Condizione del contratto e termine per l’avveramento della stessa

Se le parti hanno omesso di indicare un termine per l’avveramento della condizione, può essere ottenuta la dichiarazione giudiziale di inefficacia del contratto stesso

Se le parti appongono al contratto una condizione (sospensiva o risolutiva) senza indicare un termine per l’avveramento della stessa, può essere chiesta (ed ottenuta) la dichiarazione giudiziale di inefficacia del contratto stesso per il mancato avveramento della condizione sospensiva, o per l’avveramento della condizione risolutiva, nell’ipotesi in cui dovesse essere decorso un lasso di tempo sufficientemente lungo entro il quale l’evento contemplato dalle parti avrebbe dovuto verificarsi.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Seconda Sezione Civile, con la sentenza n. 9550 del 18.04.2018, confermando un principio di diritto che, in situazione analoga a quella affrontata dai Giudici di Legittimità, è stato di recente ripreso anche dal Tribunale di Torino, Seconda Sezione Civile, nella sentenza n. 1696 del 09.04.2021.

Indice:

La vicenda

Nel 2010 due società stipulavano un contratto preliminare di compravendita immobiliare avente ad oggetto un fabbricato con destinazione d’uso scolastica.

In occasione della stipula del contratto preliminare la società promissaria acquirente versava alla promittente venditrice la somma di € 50.000,00 a titolo di caparra confirmatoria; importo che avrebbe poi dovuto essere decurtato dal prezzo di vendita dell’immobile in caso di conclusione del contratto definitivo.

Nel contratto preliminare di compravendita le parti convenivano l’inserimento di una duplice condizione (sia sospensiva che risolutiva), in forza della quale la stipula del contratto definitivo veniva subordinata all’ottenimento del cambio di destinazione d’uso dell’immobile (da struttura scolastica a struttura di tipo sanitario ed assistenziale), ed in forza della quale veniva stabilito che il contratto preliminare avrebbe dovuto considerarsi risolto in caso di impossibilità di ottenere il predetto cambio di destinazione d’uso dell’immobile, con conseguente obbligo per la società promittente venditrice di restituire le somme incassate a titolo di caparra confirmatoria al momento della stipula del contratto preliminare.

Nel contratto veniva ulteriormente convenuto che dell’iter, sia progettuale che burocratico, per ottenere il cambio di destinazione d’uso dell’immobile compromissato avrebbe dovuto farsene carico la società promittente venditrice.

Quest’ultima avviava le pratiche per ottenere il predetto cambio di destinazione d’uso dell’immobile, che, tuttavia, nonostante il notevole lasso di tempo trascorso, non veniva concesso. Il tutto senza che fosse stato mai emanato alcun provvedimento da parte del Comune con il quale fosse stata formalmente comunicata l’impossibilità di disporre il predetto cambio di destinazione d’uso da struttura scolastica a struttura di tipo sanitaria ed assistenziale.

Decorsi otto anni dalla data della stipula del contratto preliminare senza che il cambio di destinazione d’uso dell’immobile fosse stato disposto (e dunque senza che il contratto definitivo di vendita fosse stato stipulato), la società promissaria acquirente provvedeva ad inviare alla promittente venditrice lettera raccomandata con la quale comunicava alla stessa che il contratto preliminare avrebbe dovuto considerarsi risolto in conseguenza dell’avveramento della condizione risolutiva, e con la quale diffidava la medesima società a restituire le somme versate a titolo di caparra confirmatoria al momento della sottoscrizione del preliminare.

In risposta, la promittente venditrice contestava quanto asserito dalla promissaria acquirente, rifiutandosi di restituire le somme percepite illo tempore a titolo caparra. Il tutto sul presupposto che il contratto preliminare di vendita non avrebbe potuto considerarsi risolto atteso che le parti non avevano fissato alcun termine per l’avveramento della condizione, la quale, pertanto, non avrebbe potuto considerarsi avverata.

