Linee essenziali del reato di associazione per delinquere di tipo mafioso
In base all’art. 416-bis c.p. “chiunque fa parte di un’associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la reclusione da dieci a quindici anni.
Coloro che promuovono, dirigono o autorizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da dodici a diciotto anni.
L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.
Se l’associazione è armata si applica la pena della reclusione da dodici a venti anni nei casi previsti dal primo comma e da quindici a ventisei anni nei casi previsti dal secondo comma.
L’associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il conseguimento della finalità dell’associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito.
Se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti, le pene stabilite nei commi precedenti sono aumentate da un terzo alla metà.
Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego.
Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra, alla ‘ndrangheta e alle altre associazioni, comunque localmente denominate anche straniere, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso”.
Il reato di associazione mafiosa rappresenta un’ipotesi di reato plurisoggettivo proprio, giacché l’art. 416-bis c.p. non solo richiede il necessario concorso di plurimi soggetti ai fini della sua integrazione, ma altresì prevede che tali soggetti siano tutti sottoposti a incriminazione.
Si tratta di un “reato accordo” in quanto la fattispecie risulta integrata per il solo fatto dell’associazione in sé, a prescindere dalla effettiva realizzazione dei reati per cui l’associazione si è costituita.
Ad ogni modo, affinché possa dirsi integrato il reato di associazione mafiosa è necessario che un soggetto entri a far parte in maniera stabile di una compagine organizzata al fine di attuare un programma criminoso, assumendo all’interno della stessa un certo ruolo. Questo tipo di associazione a delinquere si connota per l’utilizzo del metodo mafioso come strumento per realizzare i fini ultimi dell’associazione descritti dall’articolo 416-bis c.p..
Quanto all’elemento soggettivo, è necessario sussista il dolo specifico (che, come, noto, si compone della volontà di commettere il fatto materiale di reato e, al contempo, della volontà di raggiungere un fine ulteriore).
Il dolo specifico del reato di associazione mafiosa si connota, in particolare, (i) per la coscienza e volontà di entrare a far parte dell’associazione in maniera stabile e permanente (c.d. affectio societatis) e (ii) la coscienza e volontà di realizzare gli scopi ultimi dell’associazione mafiosa.
Sul tema: “Il patto politico mafioso di cui all’art. 416-ter: profili evolutivi“
Ammissibilità del concorso esterno in associazione mafiosa
Ci si è chiesti se vi sia possibilità di ravvisare un concorso eventuale ex art. 110 c.p. nel reato di associazione mafiosa da parte di soggetti che non siano membri stabili dell’organizzazione, i quali tuttavia forniscano un loro contributo.
Inizialmente tale possibilità era stata esclusa dalla giurisprudenza.
Si sosteneva infatti che ogni ipotesi di contributo causale all’associazione fosse assorbita già dalla fattispecie prevista dall’art. 416-bis c.p. o in altre norme incriminatrici.
A conferma di ciò si riportavano l’art. 378, comma 2, c.p. (che prevede il favoreggiamento personale avente come reato presupposto il reato di cui all’art. 416-bis c.p.), l’art. 7 d.l. n. 152/1991 (che prevedeva una circostanza aggravante per delitti punibili con pena diversa dall’ergastolo commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416- bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni), nonché l’art. 418 c.p. (assistenza agli associati).
Nessuno spazio sarebbe quindi residuato affinché l’art. 110 c.p. potesse esperire la sua funzione estensiva.
Tale impostazione è stata completamente superata dalle Sezioni Unite con sentenza del 5 ottobre 1994, che hanno affermato la configurabilità del concorso esterno nel reato di associazione mafiosa per quei soggetti che, sebbene non facciano parte del sodalizio criminoso, forniscano occasionalmente un contributo all’ente delittuoso tale da consentire all’associazione di mantenersi in vita e di poter perseguire i propri scopi.
Le Sezioni Unite del 1994 superano quindi i precedenti argomenti, innanzitutto rilevando la differenza tra il partecipe all’associazione (che fa parte dell’associazione in maniera stabile ed è mosso da affectio societatis) rispetto al concorrente eventuale (che compie occasionali condotte agevolative ed è carente di affectio societatis). La condotta dell’extraneus non può quindi in alcun modo essere sussunta nell’art. 416-bis c.p.
In ogni caso le Sezioni Unite hanno affermato che nessuna delle norme sopra citate (l’art. 378, comma 2, c.p., l’art. 7 d.l. n. 152/1991, l’art. 418 c.p.) vale a contraddire l’ammissibilità del concorso esterno in associazione mafiosa.
