Il caso
Tizio ricorre per la cassazione della sentenza del Tribunale di Belluno avvalendosi di un solo motivo.
Il ricorrente deduce che un cervo adulto, mentre, il 25 agosto 2013, alle 21.30, in condizioni di scarsa visibilità per il buio, la nebbia e la pioggia, percorreva con la propria autovettura, la strada comunale n. 51, facendo irruzione sulla sua carreggiata, investiva l’auto, provocando ingenti danni, consistenti nella distruzione di tutta la parte anteriore con scoppio dei due airbag.
Il Tribunale di Belluno, dinanzi al quale l’odierno ricorrente aveva citato la Regione Veneto, per ottenerne in via principale la condanna al risarcimento dei danni ai sensi degli artt. 2052 o 2043 c.c., rigettava la domanda e lo condannava al pagamento delle spese di lite.
La Corte d’Appello di Venezia, investita del gravame, dichiarava inammissibile l’appello ex artt. 348 bis e 348 ter co. 1 c.p.c. e condannava l’appellante, odierno ricorrente, al pagamento delle spese processuali.
Il motivo di ricorso
Il ricorrente censura la sentenza di primo grado per violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 2043 c.c. sostenendo che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che egli non avesse assolto l’onere di provare il comportamento colposo della Regione Veneto, ai sensi dell’art. 2043 c.c., perché, premesso che sulla Regione, ai sensi dell’art. 1 della L 11/02/1992, n. 157, gravava l’obbligo di predisporre tutte le misure idonee ad evitare che gli animali selvatici arrecassero danni a persone o a cose, egli avrebbe indicato il contenuto specifico degli adempimenti che la Regione Veneto avrebbe potuto porre in essere in considerazione della frequenza di incidenti di analoga natura verificatisi nella zona. Pertanto, in applicazione della giurisprudenza della giurisprudenza di legittimità (ed in particolare della sentenza n. 27673/2008, quanto all’onere della prova del fatto omissivo e della sentenza n. 9276/2014, quanto alla prova del nesso di causa) la conclusione del ricorrente è che il giudice si sia pronunciato in violazione dell’art. 2043 c.c.
La sentenza impugnata avrebbe erroneamente ritenuto, inoltre, che l’apposizione di un cartello di pericolo a 450 metri dal luogo teatro dell’incidente fosse misura sufficiente ed idonea per escludere una responsabilità colposa della Regione, non ravvisandosi un obbligo generalizzato di recinzione di tutti i perimetro boschivi a suo carico. Il ricorrente contesta tali conclusioni, perché in una zona, come quella in cui si era verificato l’impatto, ove il numero di incidenti era così elevato, la predisposizione di una segnaletica di pericolo non avrebbe dovuto essere considerata misura idonea.
La decisione della Corte
La Suprema Corte, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato il ricorso sulla base delle seguenti considerazioni.
Come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità gli animali vaganti non hanno mai avuto né un proprietario né un utilizzatore e, pertanto, il danneggiato da un loro comportamento non può invocare l’art. 2052 c.c. bensì utilizzare l’art. 2043 c.c., dimostrando una condotta colposa ascrivile al soggetto preposto alla cattura ed alla custodia di essi.
La Corte precisa, altresì, che, nel caso di specie, l’incidente occorso non si è verificato per causa di un animale randagio bensì per l’improvvisa invasione della corsia di marcia da parte di un cinghiale che, ai sensi della L. n.157 del 1992, appartiene al patrimonio indisponibile dello Stato, il cui controllo spetta alle Regioni, alla quale la medesima legge assegna espressamente compiti di organizzazione del relativo controllo.
La giurisprudenza della Corte (contrariamente al parere di una parte della dottrina che invoca il regime di responsabilità di cui all’art. 2052 c.c. avendo l’ordinamento individuato tanto un patrimonio, lo Stato, quanto un controllore, la Regione) riconduce anche questa ipotesi all’art. 2043 c.c.
La fauna selvatica, infatti, è tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale, posto che si tratta di espressione di una politica di sostegno dell’equilibrio ecologico che di per sé non impone alla pubblica amministrazione l’obbligo di attuare generali misure di protezione e di sorveglianza, fatti salvi i pericoli intercettati e segnalati in concreto e non adeguatamente considerati. Anche la Corte Costituzionale, interpellata in merito, ha escluso la sussistenza di una irragionevole disparità di trattamento tra il privato, proprietario di un animale domestico e la Pubblica Amministrazione, nel cui patrimonio sono ricompresi anche gli animali selvatici, sotto il profilo che gli eventuali pregiudizi, provocati da “animali che soddisfano il godimento della intera collettività, costituiscono un evento puramente naturale di cui la comunità intera deve farsi carico, secondo il regime ordinario e solidaristico di imputazione della responsabilità civile, ex art. 2043 c.c.” (Cass. 27/02/2019, n. 5722).
La Suprema Corte sottolinea, inoltre, che non è possibile riconoscere una responsabilità ex art. 2043 c.c. semplicemente sulla base della individuazione dell’ente cui la normativa affida in generale il compito di tutela della suddetta fauna occorrendo la puntuale allegazione, o quantomeno la specifica indicazione, il cui onere spetta all’attore danneggiato in base alle regole generali, di una condotta omissiva efficiente sul piano della presumibile sua ricollegabilità al danno ricevuto.
Sulla base delle predette considerazioni, quindi, il Tribunale ha esattamente individuato la premessa in iure del suo ragionamento e non è incorso nel vizio imputatogli dal ricorrente quando, con una motivazione con essa collimante, ha ritenuto che il ricorrente non avesse soddisfatto l’onere probatorio di cui era gravato.
Il tipo di comportamento esigibile volta per volta e in concreto da parte della Regione, sì da dedurne la eventuale responsabilità sulla base dello scarto tra la condotta concreta e la condotta esigibile – quest’ultima individuata secondo i criteri della prevedibilità e della evitabilità e della mancata adozione di tutte le precauzioni idonee a mantenere entro l’alea normale il rischio connaturato al fenomeno dell’attraversamento stradale da parte della fauna selvatica – deve essere valutato secondo criteri di ragionevole esigibilità, tenendo conto che per imputare a titolo di colpa un evento dannoso non basta che esso sia prevedibile – rappresenta, infatti, un fenomeno del tutto naturale che animali selvatici possano attraversare le strade – ma occorre anche che esso sia evitabile in quel determinato momento ed in quella particolare situazione con uno sforzo proporzionato alle capacità dell’agente.
Ebbene, nel caso di specie, ricordato che la valutazione circa la sussistenza o meno di comportamenti colposi rilevanti ai sensi dell’art. 2043 c.c. è un compito rimesso al giudice di merito e che il relativo esito è sindacabile in sede di legittimità solo in presenza di corretta motivazione (Cass. 06/03/2019, n. 6446), il ricorrente non ha provato che nel caso di specie caratterizzato, per sua stessa ammissione, da scarsa visibilità a causa del buio, della pioggia e della nebbia, non fosse sufficiente quale misura atta a prevenire il danno occorsogli il cartello di pericolo che la Regione aveva apposto in prossimità del teatro dell’incidente.
Proprio le condizioni di tempo e di luogo indicate dal ricorrente in aggiunta alla segnalazione di pericolo di attraversamento di animali selvatici avrebbero dovuto indurre la vittima ad adottare alla guida dell’auto un comportamento particolarmente prudente sufficiente, secondo un criterio di ragionevolezza, ad evitare l’impatto con l’animale.
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