La dottrina (TERZAGO G., “Il condominio” Ed Giuffré) ha affermato che in tale indicazione (anno in corso ed anno precedente) rientrano:
- a) pagamenti di opere approvate in precedenza ma il cui pagamento è effettuato per decisione assembleare in tale anno;
- b) rata di un precedente ed approvato pagamento;
- c) contributi dovuti dall’alienante per esercizi precedenti
Tanto è stato evidenziato perché – si dice – l’art.63 disp. att. c.c. è norma speciale che costituisce una applicazione del principio sancito all’art.1104 c.c., che al terzo comma dispone che “il cessionario del partecipante è tenuto in solido con il cedente a pagare i contributi da questo dovuti e non versati”. Sostanzialmente – secondo l’Autore – la solidarietà tra acquirente e venditore per le spese condominiali sarebbe prevista per tutte le spese condominiali per le quali vi è morosità del precedente dante causa.
Il fondamento di tale interpretazione, in termini generali, sta nel fatto che le spese condominiali hanno la natura di obbligazioni propter rem, ossia seguono il bene a cui si riferiscono e sono dovute da chiunque – a qualunque titolo – succeda nella proprietà dell’immobile proprio e solo perché il soggetto si trova in una determinata situazione giuridica rispetto al bene, ossia perché è proprietario dell’unità immobiliare facente parte del condominio.
Tuttavia, la giurisprudenza dopo aver condiviso l’impostazione dottrinaria, di recente ha modificato l’impostazione.
Infatti Trib. Perugia Sez. II, 31/05/2017 ha di recente affermato che “In tema di condominio negli edifici, la responsabilità solidale dell’acquirente di una porzione di proprietà esclusiva per il pagamento dei contributi dovuti al condominio dal venditore è limitata al biennio precedente all’acquisto, trovando applicazione l’art. 63, comma 2, disp.att.c.c., e non già l’art. 1104 c.c., atteso che, ai sensi dell’art. 1139 c.c., le norme sulla comunione in generale si estendono al condominio soltanto in mancanza di apposita disciplina”
Tale pronunzia, come altre di merito, ha il suo fondamento nella giurisprudenza della Suprema Corte (v. ad es. Cass. civ. Sez. II, 27/02/2012, n. 2979) che ha evidenziato che “Deve ritenersi esclusa l’applicabilità dell’art. 1104 c.c. in materia di condominio degli edifici ai fini della determinazione della responsabilità per i debiti del condomino, dovendo prevalere il disposto dell’art. 63 disp. att. c.c.”
Non è quindi più la natura di obbligazione propter rem a guidare l’interpretazione, bensì la specialità della norma a prevalere, nel senso che l’ambulatorietà dell’obbligazione trova i suoi stretti limiti nella genesi dell’obbligazione medesima.
Ciò significa che l’acquirente di una procedura esecutiva immobiliare risponde solo ed esclusivamente dei contributi relativi all’anno in corso ed a quello precedente e non è solidalmente responsabile verso il condominio di obbligazioni pregresse, non potendosi estendere al condominio la norma dell’art. 1104 c.c..
Ma quali contributi sono dovuti dall’acquirente? quelli deliberati, quelli riportati in bilancio (che ovviamente comprende anche i residui degli anni passati) o quelli pagati nell’anno precedente e nell’anno dell’acquisto?
Sul punto Cass. civ. Sez. II, 03/12/2010, n. 24654 aveva già stabilito che “In caso di vendita di una unità immobiliare in condominio, nel quale siano stati deliberati lavori di straordinaria manutenzione, ristrutturazione o innovazioni sulle parti comuni, qualora venditore e compratore non si siano diversamente accordati in ordine alla ripartizione delle relative spese, è tenuto a sopportarne i costi chi era proprietario dell’immobile al momento della delibera assembleare che abbia disposto l’esecuzione dei detti interventi, avendo tale delibera valore costitutivo della relativa obbligazione.”
Di recente è intervenuta Cass. 22/3/17 n. 7395 che ha anche stravolto il fondamento di obbligazione propter rem in cui si era mossa la giurisprudenza precedente. Infatti tale pronunzia ha stabilito che: “Ai fini dell’applicazione dell’art. 63, comma 2, disp. att. c.c., occorrendo individuare quando sia insorto l’obbligo di partecipazione a spese condominiali per l’esecuzione di lavori di straordinaria amministrazione sulle cose comuni, deve farsi riferimento alla data di approvazione della delibera assembleare che ha disposto l’esecuzione di tale intervento, avendo la stessa delibera valore costitutivo della relativa obbligazione. Questo momento rileva sia per imputare l’obbligo di partecipazione alla spesa nei rapporti interni tra venditore e compratore, se gli stessi non si siano diversamente accordati, sia per accertare l’inclusione del medesimo obbligo nel periodo biennale di responsabilità solidale di entrambi verso il condominio. L’obbligo del cessionario dell’unità immobiliare, invero, è solidale, ma autonomo, in quanto non propter rem, e, piuttosto, costituito ex novo dalla legge in funzione di rafforzamento dell’aspettativa creditoria dell’organizzazione condominiale. Il compratore risponde verso il venditore soltanto per le spese condominiali sorte in epoca successiva al momento in cui egli sia divenuto condomino, mentre ha diritto di rivalersi nei confronti del suo dante causa allorché sia stato chiamato dal condominio a rispondere di obbligazioni nate in epoca anteriore all’acquisto.”
Questa affermazione crea ovviamente un certo rimescolamento delle carte.
Esaminiamo comunque meglio la motivazione della Corte. Essa afferma: “Dovendosi individuare, ai fini dell’applicazione dell’art. 63 disp. att. c.c., comma 2 al caso in esame, quando sia insorto l’obbligo di partecipazione a spese condominiali per l’esecuzione di lavori di straordinaria amministrazione sulle parti comuni (ristrutturazione della facciata dell’edificio condominiale)”, deve farsi riferimento alla data di approvazione della delibera assembleare che ha disposto l’esecuzione di tale intervento (30 giugno 2008), avendo la stessa delibera valore costitutivo della relativa obbligazione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24654 del 03/12/2010). Questo momento rileva sia per imputare l’obbligo di partecipazione alla spesa nei rapporti interni tra venditore e compratore, se gli stessi non si siano diversamente accordati, sia per accertare l’inclusione del medesimo obbligo nel periodo biennale di responsabilità solidale di entrambi verso il condominio” e più avanti afferma: “è il condominio, il quale invochi in giudizio la responsabilità solidale dell’acquirente di un’unità immobiliare per contributi relativi alla conservazione o al godimento delle parti comuni, ad essere gravato della prova dei fatti costitutivi del proprio credito, fra i quali è certamente compresa l’inerenza della spesa all’anno in corso o a quello precedente al subentro dell’acquirente”
Non solo, ma “L’anno, cui fa riferimento l’art. 63 disp. att. c.c., comma 2 deve, peraltro, essere di sicuro inteso con riferimento al periodo annuale costituito dall’esercizio della gestione condominiale, non necessariamente, perciò, coincidente con l’anno solare. La conclusione raggiunta è coerente col principio, elaborato da questa Corte, della cosiddetta “dimensione annuale della gestione condominiale” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7706 del 21/08/1996; ma anche Cass. Sez. 6 – 2, Sentenza n. 21650 del 20/09/2013), annuali essendo la durata dell’incarico dell’amministratore (art. 1129 c.c.), il preventivo delle spese ed il rendiconto (art. 1135 c.c., comma 1, nn. 2 e 3), e trova conferma in via interpretativa anche dall’art. 1129 c.c., comma 9 introdotto dalla L. n. 220 del 2012, ove si fa espresso riferimento alla “chiusura dell’esercizio”.”
