Condominio, amministratore, formazione: le nuove norme in materia condominiale e la necessità degli operatori del settore di aggiornarsi
Dopo che per oltre 70 anni la normativa in materia condominiale è rimasta immutata, negli ultimi anni si è assistito al succedersi di norme che hanno non solo modificato l’istituto del condominio, ma anche richiesto una maggiore competenza ed una specifica formazione dell’amministratore di condominio.
Ne discutiamo con l’esperto l’Avv. Ghigo Giuseppe Ciaccia autore di diversi scritti in materia condominiale tra cui l’ultimo libro “Il condominio e l’amministratore nella gestione delle liti”. Maggioli Editore
Il legislatore si è improvvisamente accorto della necessità di dover intervenire sulla materia condominiale ?
La sensazione che si è avuta per anni è che il legislatore, in materia condominiale, abbia, di fatto, lasciato alla magistratura un ruolo non previsto di supplenza non prevista dal codice e non riscontrabile nelle altre materie. Infatti, mentre il resto del diritto è sempre stato regolato dal codice civile e dalle leggi, la materia condominiale condominio sembra, invece, vivere in una sua dimensione improntata al “common low” anglosassone. In altre parole la materia condominiale era, nell’attesa della riforma, divenuta troppo importante e diversificata (si pensi al condominio come sostituto d’imposta, agli impegni economici dei contratti d’appalto per lavori edili, alle responsabilità penali dell’amministratore), rispetto alla ristretta ed inadeguata impostazione del codice civile, e nell’attesa del legislatore, la magistratura è stata costretta, più che ad interpretare la legge, a “riscrivere” le regole per “adeguare” la normativa alle esigenze attuali (es. modifiche delle tabelle millesimali, forma dell’impugnazione della delibera, solidarietà e parziarietà dei debiti condominiali).
Ma il problema è stato poi risolto dal legislatore con la legge di riforma del condominio (la L. n.220 dell’11.12.2012) ?
No, la riforma, anche se ha risolto alcuni problemi interpretativi, ha lasciato all’interpretazione dell’operatore altri argomenti ed ha creato nuovi dubbi proprio per come è stata scritta. Né il legislatore è riuscito ad operare meglio con i successivi interventi – la legge di conversione del ‘‘Decreto del Fare’’, o con il ‘‘Decreto Destinazione Italia’’ o il D.M. Giustizia n. 140/2014 – e, quindi, ancora una volta sarà la magistratura a dover risolvere con interventi “integrativi” i dubbi o le lacune in materia condominiale. Ed è proprio questo modo di operare che ricorda più la prassi dei tribunali britannici o americani che il diritto civile italiano. Ed è, quindi, proprio per questo motivo che in materia condominiale si assiste ad una sorta un’enclave di “common low” nell’ordinamento italiano, basato appunto sul valore dei precedenti giurisprudenziali più che sui codici o sulle leggi. E ciò è ancor più sorprendente se si considera che i problemi giuridici del condominio partono da molto lontano posto che l’attuale isolato condominiale è il “discendente” dell’insula romana, termine coniato da Cicerone.
In che senso il legislatore non ha risolto i problemi o ne ha creato altri interpretativi ?
Per comprendere è necessario fare degli esempi. La legge di riforma del condominio ha previsto, nell’art. 1138 c.c. sul regolamento di condominio, che «le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici». Questa norma benché apprezzabile nelle finalità è di difficile interpretazione rispetto proprio alla definizione di «animali domestici»; ed infatti tale variegata categoria finisce col non ricomprendere alcune specie docili (porcellino d’india, conigli, criceti, canarini, pesci tropicali e cocorite), mentre ne fanno parte animali che, oggettivamente, non sembrano compatibili con la vita condominiale (es. asini, maiali, oche e capre). In altre parole il problema nasce proprio dalla ambigua definizione, scelta dal legislatore di riforma, di “animale domestico” che si riferisce non solo agli animali di compagnia – come i cani ed i gatti -, ma anche agli animali di fattoria in quanto queste due tipologie sono quelle sulle quale l’uomo ha, nei secoli, esercitato una selezione artificiale tale da renderle diverse dalla originaria tipologia selvatica. E’ evidente che tale classificazione non ha nulla a che vedere con l’eventuale attitudine alla vita in condominio. E’ infatti chiaramente preferibile avere in condominio un porcellino d’india rispetto ad un alano.
Accade spesso che il condominio ha problemi con gli ex amministratori sostituiti dall’assemblea. Cosa si può fare ?
Un problema si verifica frequentemente con l’amministratore cessato dall’incarico è quello della mancata collaborazione con la nuova amministrazione e, segnatamente, quello della restituzione dei documenti o dei beni condominiali (es. chiavi, timbro, ecc.) che devono essere prontamente consegnati al nuovo amministratore per consentirgli di continuare la regolare gestione del condominio. Il novellato art. 1129 c.c. ha specificamente stabilito che l’amministratore alla cessazione dell’incarico è tenuto alla consegna di tutta la documentazione condominiale. Nel caso in cui l’amministratore cessato dall’incarico non fornisce la documentazione condominiale possono ravvisarsi gli estremi del reato di appropriazione indebita anche “aggravata”, che rende, quindi, tale comportamento perseguibile anche d’ufficio.
E’ obbligatoria la mediazione in ambito condominiale ?
Le modifiche apportate con la legge di conversione del cd. “Decreto del Fare” hanno reintrodotto l’obbligatorietà della mediazione che è, quindi, divenuta nuovamente obbligatoria anche in materia condominiale come disciplinata dall’art. 71-quater, disp. att. c.c. della legge di riforma. Tutte le azioni in ambito condominiale sono, quindi, ora disciplinate dall’art. 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 che, espressamente, precisa che “l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale”.
Ma quindi ora la professione di amministratore prevede un elevato grado di preparazione ?
Sì. È richiesta una buona professionalità, ma anche la volontà dell’amministratore di essere disposto ad aggiornarsi costantemente. Ed infatti l’art. 71-bis, disp. att. c.c. prescrive le qualifiche ed i requisiti che deve avere l’amministratore di condominio. Il legislatore richiede all’amministratore rigorose caratteristiche di onorabilità – simili a quelli richiesti per i concorsi per pubblici ufficiali (notaio e magistrato) – e professionalità ed impone all’amministratore l’obbligo di formazione periodica ossia la partecipazione annuale a corsi di aggiornamento professionale. Se si verificano le materie oggetto dei corsi di formazione iniziale previsti dal DM 140/2014 si può facilmente comprendere come il legislatore richiede all’amministratore una preparazione che spazia dal diritto alla contabilità, dalle cognizioni prettamente tecniche all’urbanistica, all’utilizzo di strumenti informatici, ecc.. E’ chiaro, quindi, che l’amministratore oltre a doversi preparare sul campo ed ad aggiornarsi costantemente deve avere dei testi di riferimento e dei professionisti esperti della materia a cui rivolgersi.
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