Il principio è stato riaffermato dalla Corte di Cassazione, Sezione II Civile, con l’ordinanza del 6 giugno 2018, n. 14500, mediante la quale ha rigettato il ricorso e confermato quanto già deciso, nel caso de quo, dalla Corte d’appello di Torino.
La vicenda
La pronuncia in esame ha avuto origine dal fatto che CAIO, TIZIO, SEMPRONIO e LIDIA, con citazione 2006, quali titolari di servitù di passaggio pedonale e carrabile sulla strada di proprietà del Condominio Fantasia II di Utopia in Piemonte (come da titolo costitutivo del condominio stesso del 4 gennaio 1966), i quali lamentarono la costruzione in adiacenza alla parete dell’edificio condominiale di un ascensore esterno che aveva ridotto il passaggio in questione da m. 4,15 a m. 2,50.
Il Tribunale di Alessandria, sezione distaccata di Novi Ligure, accolse la domanda in quanto ravvisò la violazione dell’art. 1067 c.c. a causa del restringimento del transito provocato dall’ascensore, anche interpretando la norma in esame in senso costituzionalmente orientato alla luce dell’esigenza del condominio convenuto di eliminare le barriere architettoniche. Il Tribunale argomentò come, in forza dell’espletata CTU, un’analoga opera, adeguata alla tutela dei portatori di handicap, poteva essere realizzata lungo la parete posta sul retro dell’edificio condominiale, senza scarificare il diritto reale degli attori.
Successivamente la Corte d’Appello di Torino, con la sentenza n. 14XX/2014 ha accolto l’appello del Condominio Fantasia II. La Corte d’appello ha ritenuto che la collocazione dell’ascensore nell’area gravata da servitù di passaggio in favore dei signori Caio e altri, aventi causa del comune venditore geometra Plinio, fosse “l’unica soluzione praticabile idonea ad eliminare le barriere architettoniche”.
La soluzione alternativa, emersa dalla CTU e consistente nell’installare l’impianto sul retro dell’edificio condominiale, venne ritenuta inadeguata sia per l’ubicazione del sito e la realizzabilità dell’intervento (possibile presenza di condutture interrate, ostacolo all’ingresso in un box di proprietà esclusiva di terzi), sia per le difficoltà di raggiungimento dell’ascensore da persone in condizioni di inabilità fisica (accesso dalla via pubblica e dal cortile interno servendosi di percorso più lungo e ricoperto da ghiaia, oppure tramite l’atrio comune ed il “locale biciclette”).
Inoltre, ritennero i giudici di secondo grado, l’installazione dell’ascensore nel lato del cortile interno avrebbe avuto costi molto elevati, avrebbe compromesso la facciata del fabbricato ed avrebbe creato nuovi ingressi dall’esterno nei balconi di proprietà esclusiva, i quali avrebbero dovuto essere allungati con la creazione di ballatoi e muniti di cancelletti o di porte per motivi di sicurezza. Avverso tale decisione hanno proposto ricorso per la cassazione gli originari attori titolari della servitù di passaggio sulla base di quattro motivi.
I motivi di ricorso
Per quanto è qui di interesse, i ricorrenti con il primo motivo lamentano l’omesso esame di fatto decisivo ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., quanto alla mancata considerazione di una diversa opera comunque in grado di superare le barriere architettoniche, costituita dall’installazione di un servo scala a partire da piano terra e per tutti i piani, come avvenuto nel vicino condominio.
Con iI secondo motivo di ricorso i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 1067 c.c., con riferimento alla lettura “costituzionalmente orientata” che ne ha fatto la Corte d’Appello, ispirata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 167 del 10 maggio 1999, la quale dichiarò l’illegittimità costituzionale dell’art. 1052, secondo comma, del codice civile, nella parte in cui non prevede che il passaggio coattivo di cui al primo comma possa essere concesso dall’autorità giudiziaria quando questa riconosca che la domanda risponde alle esigenze di accessibilità – di cui alla legislazione relativa ai portatori di handicap – degli edifici destinati ad uso abitativo.
Viene al riguardo ancora una volta richiamata la praticabilità della idonea soluzione impiantistica alternativa oggetto del primo motivo di ricorso, soluzione che avrebbe altrimenti consentito l’accesso diretto alle unità immobiliari.
La decisione
La Corte di Cassazione, mediante la menzionata ordinanza n. 14500/2018, ha ritenuto i motivi non fondati ed ha rigettato il ricorso.
Si noti che tutti i motivi si incentrano sull’ambito di applicazione dell’art. 1067, comma 2, c.c., a norma del quale il proprietario del fondo servente (nella specie, il Condominio Fantasia II) non può compiere alcuna cosa che tenda a diminuire l’esercizio della servitù o a renderlo più incomodo (e ciò con riguardo al passaggio sulla porzione censita al mappale 489, foglio 27, Comune di Utopia in Piemonte, di proprietà Condominio Fantasia II, servitù costituita con atto del 4 gennaio 1966 in favore dell’attuale proprietà Caio e altri).