In conseguenza di ciò, la promissaria acquirente provvedeva a notificare atto di citazione innanzi al Tribunale competente, chiedendo che venisse accertata l’intervenuta risoluzione del contratto preliminare di compravendita per avveramento della condizione apposta all’interno dello stesso (stante il decorso di un lasso di tempo congruo entro il quale l’evento dedotto nella condizione avrebbe dovuto verificarsi), nonché che la società promittente venditrice venisse condannata alla restituzione della caparra percepita al momento della stipula del contratto preliminare.

Dopo la notifica dell’atto di citazione le parti sono addivenuta ad una risoluzione bonaria della vertenza e, a seguito della sottoscrizione di apposito accordo transattivo, il relativo giudizio è stato abbandonato.

Tuttavia, le questioni giuridiche sottese alla vicenda in questione offrono degli interessanti spunti di riflessione che permettono di capire cosa accade nell’ipotesi in cui le parti dovessero apporre una condizione (sospensiva o risolutiva) all’interno di un contratto, senza però individuare un termine per l’avveramento della stessa.

Normativa di riferimento

Art. 1183 c.c. Se non è determinato il tempo in cui la prestazione deve essere eseguita, il creditore può esigerla immediatamente. Qualora tuttavia, in virtù degli usi o per la natura della prestazione ovvero per il modo o il luogo dell’esecuzione, sia necessario un termine, questo, in mancanza di accordo delle parti, è stabilito dal giudice.

Se il termine per l’adempimento è rimesso alla volontà del debitore, spetta ugualmente al giudice di stabilirlo secondo le circostanze; se è rimesso alla volontà del creditore, il termine può essere fissato su istanza del debitore che intende liberarsi”.

Art. 1353 c.c. “Le parti possono subordinare l’efficacia o la risoluzione del contratto o di un singolo patto a un avvenimento futuro e incerto”.

Art. 1359 c.c.La condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento di essa”.

Art. 1360 c.c. Gli effetti dell’avveramento della condizione retroagiscono al tempo in cui è stato concluso il contratto, salvo che, per volontà delle parti o per la natura del rapporto, gli effetti del contratto o della risoluzione debbano essere riportati a un momento diverso.

Se però la condizione risolutiva è apposta a un contratto ad esecuzione continuata o periodica, l’avveramento di essa, in mancanza di patto contrario, non ha effetto riguardo alle prestazioni già eseguite”.

Gli elementi accidentali del contratto: il termine e la condizione

Gli elementi accidentali del contratto, a differenza di quelli essenziali di cui all’art. 1325 c.c., che sono richiesti a pena di nullità (art. 1418, comma 2, c.c.), sono rimessi alla volontà delle parti e non sono necessari ai fini della validità dello stesso, rappresentando degli elementi che le parti possono decidere se inserire, o meno, all’interno del contratto.

Tuttavia, se inseriti all’interno di un contratto, gli elementi accidentali diventano parte integrante del regolamento negoziale e, a quel punto, acquisiscono la capacità di incidere sull’efficacia del contratto stesso.

Gli elementi accidentali del contratto sono: il termine, la condizione e il modo (o onere).

Il termine (di efficacia), da non confondere con il termine per l’adempimento dell’obbligazione di cui all’art. 1183 c.c. (che rappresenta il termine entro il quale l’obbligazione deve essere adempiuta, e quindi il momento a partire dal quale il credito diventa esigibile), è quell’evento futuro e certo al cui verificarsi può essere subordinata o la decorrenza degli effetti del contratto (si parlerà in questo caso di termine iniziale), ovvero la cessazione degli effetti del contratto (si parlerà in tal caso, invece, di termine finale).

Invero il termine, quale elemento accidentale del contratto, a differenza della condizione che viene compiutamente disciplinata nella parte del Codice relativa ai contratti in generale, non è oggetto di specifica regolamentazione normativa, se non indirettamente tra le norme relative ad alcuni contratti tipici.

Conseguentemente, la relativa disciplina è per lo più il frutto dei principi che sono stati elaborati sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza.