L’art. 378, comma 2, c.p., infatti, prevede un’aggravante per l’ipotesi di favoreggiamento del singolo associato (e non dell’associazione). Discorso analogo vale per il reato di assistenza agli associati previsto dall’art. 418 c.p. (che, appunto, attiene all’aiuto fornito ai singoli associati e non all’associazione). Tale norma, inoltre, sembra ammettere il concorso esterno in mafia laddove afferma che la fattispecie da essa incriminata si applica “al di fuori dei casi di concorso nel reato o di favoreggiamento”.
L’art. 7 D.L. n. 203/91 prevede poi un’aggravante che per operare presuppone la commissione di un altro delitto, mentre il concorso esterno si può realizzare attraverso condotte agevolative che (se non fosse ammissibile il concorso esterno) potrebbero anche non possedere un’autonoma rilevanza penale.
Una volta stabilita l’ammissibilità del concorso esterno in associazione mafiosa, la giurisprudenza si è occupata di individuarne gli elementi essenziali. Ciò, da un lato, nel tentativo di delinearne le differenze rispetto all’art. 416-bis c.p.; dall’altro, al fine di evitare un’estensione incontrollata dell’area del penalmente rilevante.
Quanto al fatto idoneo a connotare il concorso esterno in associazione mafiosa, il primo elemento consiste senz’altro nella mancanza di stabile inserimento all’interno dell’ente criminale.
In secondo luogo, occorre che la condotta contestata al concorrente esterno abbia effettivamente e oggettivamente determinato la conservazione o il rafforzamento dell’associazione mafiosa. L’accertamento del rilievo causale che la condotta del concorrente esterno ha avuto rispetto al mantenimento o rafforzamento dell’associazione mafiosa va effettuato ex post e sulla scorta dei criteri elaborati dalle Sezioni Unite n. 30328 del 10 luglio 2002.
Sul piano dell’elemento soggettivo necessario per ritenere integrato il concorso esterno in associazione mafiosa, in un primo momento si riteneva sufficiente un dolo generico (pur richiedendo l’art. 416-bis il dolo specifico dell’intraneus per ritenere integrato il reato), essendo sufficiente che il concorrente esterno agisse con la coscienza e la volontà di mantenere in vita o rafforzare l’associazione mafiosa. In particolare, il dolo del concorrente eventuale si sarebbe distinto dal dolo del concorrente necessario (i) per la mancanza dell’affectio societatis e (ii) in quanto generico e non specifico.
In un secondo momento, però, le Sezioni Unite hanno ritenuto invece necessario rilevare anche in capo al concorrente esterno un dolo di tipo specifico.
Il dolo specifico del concorrente esterno in associazione mafiosa consisterebbe, in particolare, non solo nella coscienza e volontà della propria azione come volta al mantenimento e rafforzamento dell’associazione mafiosa, ma anche nella coscienza e volontà della utilità della propria azione per la realizzazione (anche parziale) del programma criminoso (benché non manchino, si segnala, recenti sentenze che ritengono sufficiente che il soggetto sia semplicemente a conoscenza del programma criminoso, benché non ne voglia la realizzazione).
La nuova rimessione alle Sezioni Unite
Con ordinanza n. 15768 del 2019, la prima sezione penale aveva rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione di diritto in tema di associazioni di tipo mafioso: “se sia configurabile il reato di cui all’art. 416 -bis cod. pen. con riguardo a una articolazione periferica (cd. “locale”) di un sodalizio mafioso, radicata in un’area territoriale diversa da quella di operatività dell’organizzazione “madre”, anche in difetto della esteriorizzazione, nel differente territorio di insediamento, della forza intimidatrice e della relativa condizione di assoggettamento e di omertà, qualora emerga la derivazione e il collegamento della nuova struttura territoriale con l’organizzazione e i rituali del sodalizio di riferimento”.
Con provvedimento del 17 luglio 2019, il Presidente Aggiunto Carcano, ai sensi dell’art. 172 disp. att. c.p.p. (secondo il quale «nel caso previsto dall’articolo 618 del codice, il presidente della corte di cassazione può restituire alla sezione il ricorso qualora siano stati assegnati alle sezione unite altri ricorsi sulla medesima questione o il contrasto giurisprudenziale risulti superato»), ha restituito gli atti alla prima sezione per una nuova valutazione circa la effettiva sussistenza del contrasto.
Ad avviso del Presidente, «il prisma rappresentato dai variegati arresti sul tema può sostanzialmente ricondursi ad unità là dove si considera il presupposto ermeneutico comune che, anche nel caso della delocalizzazione, richiede, per poter riconoscere la natura mafiosa dell’articolazione territoriale, una capacità intimidatoria effettiva ed obiettivamente riscontrabile».
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