposizioni degli articoli seguenti.“
Dall’analisi normativa della disposizione si ricava che:
- non esiste un limite massimo di partecipanti alla condotta, mentre il numero minimo degli agenti coinvolti non può essere inferiore a due;
- la condotta di ciascun agente deve essere tesa al perfezionamento del fatto tipico;
- il concorso deve manifestarsi in un contributo essenziale alla realizzazione o agevolazione del reato;
- tutti gli autori rispondono in pari misura del reato compiuto, qualora si dimostri la volontarietà di compartecipare all’esecuzione del fatto tipico.
L’art. 416 bis c.p. si trova invece nel Libro secondo, Dei delitti in particolare, Titolo V, Dei delitti contro l’ordine pubblico. La disposizione recita:
“Chiunque fa parte di un’associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la reclusione da dieci a quindici anni.
Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da dodici a diciotto anni.
L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.
Se l’associazione è armata si applica la pena della reclusione da dodici a venti anni nei casi previsti dal primo comma e da quindici a ventisei anni nei casi previsti dal secondo comma.
L’associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il conseguimento della finalità dell’associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito.
Se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti, le pene stabilite nei commi precedenti sono aumentate da un terzo alla metà.
Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego.
Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra, alla ‘ndrangheta e alle altre associazioni, comunque localmente denominate, anche straniere, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso.”
Dal testo dell’articolo si evince che:
- viene descritto un reato permanente, che perdura dall’instaurarsi del vincolo associativo mafioso;
- per metodo mafioso si intende una peculiare qualità caratterizzante l’associazione delinquenziale, tale da indurre nel terzo un evidente metus reverentialis per il fatto stesso della sua esistenza, ovvero indipendentemente dall’impiego concreto di minacce e violenze;
- in merito all’extraneus partecipe all’associazione, esso si configura quale prestatore volontario e occasionale di beni o servizi, la cui opera sia finalizzata ad una crescita quantitativa o qualitativa dell’organizzazione criminale o ad una stabilizzazione della medesima.
4. I torti e le ragioni
Da quanto sin qui esposto è possibile affermare che:
- ha ragione chi lamenta la mancata tipizzazione del fatto di reato, ciò in ossequio all’articolo 27 Cost.;
- la sola definizione giudiziaria della condotta incriminatrice reca con sé problemi dimostrativi perlomeno concernenti il rapporto di causalità;
- una nuova figura di reato non rappresenterebbe l’ennesimo caso di inflazione legislativa, altrimenti ragionamento analogo potrebbe svilupparsi con riferimento all’art. 416 bis c.p., il quale sta in un rapporto di specie a genere con l’art. 416 c.p.;
- la magistratura di legittimità ha ragione nel rivendicare la propria attività giudicante, in quanto non eccede i limiti imposti alla separazione dei poteri, bensì risponde al più generale principio del “da mihi factum dabo tibi ius“.
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Il testo è aggiornato a: D.Lgs. 75/2020 (lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione); D.L. 76/2020 (c.d. decreto semplificazioni); L. 113/2020 (Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni) e D.L. 130/2020 (c.d. decreto immigrazione). Fabio PiccioniAvvocato del Foro di Firenze, patrocinante in Cassazione; LL.B., presso University College of London; docente di diritto penale alla Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali; coordinatore e docente di master universitari; autore di pubblicazioni e monografie in materia di diritto penale e amministrativo sanzionatorio; giornalista pubblicista.
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