Presupposto indefettibile del termine è la certezza che l’evento dedotto all’interno dello stesso (che può essere una semplice data del calendario ovvero uno specifico evento futuro) si verificherà. Tale caratteristica rappresenta proprio il principale elemento che permette di distinguere il termine dalla condizione. Infatti, mentre con riferimento all’evento dedotto all’interno della condizione non si sa se lo stesso si verificherà o meno, il termine esclude qualsiasi forma di incertezza circa la verificazione dello stesso (con la conseguenza che, in caso di apposizione di un termine al contratto, si saprà con certezza che lo stesso inizierà a produrre i propri effetti solo a partire da una determinata data, se il termine è iniziale, ovvero che lo stesso cesserà di produrre i propri effetti a partire da una determinata data, se il termine è finale).

Nel caso di decorrenza del termine finale la cessazione degli effetti avviene con effetti ex nunc, salve ovviamente ipotesi di proroga automatica contemplate dalla legge ovvero dalle parti.

Nello specifico poi il termine può essere certus an e certus quando ovvero certus an ed incertus quando. Nel primo caso l’elemento della certezza investirà sia l’an (ovvero “se” l’evento di verificherà), sia il quando, ovvero il momento esatto in cui lo stesso si verificherà. Nel secondo caso, invece, si ha semplicemente la certezza che l’evento si verificherà in futuro, senza conoscere, tuttavia, il momento esatto di verificazione dello stesso.

La condizione, invece, a differenza del termine che, come sopra accennato, non è oggetto di specifica regolamentazione normativa, viene compiutamente disciplinata nella parte dedicata ai contratti in generale, e segnatamente dagli articoli 1353 e seguenti del Codice Civile.

L’art. 1353 c.c. prevede che le parti possono subordinare l’efficacia o la risoluzione del contratto ad un avvenimento futuro ed incerto.

Pertanto, caratteristica indefettibile della condizione è che l’evento dedotto all’interno della stessa sia futuro (quindi non deve essersi ancora verificato) ed incerto (ovvero non vi deve essere certezza se lo stesso si verificherà, o meno).

La condizione, infatti, può essere definita come quell’evento futuro ed incerto al cui verificarsi le parti subordinano o la produzione degli effetti del contratto (si parlerà in tal caso di condizione sospensiva), ovvero la risoluzione dello stesso, che cesserà di produrre i propri effetti retroattivamente (si parlerà in tal caso, invece, di condizione risolutiva).

Quanto alla retroattività degli effetti dell’avveramento della condizione, bisogna tuttavia distinguere a seconda che si sia in presenza di un contratto ad esecuzione istantanea, ovvero ad esecuzione continuata o periodica. Ai sensi di quanto previsto dall’art. 1360 c.c., infatti, nel primo caso gli effetti dell’avveramento della condizione retroagiranno al momento della conclusione del contratto (salvo ovviamente che, per volontà delle parti, o avuto riguardo alla natura del rapporto, gli effetti del contratto o della risoluzione debbano decorrere da un momento diverso). Nel caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, invece, fatta salva l’ipotesi in cui le parti dovessero convenire diversamente, gli effetti dell’avveramento della condizione risolutiva non opereranno retroattivamente, conseguentemente resteranno ferme le prestazioni eseguite in data anteriore rispetto a quella di avveramento della condizione risolutiva.

Con riferimento all’eventualità in cui il mancato avveramento della condizione dovesse dipendere da causa imputabile ad una delle parti contraenti, e segnatamente a quella che aveva un interesse contrario all’avveramento della stessa, il legislatore contempla una finzione di avveramento della condizione.

L’art. 1359 c.c., infatti, prevede che la condizione si ha per avverata nell’ipotesi in cui il mancato avveramento dipenda da causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento della stessa.

La fictio iuris contemplata dalla summenzionata disposizione discende dall’esigenza di evitare che gli effetti derivanti dal mancato avveramento della condizione possano ricadere su una delle parti contraenti, se ciò sia dipeso dalla condotta posta in essere dall’altra parte del contratto (che aveva interesse che l’evento dedotto all’interno della condizione non si verificasse).

La mancata fissazione di un termine per l’avveramento della condizione

L’apposizione di una condizione ad un contratto, atteso che (per quanto sopra chiarito) comporta come conseguenza quella di subordinare l’efficacia o la risoluzione dello stesso ad un evento futuro ed incerto, genera una situazione di incertezza con riferimento agli effetti del contratto stesso.

