Indice
(Riferimento normativo: Cod. pen., art. 337)
1. La questione
La Corte di Appello di Milano confermava una sentenza resa dal Tribunale di Lecco che, a sua volta, aveva condannato l’imputato alla pena, condizionalmente sospesa, di mesi otto di reclusione in ordine ai reati di cui agli artt. 337, 582 e 340 cod. pen..
Avverso il provvedimento summenzionato proponeva ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato che deduceva, con un unico motivo, vizi di motivazione in ordine alla sola ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di resistenza a pubblico ufficiale di cui all’art. 337 cod. pen..
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2. La soluzione adottata dalla Cassazione
La Suprema Corte riteneva non meritevole di accoglimento il ricorso summenzionato.
In particolare, gli Ermellini evidenziavano come dovesse essere ribadito il principio di diritto secondo cui, affinché venga integrata la fattispecie di resistenza a pubblico ufficiale, non è necessario che sia concretamente impedita la libertà di azione del pubblico ufficiale, essendo sufficiente che si usi violenza o minaccia per opporsi al compimento di un atto dell’ufficio o del servizio, indipendentemente dall’esito, positivo o negativo, di tale azione e dall’effettivo verificarsi di un ostacolo al compimento degli atti indicati (Sez. 6, n. 5459 del 08/01/2020).
È pertanto sufficiente, sempre ad avviso del Supremo Consesso, che esista unicamente una stretta connessione tra la condotta violenta e minacciosa e l’attività a valenza pubblicistica effettivamente svolta tanto da essere impedita, intralciata o compromessa, anche solo parzialmente e temporaneamente, la regolarità del compimento dell’atto di ufficio o di servizio da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio (Sez. 6, n. 5147 del 16/01/2014).
3. Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito che, affinché il delitto di resistenza a pubblico ufficiale possa ritenersi configurabile, non è necessario che sia concretamente impedita la libertà di azione del pubblico ufficiale.
Difatti, si afferma in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che, per potersi stimare sussistente la fattispecie di resistenza a pubblico ufficiale, non è necessario che sia concretamente impedita la libertà di azione del pubblico ufficiale, essendo sufficiente che vi sia solo una stretta connessione tra la condotta violenta e minacciosa e l’attività a valenza pubblicistica effettivamente svolta tanto da essere impedita, intralciata o compromessa, anche solo parzialmente e temporaneamente, la regolarità del compimento dell’atto di ufficio o di servizio da parte del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio.
E’ dunque sconsigliabile intraprendere, perlomeno alla luce di questo approdo ermeneutico, una linea difensiva che, al contrario, sostenga l’insussistenza dell’illecito penale de quo solo perché non è stata concretamente impedita la libertà di azione del pubblico ufficiale.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, dunque, non può che essere positivo.
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