La Corte di Cassazione, in tema di reati edilizi, ha affermato con una recente sentenza (n. 50318 del 18 dicembre 2023) che ogni procedimento di condono dev’essere valutato in base alla disciplina afferente alla relativa domanda, sicché non può essere evocata alcuna automatica e non prevista estensione di altre diverse, successive discipline, pur se, in astratto, relative al medesimo istituto del condono, ostandovi sia la diversità dei requisiti di accesso ad esso previsti dalle molteplici discipline, sia il principio di tipicità degli atti e dei procedimenti amministrativi, che impone la correlazione tra la domanda, la relativa disciplina e la decisione finale.
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Indice
1. I fatti
La decisione della Corte di Cassazione scaturisce dal ricorso presentato dall’imputato avverso l’ordinanza del Tribunale di Termini Imerese che rigettava l’istanza di revoca dell’ordine di demolizione.
Il ricorso era affidato a due motivi: con il primo si sollevavano vizi ex art. 606, lett. e) c.p.p., rappresentando che il termine per l’avanzata richiesta di condono del ricorrente sarebbe stato procrastinato in avanti con leggi successive alla l. n. 47/1985, cui inerisce l’art. 31 citato in ordinanza. Si esclude, poi, che alla data del 31/12/1993 il solaio dell’opera abusiva di interesse non fosse stato completato, almeno nella porzione minimale afferente il condono e si aggiunge che l’accertamento finale dei fatti di reato al 12/12/1994 avrebbe rilevanza ai fini penali ma non ai fini amministrativi del condono. Insomma, l’ordinanza impugnata non avrebbe considerato che entro i termini di ultimazione delle opere condonabili secondo le susseguenti discipline del 1985, 1994 e 2003 la copertura della struttura abusiva poteva ritenersi ultimata ai fini del rilascio della sanatoria di cui al provvedimento n. 10 del 08/07/2019.
Con il secondo motivo deduce vizio di illogicità della motivazione. Si osserva come la ultimazione della copertura al dicembre del 1994 non avrebbe efficacia sul procedimento in sanatoria avviato e completato con concessione in sanatoria dell’08/07/2019. Da qui il contrasto con l’art. 2, comma 2, c.p.p. in tema di questioni risolte in via incidentale dal giudice penale, prive di efficacia in ogni altro processo, atteso che altrimenti la motivazione adottata in sede penale sull’abuso assumerebbe rilievo in ultima analisi rispetto alla procedura di sanatoria.
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2. Valutazione del condono edilizio: l’analisi della Cassazione
La Corte di Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, osserva che l’ordinanza impugnata esclude la legittimità dell’intervenuto provvedimento di sanatoria sul rilievo per cui l’opera, invero da ultimarsi al rustico, ossia con struttura tamponata esternamente e solaio di copertura, alla data di ultimazione prevista dalla legge cui afferirebbe la domanda di sanatoria (ovvero di condono, essendo richiamato l’art. 31 della l. 47/1985) non sarebbe stata così ultimata, mancando ancora di copertura, accertata solo nel dicembre 1994.
Inoltre, la Corte premette che “ogni procedimento di condono non può che valutarsi rispetto alla disciplina cui afferisce la domanda” la quale appare allo stato degli atti quella di cui al c.d. primo condono ex l. n. 47/1985, “senza che sia evocabile alcuna automatica estensione – non prevista – di altre distinte e diverse successive discipline, ancorché afferenti in astratto al medesimo istituto del condono“.
Viene sottolineato come le argomentazioni di cui ai motivi del ricorso non constrastino adeguatamente l’unitario e unico assunto del giudice: quello per cui la copertura integrante il rustico sarebbe stata realizzata solo nel 1994 e quindi fuori termine, e nel paventare una diversa e anteriore epoca di realizzazione della medesima copertura sono del tutto prive di ogni necessaria documentazione.
La Suprema Corte, a ulteriore conferma della autonomia delle domande inerenti le tre diverse discipline di condono, rimarca il principio di tipicità degli atti e procedimenti amministrativi che impone una correlazione tra domanda, relativa disciplina e decisione finale e sottolinea che l’art. 32, comma 32, d. l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni in l. n. 326/2003, stabilisce che “la domanda relativa alla definizione dell’illecito edilizio, con l’attestazione del pagamento dell’oblazione e dell’anticipazione degli oneri concessori, è presentata al comune competente, a pena di decadenza, tra l’11 novembre 2004 e il 10 dicembre 2004, unitamente alla dichiarazione di cui al modello allegato e alla documentazione di cui al comma 35”. Questa, ad avviso della Cassazione, è espressione che all’evidenza sancisce una chiara autonoma connotazione – sia temporale che per requisiti – della domanda diretta ad ottenere il condono di cui alla predetta ultima disciplina del 2003.
Di rilievo appare anche il comma 41 dell’art. 32 che, fissando un incentivo per la definizione delle domande di condono, distingue espressamente tra le diverse istanze, siccome richiamate in stretta correlazione con le specifiche e distinte normative di riferimento.
3. La decisione della Corte
Alla luce di quanto finora esposto la Corte di Cassazione ha, dunque, dichiarato l’inammissibilità del ricorso con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, facendo leva anche sulla differenza strutturale delle diverse discipline di condono, quanto ai requisiti richiesti, che esclude, in assenza di una esplicita previsione, “la possibilità di estendere ad un tipo di domanda solo un requisito, nel caso di specie quello temporale, stabilito in altra successiva disciplina, fermi rimanendo gli altri originariamente previsti“.
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