Il principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione, Sezione III Penale, con la sentenza del 14 aprile 2018, n. 17131, mediante la quale ha accolto il terzo motivo di ricorso e cassato senza rinvio quanto già deciso, nel caso de quo, dal Tribunale di Milano.
La vicenda
La pronuncia in esame ha avuto origine dal fatto che il Tribunale di Milano, con sentenza del 2017 ha condannato TIZIO, quale legale rappresentante della Fantasia S.r.l., alla pena di euro 206 di ammenda, oltre al risarcimento del danno e alla rifusione delle spese legali in favore della costituita parte civile, per il reato di cui all’art. 659, comma 1, cod. penale.
Avverso la predetta decisione è stato proposto appello, poi convertito in ricorso per cassazione stante l’inappellabilità della sentenza, articolato su tre motivi di impugnazione.
I motivi di ricorso
Per quanto è qui di interesse, il ricorrente con il primo motivo ha dedotto che la fattispecie doveva rientrare nell’ipotesi di cui all’art. 659, comma 2, cod. pen., atteso che l’attività, come nel caso in esame, di bar regolarmente autorizzato a rimanere aperto fino a tarda notte andava così classificata come esercizio di un mestiere rumoroso, mentre il superamento dei limiti di accettabilità di emissioni sonore rappresentava solamente un illecito amministrativo di cui alla legge 447 del 1995, stante la sostanziale abrogazione dell’art. 659, comma 2, cod. penale.
Con il secondo motivo il ricorrente ha eccepito l’insussistenza dell’elemento oggettivo del reato, dal momento che la contestata contravvenzione postulava l’idoneità al disturbo di una pluralità indeterminata di persone, ossia genericamente alla quiete nelle proprie occupazioni ed al conseguente riposo, e non solamente agli occupanti dell’edificio condominiale.
Ciò che nel caso in esame andava escluso, come si evinceva dagli esiti dell’attività istruttoria ed in particolare dall’esame della teste Alfa, condomina del terzo piano, che aveva dichiarato di non essere disturbata dai rumori.
La norma invocata
Art. 659 Codice penale – Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone
Chiunque, mediante schiamazzi o rumori, ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, ovvero suscitando o non impedendo strepiti di animali, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici, è punito con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 309.
Si applica l’ammenda da euro 103 a euro 516 a chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dell’autorità.
La decisione
La Corte di Cassazione, mediante la menzionata sentenza n. 17131/2018, ha ritenuto i motivi non fondati ma ha accolto il ricorso ritenendo fondato il terzo motivo qui non di interesse.
Sui punti controversi la Suprema Corte ha osservato che l’esercizio di una attività o di un mestiere rumoroso integra:
- a) l’illecito amministrativo di cui all’art. 10, comma secondo, della legge 26 ottobre 1995, n. 447, qualora si verifichi esclusivamente il mero superamento dei limiti di emissione del rumore fissati dalle disposizioni normative in materia;
- b) il reato di cui al comma primo dell’art. 659, cod. pen., qualora il mestiere o l’attività vengano svolti eccedendo dalle normali modalità di esercizio, ponendo così in essere una condotta idonea a turbare la pubblica quiete;
- c) il reato di cui al comma secondo dell’art. 659 cod. pen., qualora siano violate specifiche disposizioni di legge o prescrizioni della Autorità che regolano l’esercizio del mestiere o della attività, diverse da quelle relative ai valori limite di emissione sonore stabiliti in applicazione dei criteri di cui alla legge n. 447 del 1995 (Corte di Cassazione, Sez. III, n. 5735 del 21/01/2015).
Pertanto, il Tribunale di Milano ha espressamente dato conto che l’esercizio pubblico gestito da Tizio non aveva alcuna autorizzazione a svolgere manifestazioni ed eventi con diffusione di musica e/o a utilizzare strumenti musicali, per cui si trattava di esercizio che poteva sì somministrare e vendere bevande e alimenti, ma che ciò non gli dava titolo per diffondere musica fino a tarda notte.
In ragione di ciò, il provvedimento impugnato ha così osservato – senza che il ricorrente abbia preso posizione al riguardo – che, in difetto di autorizzazione, non aveva comunque giuridico significato il richiamo alla fattispecie di cui all’art. 659, comma 2, cod. pen., ovvero all’ipotesi del mero illecito amministrativo.
Quanto al secondo punto controverso la Corte ha osservato che “perché sussista la contravvenzione di cui all’art. 659 cod. penale relativamente ad attività che si svolge in ambito condominiale, è necessaria la produzione di rumori idonei ad arrecare disturbo o a turbare la quiete e le occupazioni non solo degli abitanti dell’appartamento sovrastante o sottostante la fonte di propagazione, ma di una più consistente parte degli occupanti il medesimo edificio (Corte di Cassazione, Sez. I, n. 45616 del 14/10/2013).
Nel caso qui in esame, il provvedimento impugnato ha dato atto che il locale pubblico (Bar), corrente in Milano, ha arrecato disturbo al riposo ed alle occupazioni di più persone, ossia ai condomini dello stabile milanese di via Fantasia, n. 2 attraverso l’impianto di diffusione sonora, e che ciò era stato confortato dalle deposizioni testimoniali e dagli stessi rilievi tecnici dell’Arpa quanto al superamento del limite differenziale.
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