Prima tra tutte è la teoria dell’accessorietà che evidenzia una distinzione tra correità e partecipazione, quest’ultima intesa come mera istigazione e agevolazione. Tale teoria è di matrice tedesca e infatti nel StBG, nel capitolo dedicato alla categoria della partecipazione, si evidenzia una differenza tra il partecipante al reato e l’agevolatore.
La teoria dell’accessorietà
Questa impostazione è stata adottata sia dai sostenitori della teoria monista, sia da i fautori della tesi pluralista. Per la concezione monista, l’autore principale e il compartecipe sono due figure distinte, ma entrambe volte alla realizzazione di un’unica ipotesi di reato. Diversamente, da quanto accade nella tesi dualista, in cui l’azione del correo e del compartecipe stabiliscono delle differenze tra le due forme di concorso criminoso. Difatti, sulla base di questo assunto, i correi decidono che vogliono la realizzazione del fattispecie criminosa e pongono in essere azioni od omissioni, perché questa si realizzi; mentre i compartecipi pongono in essere un’attività marginale, agevolando un piano già esistente.
Le obiezioni a questa ultima teoria sono molteplici: innanzitutto, non è possibile distinguere le diverse figure nei reati a forma libera, in cui la fattispecie penale è individuabile solo sul piano causale senza possibilità di operare un distinguo tra il diverso apporto criminoso; nei reati a forma vincolata a formazione frazionata, in cui i soggetti possono essere al tempo stesso autori e complici; la dipendenza delle due azioni; infine, la difficoltà di spiegare il concorso dell’extraneus nel reato proprio.
È stata così pacificamente accolta la teoria monista che cristallizza la compartecipazione di tutti i soggetti, a prescindere dal loro apporto causale, “nel medesimo reato” .
Tale soluzione è stata raggiunta prima di tutto mediante un’interpretazione letterale della disposizione di legge ex art. 110 c.p., la quale evidenzia il concorso di persone come un unicum, ammettendo semmai un’ipotesi di quantificazione della pena diversa, nei casi previsti all’art. 114 c.p.
In ragione, di quanto detto, viene dunque meno la dicotomia tra la figura dell’autore e del partecipe del reato. Tanto è vero che la stessa normativa di cui all’art. 110 c.p. chiarisce che “chiunque” commette il reato è punito, con ciò stabilendo che qualunque rapporto causale venga posto in essere soggiace alla medesima imputazione.
La concezione monista è pacifica nei reati a forma libera, ma entra in crisi qualora vi siano reati a forma vincolata o con particolari elementi costitutivi. Alcuni autori hanno così ripreso la teoria dell’accessorietà dell’azione; altri hanno optato per la tipicità plurisoggettiva eventuale, con cui si ammette la combinazione dell’art. 110 c.p. con la fattispecie di parte speciale; altri ancora hanno optato per la tesi della tipicità plurisoggettiva differenziata, con cui i concorrenti avrebbero in comune il nucleo di parte generale, ma si differenzierebbero sotto il profilo psicologico; da ultima, è intervenuta la teoria associativa, che riconduce sempre l’attività alla fattispecie generale per poi assegnare un ruolo maggiore all’autore del reato.
L’evidenziazione del diverso contributo fattuale nell’ipotesi di reato, come già anticipato, è il preludio di una particolare ipotesi di concorso, quella dell’extraneus.
Tale istituto è di creazione giurisprudenziale, e infatti il diritto vivente ha elaborato questa particolare ipotesi dapprima in relazione ai reati associativi, tra cui spiccata quello mafioso.
Il concorso eventuale dell’extraneus
L’apporto causale dell’extraneus è punito dal combinato disposto dell’art. 110 e 416 bis c.p, mentre l’autore del reato è punibile unicamente ai sensi dell’art. 416 bis c.p., poiché di per sè fattispecie plurisoggettiva necessaria.
La giurisprudenza si è lungamente interrogata sul tipo di contributo causale apportato dell’extraneus. Occorre, pertanto, fare un breve excursus giurisprudenziale sulle diverse accezioni fornite dalla Suprema Corte.
Prima del 1994, anno in cui le Sezioni Unite hanno introdotto tale ipotesi, la giurisprudenza era divisa sulla sua ammissibilità, stabilendo che il soggetto estraneo contribuiva a un minimo apporto esterno alla realizzazione del reato. Con la sentenza Demitry, invece, si è sottolineata la necessità di una diversità di ruoli tra il partecipe e il compartecipe: il primo fa parte attivamente del sodalizio criminale, il secondo, invece, prende parte solo in ipotesi eccezionali con un contributo temporaneo, volto a colmare i vuoti.
