Condominio: ampliamento del terrazzo e rispetto delle parti comuni

 

Il caso

L’attore, condomino di un appartamento sito al quinto piano di un edificio, conviene in giudizio il proprietario dell’immobile situato sopra, sostenendo che questi aveva ampliato il terrazzo, asportando l’ultima tratta di un cassonetto dove vi erano varie canne fumarie dell’edificio che, per effetto delle suddette modifiche, scaricavano i fumi nella proprietà dell’attore.

Il Tribunale respingeva la domanda attorea, invece la Corte d’Appello stabiliva, al contrario, che la nuova costruzione andava ad alterare il decoro architettonico dell’edificio, ledeva i diritti di proprietà del condomino e violava la distanza imposta dall’art. 905 c.c., ritenendo che il condomino avesse titolo a lamentarsi dell’eliminazione del cassonetto per impedire che i fumi si ripiegassero sulla sua proprietà.

Così l’altro condomino, avverso tale decisione, propone ricorso per cassazione affidandosi a quattro motivi.

Si legga anche:”Distanze legali: norme, principi ed orientamenti giurisprudenziali”

I motivi di ricorso

Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 e 5 c.p.c., per aver la pronuncia stabilito che le modifiche al terrazzo ledevano il decoro architettonico, benché nessuna doglianza fosse stata sollevata in proposito.

Il secondo motivo censura l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., contestando alla Corte di merito di non aver considerato che, sul balcone sottostante alla proprietà del ricorrente, il condomino aveva realizzato una veranda trasformata in volume abitabile, per cui occorreva tener conto anche delle modifiche precedentemente apportate alla facciata dell’edificio ai fini di accertare la lesione del decoro architettonico.

Il terzo motivo censura la violazione dell’art. 112 c.p.c., artt. 840, 873, 905, 907, 1117, 1127 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza ritenuto che l’ampliamento del balcone avesse violato i diritti di proprietà sulla colonna d’aria sovrastante il terrazzo non considerando che la linea esterna del balcone arretrava rispetto alla copertura della veranda del piano sottostante, in corrispondenza del quale non era possibile alcuna ulteriore costruzione.

Sostiene inoltre il ricorrente che l’art. 840 c.c., non è invocabile in ambito in ambito condominiale e che la sua violazione non era stata dedotta a fondamento della domanda. Parimenti, la sentenza non poteva ritenere violato l’art. 905 c.c., senza valutare se la nuova costruzione fosse conforme ai limiti imposti dall’art. 1102 c.c.

Il quarto motivo censura l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, contestando alla sentenza di aver disposto l’eliminazione del vano ove erano collocate le canne fumarie, sebbene il consulente avesse accertato che nel suddetto vano erano state illegittimamente posizionate le tubazioni di areazione dei bagni delle singole unità abitative, il che ne escludeva la natura condominiale, fermo inoltre le nuove opere non avevano compromesso la funzionalità degli scarichi.

La decisione della Corte

La Suprema Corte, con la sentenza in epigrafe, ha ritenuto il primo, il secondo ed il terzo motivo fondati ed ha, di conseguenza, accolto il ricorso.

La Corte sottolinea che qualora il proprietario di un appartamento sito in un edificio condominiale esegua opere sui propri beni facendo uso anche di beni comuni, indipendentemente dall’applicabilità della disciplina sulle distanze, è necessario stabilire se, in qualità di condomino, abbia utilizzato le parti comuni dell’immobile nei limiti consentiti dall’art. 1102 c.c.

In caso positivo, l’opera deve ritenersi legittima anche senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà contigue (Cass. 6546/2010; Cass. 7044/2004; Cass. 360/1973): l’art. 1102 c.c. è specificamente destinato a regolare i rapporti condominiali e quindi prevale sulle disposizioni di cui agli artt. 905 ss c.c.

La Corte d’appello era, quindi, tenuta a verificare l’eventuale osservanza, da parte del ricorrente, dell’art. 1102 c.c. e a dar conto delle ragioni dell’eventuale superamento dei limiti imposti dalla norma, per cui, avendo omesso del tutto siffatto accertamento, è incorsa nella violazione dell’art. 905 c.c.

Volume consigliato

Sentenza collegata

76004-1.pdf 117kB

Iscriviti alla newsletter per poter scaricare gli allegati

Grazie per esserti iscritto alla newsletter. Ora puoi scaricare il tuo contenuto.

Avv. Mazzei Martina

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento