Le spese anticipate per il recupero dei contributi del condomino moroso non possono essere addebitate integralmente allo stesso.
In linea generale, le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, nonché quelle per la prestazione dei servizi devono essere sostenute dai condòmini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione (art. 1123, I co., Cc).
Da ciò si desume che, anche le spese necessarie al recupero delle quote condominiali in danno dei condòmini morosi – si pensi ad esempio a quelle relative alla prestazione professionale dell’avvocato ovvero al contributo unificato e alle marche da bollo necessarie per avviare la procedura giudiziaria – debbono essere ripartite in via provvisoria tra tutti i condòmini, in relazione ai rispettivi millesimi di proprietà.
Ciò posto, la delibera assembleare che addebita le spese anticipate per il recupero dei contributi interamente a carico del condomino moroso, si appalesa evidentemente nulla, siccome “è contrario ad ogni principio generale del sistema normativo italiano e, in ogni caso, ai principi che governano i rapporti all’interno di un condominio che le spese affrontate per il recupero dei contributi dovuti dal condomino moroso siano posti interamente a carico del medesimo”.
Tanto ha stabilito la Corte di Cassazione, II Sez. Civile, con la sentenza n. 27509, pubblicata in data 30.12.2016, con la quale è stato accolto il ricorso di un condomino per la dichiarazione di nullità della delibera assembleare che, illegittimamente, imputava allo stesso tutte le spese necessarie al recupero del credito in suo danno.
Ed invero, succedeva che l’assemblea di condominio con la delibera di approvazione del consuntivo, addebitava ad un solo condomino, sotto la “voce spese personali e rimborso”, quasi tutte le spese legali anticipate dall’amministratore per il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ancora pendente, instauratosi tra il condominio e il medesimo condomino.
Impugnata la delibera, il condominio si difendeva deducendo di aver provveduto a stornare le somme contestate, con apposita variazione di bilancio e che, conseguentemente, doveva essere dichiarata cessata la materia del contendere.
In primo grado la domanda veniva rigettata ma la Corte d’Appello di Roma, successivamente adita dal condomino, preso atto della parziale cessazione della materia del contendere in ordine all’impugnazione della delibera assembleare, rigettava la domanda di annullamento e, in parziale accoglimento dell’appello, condannava il condominio al rimborso, in favore del condomino, del 50% delle spese processuali dallo stesso sostenute, con compensazione della residuale parte.
Ricorre per cassazione il condomino, evidentemente non soddisfatto della parziale riforma della sentenza, evidenziando l’errore in cui sarebbe incorso il giudice di merito nel non avere annullato la delibera impugnata, indipendentemente dallo storno delle somme originariamente addebitate.
Premette la Suprema Corte che la “pronuncia di cessazione della materia del contendere postula che sopravvengano nel corso del giudizio fatti tali da determinare la totale eliminazione delle ragioni di contrasto tra le parti, e, con ciò, il venir meno dell’interesse ad agire ed a contraddire e della conseguente necessità di una pronuncia del giudice sull’oggetto della controversia”, conseguentemente, “è necessario che la situazione sopravvenuta soddisfi in modo pieno ed irretrattabile il diritto esercitato, in modo che non residui alcuna utilità alla pronuncia di merito (vedi Cass. n. 10553 del 2009)”.
Nel caso sottoposto all’attenzione della stessa era invece emerso che lo storno relativo alla “voce spese personali e rimborso”, era stato solo parziale, pertanto, tecnicamente non poteva parlarsi di cessazione della materia del contendere ma, piuttosto, di un mutamento dell’oggetto della domanda (“petitum”), motivo per cui le ragioni che avevano indotto il condomino a chiedere la nullità della delibera risultavano ancora presenti.
Nel merito della pretesa, la Corte di Cassazione rileva come “la riduzione ad opera del condominio della somma dovuta a seguito dell’opposizione a decreto ingiuntivo non fa altro che dimostrare la fondatezza dell’opposizione. E, comunque, è contrario ad ogni principio generale del sistema normativo italiano e, in ogni caso, ai principi che governano i rapporti all’interno di un condominio che le spese affrontate per il recupero dei contributi dovuti dal condomino moroso siano posti interamente a carico del medesimo”, di talché il condominio con l’addebito di somme non dovute avrebbe abusato dei suoi poteri.
La Corte, pertanto, accoglie il ricorso e dichiara la nullità della delibera impugnata, con condanna del condominio alla refusione delle spese di tutti e tre i gradi di giudizio in favore del condomino ricorrente.
L’anzidetto principio, ovviamente, risulta applicabile fino a quando non intervenga una pronuncia giudiziale che addebiti interamente le eventuali spese di giudizio alla parte soccombente che, conseguentemente, si dovrà fare interamente carico dei relativi costi.
Fermo restando che “in tema di condominio negli edifici, è invalida la deliberazione dell’assemblea che, all’esito di un giudizio che abbia visto contrapposti il condominio ed un singolo condomino, disponga anche a carico di quest’ultimo, “pro quota”, il pagamento delle spese sostenute dallo stesso condominio per il compenso del difensore nominato in tale processo, non trovando applicazione nella relativa ipotesi, nemmeno in via analogica, gli artt. 1132 e 1101 cod. civ.” (Cass. civ. Sez. II, 18/06/2014, n. 13885).
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