Di diverso impulso è la sentenza Carnevale del 2003, la quale pur in linea con la precedente pronuncia in ordine all’ammissibilità del concorso esterno, ha rilevato l’inammissibilità di tale ipotesi solo qualora ricorrano ipotesi di straordinaria necessità, stabilendo, al contrario, che il concorso esterno esiste a prescindere da un’ipotesi di fibrillazione nella vita associativa. Secondo le Sezioni Unite, invece, il vero problema è quello di stabilire il livello di intensità o di qualità idonee a considerare il concorso dell’agente.
Nel 2005 interviene una pronuncia che chiude il cerchio, la sentenza Mannino, la quale chiarisce che il concorrente esterno è colui che prende parte al sodalizio, ma non possiede l’affectio societatis, fornendo tuttavia uno specifico e concreto apporto, così chiarendo che non basta la mera vicinanza o disponibilità per far concretamente ritenere che si sia di fronte a un concorso.
Il presente riconoscimento giurisprudenziale si è poi esteso per altre figure di reato tra cui: l’art. 416 ter, scambio politico elettorale-mafioso e l’art. 210 bis c.p. Sul punto, risulta opportuno sottolineare che il soggetto estraneo, non risponde a titolo di dolo specifico come accade per l’intraneus, bensì a titolo di dolo generico.
Il concorso esterno è stato comunque soggetto a critiche, in ordine alla possibile lesione del principio di legalità sostanziale e in particolare dei suoi collari: principio di precisione e prevedibilità.
Di un “diritto giurisprudenziale” si parla sin dagli anni ‘60, ma è solo di recente che il fenomeno della giurisprudenza normativa è stato inquadrato nell’ambito della cd. soft law. Il diritto vivente pienamente accettato nell’ordinamento civile, sortisce alcuni dubbi in ragione della sua compatibilità con il sistema penale.
In particolare, la Corte di Strasburgo si è più volte occupata della tutela che deve garantire la fattispecie penale al reo.
L’intento è quello di avvicinare le esigenze di precisione e determinatezza, riconducibili al principio di accessibility di origine sovranazionale, a quello di prevedibilità, il quale impone una interpretazione ristretta delle disposizioni penali e una formulazione precisa delle stesse, in modo da garantire una mera applicazione del diritto dal parte del giudice e una prevedibilità e conoscibilità per i consociati.
Questi assiomi sono stati impiegati nel famoso caso Contrada contro Italia, del 2015, in cui la Corte si è soffermata sul rispetto del principio di legalità di cui all’art. 7 della Convenzione, facendo riferimento al delitto di concorso esterno in associazione di stampo mafioso, di cui al combinato disposto degli artt. 110 e 416 bis c.p.
La Convenzione impone una valida base legale per ogni condanna e che per tale deve intendersi una base normativa “sufficientemente chiara”.
Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che il reato di concorso esterno in associazione di stampo mafioso contestato all’imputato Contrada fosse non sfornito di fondamento in senso giuridico, ma privo di un forte appiglio giurisprudenziale al tempo della commissione dei fatti, tanto da ritenersi non condivisibile una piena conoscibilità delle ricadute penalmente sanzionabili. Come già detto, infatti, una prima stabile definizione del concorso esterno in associazione mafiosa e registrabile nel 1994, con la sentenza Demitry.
Il concorso dell’extraneus nei reati propri
Ulteriore questione è quella del concorso dell’extraneus nei reati propri, ovvero l’ammissibilità della partecipazione di un soggetto che abbia cooperato senza necessariamente possedere delle qualità personali alla realizzazione di un reato proprio, ovvero di quei reati che possono essere posti in essere da soggetti che possiedano solo una determinata qualità.
È configurabile il concorso nel reato di bancarotta fraudolenta, da parte di chi si ritenga una persona estranea al fallimento nell’ipotesi in cui la condotta realizzata in concorso con il fallito sia tale da porre in essere l’evento e il terzo abbia agito con la consapevolezza e volontà di porre il dissesto. Ugualmente accade nell’ipotesi di bancarotta fraudolente impropria, qualora si sia cagionato il fallimento con operazione dolose, e l’extraneus abbia consapevolmente agito conscio del rischio che le suddette operazione possono ingenerare nel patrimonio dei creditori.