L’ACQUIRENTE, PERTANTO, RISPONDERÀ UNICAMENTE DELLE SPESE DELIBERATE NEL BIENNIO ANTECEDENTE L’ACQUISTO PERCHÉ QUESTO È IL MOMENTO COSTITUTIVO DELL’OBBLIGAZIONE
Questa la disciplina generale
Nel caso però di acquirente da esecuzione immobiliare la situazione non cambia.
Infatti Cass. sent. 20037/10 afferma “la giurisprudenza di questa Corte è ormai saldamente orientata nel senso che “l’acquisto di un bene da parte dell’aggiudicatario in sede di esecuzione forzata, pur essendo indipendente dalla volontà del precedente proprietario ricollegandosi a un provvedimento del giudice dell’esecuzione, ha natura di acquisto a titolo derivativo e non originario, in quanto si traduce nella trasmissione dello stesso diritto del debitore esecutato” (Cass., n. 27 del 2000). In tale pronuncia, questa Corte ha consapevolmente ribadito l’indicato orientamento, rilevando come quello secondo cui l’acquisto per effetto di decreto di trasferimento emesso all’esito di una procedura di esecuzione forzata sarebbe un acquisto a titolo originario, costituisca un isolato precedente (Cass. n. 4899 del 1980), non condivisibile, mentre più aderenti alla natura stessa della vendita forzata si appalesano decisioni antecedenti e successive a quella ora richiamata, secondo le quali l’acquisto di un bene in sede di esecuzione forzata, da parte dell’aggiudicatario, pur essendo indipendente dalla volontà del precedente proprietario e ricollegandosi ad un provvedimento del giudice dell’esecuzione, ha appunto natura di acquisto a titolo derivativo e non originario in quanto si traduce nella trasmissione dello stesso diritto del debitore esecutato (Cass., n. 2724/ 1969; Cass., n. 1299/1977; Cass., n. 5888/1982; Cass., n. 443/1985; Cass., n. 15503/2000)”
Trattasi di principio pacifico ulteriormente ribadito anche da Cass. civ. Sez. I, 13/03/2017, n. 6386 negli stessi termini dato che il cosiddetto effetto purgativo della vendita, si limita a provvedere alla liberazione dell’immobile dai pregressi pignoramenti e ipoteche e sequestri, senza nulla interferire con le spese condominiali che, sia che le si ritenga genericamente obbligazione propter rem, sia che le si ritenga obbligazione nate ex novo per effetto della delibera condominiale, afferiscono al bene e comportano l’applicazione dell’art. 63 disp. att. c.c., che – come abbiamo visto – è ritenuta norma speciale.
E allora il condominio cosa può fare per recuperare gli oneri condominiali che il debitore sicuramente ha lasciato insoluti. E’ quasi la regola, ormai, il fatto che un debitore, una volta resosi conto che non può salvare la sua casa, si disinteressi della stessa (o la danneggi) e soprattutto non paghi il condominio, costringendo gli altri condomini ad accollarsi le relative spese
Qui l’amministratore ha innanzitutto l’obbligo ai sensi del nono comma dell’art. 1129 c.c. (nel testo risultante a seguito della modifica operata dall’art. 9, comma 1, L. 11 dicembre 2012, n. 220) di attivarsi: “l’amministratore è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito esigibile è compreso, anche ai sensi dell’articolo 63, primo comma, delle disposizioni per l’attuazione del presente codice.”