Si tenga anche conto che l’indagine sulla natura, sull’entità e perciò sulla rilevanza delle innovazioni o delle trasformazioni apportate nel fondo servente, e sul correlativo pregiudizio derivabile dalle stesse al fondo dominante, con riferimento all’art 1067, comma 2, c.c., costituisce apprezzamento di fatto spettante al giudice del merito – e qui compiutamente operato dalla Corte d’Appello di Torino -, apprezzamento sindacabile in sede di legittimità soltanto nell’ambito del vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. civile.
L’art. 1067, comma 2, c.c. esclude la facoltà del proprietario del fondo servente di eseguire opere che, incidendo sull’andatura e sull’estensione della servitù, riducano la possibilità per il proprietario del fondo dominante di trarre dalla stessa servitù la più ampia utilitas assicurata dal titolo.
Conseguentemente, per interpretazione consolidata della Corte, “in tema di servitù di passaggio, non comporta diminuzione dell’esercizio della servitù l’esecuzione di opere, ovvero la modifica dello stato dei luoghi che, pur riducendo la larghezza dello spazio di fatto disponibile a tal fine, la conservino, tuttavia, in quelle dimensioni che non comportino una riduzione o una maggiore scomodità dell’esercizio delle servitù” (cfr. Corte di Cassazione, Sez. II, 03/11/1998, n. 10990; Corte di Cassazione, Sez. II, 19/04/1993, n. 4585).
Ai fini del giudizio di liceità, ex art. 1067, comma 2, c.c., degli atti di godimento compiuti dal proprietario del fondo servente sullo stesso, non rileva perciò in alcun senso la valutazione (propria invece, ad esempio, dell’art. 1051 c.c., in tema di imposizione del passaggio coattivo) circa la praticabilità di soluzioni alternative, più o meno convenienti, oppure più o meno comode, quanto la verifica dell’incidenza di tali atti sul contenuto essenziale dell’altrui diritto di servitù.
Tale conclusione vale da sola a privare di “decisività” (ovvero del carattere di astratta idoneità a determinare un esito diverso della controversia) la circostanza, su cui poggiano i primi due motivi di ricorso, della mancata considerazione che l’installazione di un servo scala a partire da piano terra e per tutti i piani sarebbe stata comunque in grado di superare le barriere architettoniche.
L’opera realizzata sul fondo servente, in sostanza, non viola l’art. 1067, comma 2, c.c., sol perché altrove realizzabile dal proprietario dello stesso con uguale comodità e convenienza.
La Suprema Corte ricorda di aver già chiarito come la pronuncia della Corte costituzionale n. 167 del 1999 abbia imposto un mutamento di prospettiva, in forza del quale l’istituto della servitù di passaggio non è più limitato ad una visuale dominicale e produttivistica, ma è proiettato in una dimensione dei valori della persona, di cui agli art. 2 e 3 Cost., che permea di sé anche lo statuto dei beni ed i rapporti patrimoniali in generale (Corte di Cassazione, Sez. II, 03/08/2012, n. 14103; si vedano anche Corte di Cassazione, Sez. II, 28/01/2009, n. 2150; Corte di Cassazione, Sez. II, 16/04/2008, n. 10045).
La Corte d’Appello di Torino ha apprezzato in fatto, aderendo alle conclusioni del CTU, che il restringimento del passaggio destinato all’esercizio della servitù da m. 4,15 a m. 2,50, cagionato dall’ingombro dovuto alla costruzione dell’impianto di ascensore, conserva comunque il diritto reale dei proprietari del fondo dominante in dimensioni che non compromettono significativamente l’esercizio dello stesso.
Allo stesso tempo, l’impianto di ascensore realizzato dal Condominio appaga le esigenze di accessibilità del fabbricato, pur necessitando dell’installazione di un servo scala al piano intermedio per il collegamento con il pianerottolo di ingresso delle singole abitazioni.
La Corte di Cassazione ha altresì precisato come la meritevolezza di un intervento innovativo consistente nell’installazione di un ascensore allo scopo di eliminare le barriere architettoniche vada valutata in termini di idoneità dello stesso quantomeno ad attenuare – e non necessariamente ad eliminare – le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione (Corte di Cassazione, Sez. VI-2, 09/03/2017, n. 6129).
Ne consegue che nessuna inconciliabilità o implausibilità affligge le argomentazioni adoperate dalla Corte d’Appello nel valutare la piena funzionalità dell’impianto di ascensore in concreto allestito dal Condominio fantasia II, pur necessitante di un servo scala per il collegamento con i pianerottoli.
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