Analoga ipotesi è stata di recente affronta dalle Corte di Cassazione con una sentenza del 2018, in relazione alla fattispecie di abuso d’ufficio, ex art 323 c.p. Trattandosi di un’ipotesi di reato proprio, in cui i soggetti attivi possono essere: il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio. La Corte ha stabilito che ai fini della configurabilità della responsabilità dell’estraneo è indispensabile che nella collaborazione materiale, istigazione alla commissione del reato, l’intraneus risponda e si qualifichi come autore del reato proprio.
Quanto finora esposto, chiarisce che nel concorso nei reati propri, non sono richieste delle specifiche qualità soggettive del terzo, essendo necessario che l’extraneus sia a conoscenza dei presupposti soggettivi dell’intraneus.
Sul punto:”Concorso nei reati propri e nell’autoriciclaggio”
Il concorso nell’autoriciclaggio
Ancora diverso è il tema del concorso dell’extraneus nel reato di autoriciclaggio. Con una sentenza del 2018 si è stabilito che in ordine al reato di autoriciclaggio, il soggetto che non avendo concorso nel delitto presupposto non colposo, ponga in essere la condotta tipica di autoriciclaggio o contribuisca alla realizzazione del reato presupposto, risponde di riciclaggio e non di concorso nel delitto di autoriciclaggio essendo questo configurabile solo nei confronti dell’intraneus.
Il caso oggetto di studio da parte della Corte si connota per l’affidamento da parte dell’autore del reato presupposto dei proventi dell’attività, dallo stesso posta in essere, ad un terzo per l’ulteriore attività di impiego. La Corte si è allora interrogata sulla qualificazione giuridica della condotta posta in essere dal soggetto extraneus, che abbia fornito un contributo concorsuale rilevante alla condotta di autoriciclaggio posta in essere dal soggetto intraneus.
Sul punto sono intervenuti diversi orientamenti, i quali stabiliscono che l’extraneus che concorre con l’autoriciclatore risponde non di concorso nell’autoriciclaggio, ma di riciclaggio.
Un primo orientamento stabilisce che l’art. 648 bis e l’art. 648 ter.1. c.p. si trovano in una relazione di “alternatività reciproca”, con eventuale comprensione della disciplina dell’art. 648-ter.1 nell’insieme più ampio determinato dall’art. 648-bis e ter c.p, con ciò prevedendo che chi non abbia concorso alla commissione del reato presupposto, fornendo un contributo causale all’autoriciclatore, non realizzerà una fattispecie di concorso prevista ai sensi dell’ art. 117 c.p., ma una condotta di riciclaggio.
Un diverso orientamento sostiene che la fattispecie dell’autoriciclaggio sia un “reato di mano propria”, in cui il soggetto agente del reato a valle non possa essere diverso dall’autore del reato a presupposto.
Infine, sulla base di un orientamento minoritario, sia afferma che la fattispecie del reato di autoriciclaggio sia in realtà un reato proprio, e pertanto sarebbe ammissibile il concorso sulla base degli artt. 110 o 117 cod. pen. a seconda che il terzo extraneus abbia o meno consapevolezza della qualifica posseduta dall’intraneus.
Si è dunque propensi per dichiarare un’impossibilità di applicazione di un regime sanzionatorio più favorevole per chi ponga in essere un ipotesi di riciclaggio, pur se sia concorso con l’intraneus imputato del reato di autoriciclaggio.
Le due fattispecie di riciclaggio e autoriciclaggio devono essere differenziate per la loro eterogeneità, dal momento che l’autoriciclaggio si caratterizza per la presenza di un elemento di specialità per aggiunta, dato che il reimpiego non è elemento caratterizzante della fattispecie del riciclaggio.
Tale diversità si riscontra anche in relazione all’autore del reato, infatti il soggetto attivo dell’autoriciclaggio è autore anche del delitto presupposto.
La Corte pur ritenendo condivisibile la previsione di diverse risposte sanzionatorie che differenziano le posizioni concorsuali, stabilisce che non risulta opportuno una modifica della disciplina sul riciclaggio, sia in relazione al titolo di reato sia alla pena.
In conclusione, pacifico in giurisprudenza l’accoglimento dell’ipotesi del concorso dell’extraneus, il soggetto terzo per la sua condotta illecita risponderà ai sensi dell’art. 110 e della fattispecie di parte speciale, eccezion fatta per il diverso caso di autoriciclaggio per cui è punibile il solo intraneus.
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