Tale situazione di incertezza, tuttavia, non può protrarsi troppo a lungo, né tantomeno indefinitamente.

Conseguentemente, il fattore “tempo” assume una rilevanza cruciale quando si è in presenza di contratti condizionali.

Orbene, nessun problema si pone con riferimento a quelle situazioni in cui dovessero essere le parti stesse a fissare un termine per l’avveramento della condizione. In tale circostanza, infatti, decorso il termine per l’avveramento della condizione, quest’ultima si considererà (a seconda dei casi) come avverata o definitivamente come non avverata.

Quid iuris, invece, nell’ipotesi in cui le parti, nell’apporre una condizione al contratto, non dovessero fissare un termine per l’avveramento della stessa?

Questa situazione si verifica tutt’altro che di rado. Segnatamente, specialmente in materia di compravendite immobiliari, sovente accade che le parti stipulino un contratto (definitivo) di compravendita immobiliare in cui la produzione degli effetti viene sospensivamente condizionata al rilascio del mutuo da parte di un istituto di credito, ovvero al rilascio di una concessione, di un’autorizzazione o di un cambio di destinazione d’uso da parte di un determinato Ente Pubblico. Analogamente, sovente accade che le parti stipulino un contratto preliminare di compravendita immobiliare condizionando la stipula del contratto definitivo al verificarsi di uno degli eventi sopra indicati; e ciò senza che venga indicato alcun termine per l’avveramento degli stessi.

Il rischio che sorge in ipotesi di questo tipo, però, è che si generino delle situazioni di impasse, in cui le parti del contratto rischiano di rimanere vincolate alla situazione di incertezza nascente dal contratto condizionale per un tempo potenzialmente indefinito. Il tutto con indubbio pregiudizio per la certezza dei rapporti giuridici.

Si pensi proprio al caso esposto in premessa, in cui le parti sono rimaste “bloccate” per oltre otto anni in una situazione di incertezza nascente proprio dall’aver apposto una duplice condizione al contratto preliminare, senza tuttavia fissare un termine per l’avveramento dell’evento dedotto all’interno della stessa.

Nella vicenda in esame, infatti, la mancata concessione del cambio di destinazione d’uso dell’immobile da parte del Comune, per un verso, non consentiva alle parti di stipulare il contratto definitivo di compravendita (la cui conclusione era stata condizionata al rilascio del predetto cambio di destinazione d’uso), mentre, per altro verso, impediva alle parti di considerare risolto il preliminare di compravendita (atteso che la risoluzione dello stesso era stata condizionata esclusivamente all’impossibilità di ottenere il cambio di destinazione d’uso. Circostanza, quest’ultima, mai sancita formalmente da un provvedimento dell’autorità competente).

Orbene, in ipotesi di mancata fissazione di un termine per l’avveramento della condizione la giurisprudenza più risalente tendeva a ritenere che le parti rimanessero vincolate all’incertezza per un tempo indefinito.

Successivamente la Cassazione ha invece mutato il proprio orientamento, offrendo delle soluzioni (entrambe giudiziali) che sono finalizzate proprio a scongiurare i rischi paventati sopra.

Un primo rimedio è rappresentato dalla possibilità di chiedere al giudice la fissazione di un termine per l’avveramento della condizione.

Tale soluzione consiste in un’applicazione analogica della disciplina contenuta all’interno dell’art. 1183 c.c., relativa all’ipotesi di mancata fissazione, ad opera delle parti, di un termine per l’adempimento della prestazione.

In tal caso la parte che ha interesse a far accertare l’avveramento della condizione, ovvero il mancato avveramento della stessa (a seconda che si tratti rispettivamente di condizione risolutiva o sospensiva), potrà adire il giudice competente, e chiedere che lo stesso fissi un termine entro il quale dovrà avverarsi l’evento dedotto all’interno della condizione. A quel punto, se entro il termine fissato dal giudice l’evento dovesse verificarsi, allora la condizione si considererà avverata, viceversa nel caso contrario.