Ne consegue che egli dovrà agire in via monitoria e poi intervenire nella procedura esecutiva immobiliare per i debiti accumulati dal debitore antecedentemente al pignoramento, senza tuttavia avere alcun privilegio nell’esecuzione, essendo il credito condominiale di rango chirografario
Per la fase successiva al pignoramento, la situazione cambia, anche se con una chiarezza che è ben lungi dall’essere raggiunta inerendo il concetto di custodia-
Infatti, se si legge Cass., 22-6-2016, n. 12877, rinveniamo il seguente principio: “Le spese necessarie alla conservazione stessa dell’immobile, indissolubilmente finalizzate al mantenimento in fisica e giuridica esistenza dell’immobile pignorato (con esclusione, quindi, delle spese che non abbiano un’immediata funzione conservativa dell’integrità del bene, quali le spese dirette alla manutenzione ordinaria o straordinaria o gli oneri di gestione condominiale) in quanto strumentali al perseguimento del risultato fisiologico della procedura di espropriazione forzata, essendo intese ad evitarne la chiusura anticipata, sono comprese tra le spese «per atti necessari al processo» che, ai sensi dell’art. 8 d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, sono anticipate dal creditore procedente per essere poi rimborsate come spese privilegiate ex art. 2770 c.c.”
In altri termini, la Suprema Corte riconosce che sono spese prededucibili, sia se sostenute dal custode sia se anticipate dal creditore procedente, SOLO quelle necessarie al mantenimento in esistenza del bene pignorato, attinenti alla sua struttura o intese ad evitarne il crollo o il perimento, mentre esclude invece le spese che non abbiano un’immediata funzione conservativa dell’integrità del bene, e dunque dirette alla manutenzione ordinaria od alla semplice gestione.
Il punto di partenza per comprendere l’interpretazione della Suprema Corte è costituito dall’art. 560, 5° co., c.p.c. che dispone che il custode provvede “all’amministrazione e alla gestione dell’immobile pignorato” nonché dall’art. 65 c.p.c., in forza del quale il custode ha “la conservazione e la amministrazione dei beni pignorati”. Bisogna, poi, anche considerare che se il bene pignorato rientra in un condominio, l’espropriazione ricomprende anche le parti comuni condominiali, ai sensi degli artt. 1118 e 1119 c.c., parti comuni che ai sensi dell’art. 2919 c.c. saranno trasferite all’acquirente in vendita forzata. E’ quindi inevitabile che l’attività del custode inerisce l’immobile pignorato e la quota delle parti comuni dell’edificio in cui il bene è posto in condominio.
Le spese condominiali relative all’immobile pignorato sono dunque spese processuali che il custode deve pagare (se ha disponibilità di cassa) oppure può richiederne il pagamento al creditore procedente.
Ma quali spese?
Ebbene la Corte precisa che solo quelle materiali, funzionali alla conservazione dell’integrità dell’immobile, in quanto intese ad evitare la chiusura anticipata dell’esecuzione ex art. 164-bis disp. att. c.p.c., possono rientrare tra le spese processuali.
Non so quanto questa interpretazione possa reggere, considerato che quelle ordinarie contribuiscono alla gestione dell’immobile che teoricamente potrebbe essere anche stato locato a terzi e nel contratto di locazione l’inquilino paghi le spese condominiali: il canone così complessivamente pagato viene acquisito dalla procedura immobiliare che però – secondo l’interpretazione della Corte – dovrebbe pagare solo le spese straordinarie volte al mantenimento dell’integrità dell’immobile.
Vi è poi un altro elemento che a mio parere depone per l’obbligo di pagamento di tutte le spese condominiali (dopo il pignoramento) sia ordinarie che straordinarie: il parallelismo tra questa disciplina e quella concorsuale, specie a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 30, l. 11-12-2012, n. 220 (riforma del condominio). Questa norma, infatti, così dispone: “i contributi per le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria nonché per le innovazioni sono prededucibili ai sensi dell’art. 11 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, se divenute esigibili ai sensi dell’art. 63, primo comma, disp. att. c.c.”.
Non è dato comprendere – nel ragionamento della Suprema Corte – perché il fallimento (che è equiparato a pignoramento segnando l’inizio di una procedura esecutiva) consente la prededucibilità delle spese condominiali ordinarie e straordinarie, maturate dopo la dichiarazione di fallimento, relative ad un immobile ricompreso nell’attivo e gestito dal curatore, mentre l’esecuzione no.