Il secondo rimedio, invece, consiste nella possibilità (per la parte che vi ha interesse) di agire in giudizio per ottenere direttamente la declaratoria di inefficacia del contratto, senza necessità di richiedere al giudice la preventiva fissazione di un termine per l’avveramento della condizione.

La dichiarazione di inefficacia del contratto: il principio di diritto elaborato dalla Cassazione

Nell’ipotesi in cui dovesse essere decorso un lasso di tempo sufficientemente lungo entro il quale l’evento dedotto all’interno della condizione avrebbe dovuto verificarsi, la parte che vi ha interesse potrà chiedere, ed ottenere, la declaratoria giudiziale di inefficacia del contratto, senza necessità di richiedere preventivamente al giudice la fissazione di un termine per l’avveramento della stessa.

Questo è quanto chiarito dalla Corte di Cassazione, Seconda Sezione Civile, con la sentenza n. 22888 del 08.10.2013, e con la sentenza n. 9550 del 18.04.2018.

La Suprema Corte, infatti, nelle sopra richiamate sentenze ha precisato che “nel caso in cui le parti abbiano condizionato l’efficacia o la risoluzione di un contratto al verificarsi di un evento senza indicare il termine entro il quale questo può utilmente avverarsi, può essere ottenuta la dichiarazione giudiziale di inefficacia del contratto stesso per il mancato avveramento della condizione sospensiva (o per l’avveramento della condizione risolutiva) senza che ricorra l’esigenza della previa fissazione di un termine da parte del giudice, ai sensi dell’art. 1183 c.c., quando lo stesso giudice ritenga essere trascorso un lasso di tempo congruo entro il quale l’evento previsto dalle parti si sarebbe dovuto verificare”.

Presupposto indefettibile per ottenere la summenzionata declaratoria di inefficacia del contratto è che sia decorso un lasso di tempo sufficientemente lungo entro il quale l’evento avrebbe dovuto verificarsi.

Tale accertamento costituisce un giudizio di mero fatto che è rimesso alla valutazione del giudice di merito, che deve effettuarlo avendo riguardo alle specifiche circostanze del caso concreto, ed è insindacabile in sede di legittimità (salva ovviamente l’ipotesi di omesso esame di un fatto storico decisivo e controverso).

La ratio sottesa al superiore principio di diritto elaborato dalla Corte è abbastanza evidente, ovvero quella di evitare che la situazione di incertezza derivante dalla mancata fissazione di un termine per l’avveramento della condizione possa protrarsi indefinitamente.

Infatti, una diversa interpretazione, nel senso di attendere la prova della irrealizzabilità dell’evento dedotto in condizione, ovvero di chiedere la preventiva fissazione di un termine da parte del giudice nonostante il lungo intervallo di tempo già trascorso dalla data della conclusione del contratto, non consentirebbe di valorizzare l’incidenza della condizione rispetto alla causa concreta del contratto.

La soluzione elaborata dalla Giurisprudenza è abbastanza simile a quella contemplata dal legislatore all’interno dell’art. 1359 c.c., in tema di finzione di avveramento della condizione (già analizzata sopra).

Anche nell’ipotesi contemplata dalla Giurisprudenza, infatti, opera una fictio iuris di avveramento della condizione. La differenza risiede nel fatto che, mentre nella situazione contemplata dall’art. 1359 c.c. la finzione di avveramento della condizione consegue alla condotta della parte che aveva interesse contrario all’avveramento della stessa (e che con il proprio comportamento ha impedito che si verificasse), nella situazione cui si riferisce il principio di diritto elaborato dalla Cassazione, la finzione di avveramento della condizione consegue al decorso di un ingente lasso di tempo.

Di recente il superiore principio di diritto è stato ripreso anche dalla Giurisprudenza di Merito, e segnatamente dal Tribunale Torino sez. II, nella sentenza n. 1696 del 09.04.2021, a conferma del fatto che si tratta di un principio ormai consolidato all’interno sia della Giurisprudenza di Merito che della Giurisprudenza di Legittimità.

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Colombo Claudio

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