Eppure Cass. 24/5/2000 n. 6787 aveva affermato che “V’è un sostanziale parallelismo tra creditore procedente nella procedura esecutiva singolare e creditore istante nella procedura esecutiva concorsuale”
Tuttavia, la riforma del condominio ha parlato di prededucibilità solo con riferimento alla procedura concorsuale.
Il povero amministratore, quindi, potrà sempre chiedere al fallimento venditore il pagamento di tutte le spese condominiali ancora dovute, anche quelle dell’anno in corso e quello precedente, e potrà chiederle in prededuzione per la parte maturata dopo il fallimento e in chirografo per la parte maturata anteriormente, e potrà rivolgersi anche all’acquirente per ottenere il pagamento delle spese relative all’anno in corso e a quello precedente, perché questa è la caratteristica della solidarietà passiva, tesa a rafforzare la posizione del creditore, nel caso il condominio, che per le spese dell’ultimo biennio può contare sul patrimonio del venditore, anche se fallito, e su quello dell’acquirente (fermo restando che non può ottenere più del suo credito).
Prima della riforma del condominio portato la giurisprudenza di merito (T. Bologna sez. I, 6 maggio 2000, n. 1471) affermava che “L’effetto c.d. «purgativo» della vendita forzata immobiliare, concernente le trascrizioni ed iscrizioni pregiudizievoli e, dunque, i creditori che necessariamente devono essere chiamati ad intervenire nel processo esecutivo, non si estende all’ipotesi di successione nel rapporto di condominio e relativamente all’onere del pagamento dei contributi condominiali ex art. 63 att. c.c., il quale rappresenta pur sempre norma speciale tesa al rafforzamento della tutela degli interessi creditori del condominio di cui fa parte il bene staggito ed i cui oneri, continuando a maturare anche in epoca successiva al pignoramento, non possono essere posti a carico del condominio proprio perché concernono un bene la cui vendita va a vantaggio dei creditori della procedura esecutiva”.
Nella materia fallimentare, la giurisprudenza di merito stabiliva che “I crediti per spese condominiali maturati prima della dichiarazione di fallimento sono di natura concorsuale e vanno soddisfatti nelle forme e modi previsti dalla procedura; viceversa, sono di natura prededucibile le spese condominiali maturate nel corso del fallimento del soggetto obbligato” (T. Milano 10/10/91; conf. T. Palmi 10/11/05). In particolare T. Varese 9/7/01 n. 588 ha ritenuto che “le spese condominiali necessarie per mantenere la funzionalità, la gestione, la manutenzione delle eventuali porzioni immobiliari acquisite dalla procedura rientrano indubbiamente in tale categoria di spesa da porsi conseguentemente in prededuzione”. Anche Cass. 20/8/97 n. 7756 afferma che: “l’immobile facente parte di un condominio, ancorché compreso in una procedura fallimentare, rimane partecipe dell’ente di gestione e si avvale dunque delle spese necessarie per la conservazione e la manutenzione della struttura condominiale art. 1123 c.c.), non può essere negato a tali spese, per la parte inerente a quell’immobile, il carattere prededucibile ai sensi dell’art. 111 primo comma n. 1 L.F., in quanto esse si traducono in somme erogate per l’amministrazione del fallimento, nell’interesse del quale, e segnatamente del creditore munito della garanzia speciale, vengono sostenute”.
Non si vede pertanto come due situazioni del tutto analoghe tra loro debbano trovare diversa soluzione posto che l’art. 2770 c.c. nel far salve le spese conservative, non specifica in alcun modo quali esse siano e quindi, la casistica non può limitarsi solo a quelle spese inerenti il pignoramento e la fase esecutiva, ma deve estendersi a tutte quelle finalizzate al soddisfacimento dei creditori ed al mantenimento in perfetta funzionalità del bene. Una lettura diversa dell’art. 2770 c.c. sarebbe – a mio parere – in contrasto con l’art. 3 e 42 della Costituzione.
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