Sommario: 1. Nozioni generali. – 2. Casistica giurisprudenziale.
1. Nozioni generali
Principio cardine in materia giuslavoristica è quello in base al quale un rapporto di lavoro non può cessare per la mera manifestazione di volontà in tal senso da parte del datore di lavoro; occorre la presenza di una causa di giustificazione che può configurarsi, come noto, in termini di giusta causa.
La giusta causa di licenziamento, quale «causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto» (1), non comprende soltanto i gravi inadempimenti delle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro e poste a carico del dipendente, «ma anche altri fatti che, pur essendo estranei allo svolgimento del rapporto, incidano sul medesimo eliminando l’interesse del datore di lavoro alla prosecuzione, anche provvisoria, della collaborazione (2).
Generalmente si parla di lesione irrimediabile del vincolo di fiducia o di travolgimento dell’aspettativa di puntuali futuri adempimenti» (3).
Affinché le situazioni extralavorative, attinenti la persona del dipendente possano giustificare il recesso datoriale, è necessaria:
1) la sussistenza di un nesso eziologico tra i comportamenti sconvenienti e/o illeciti anche se non integrano alcun inadempimento degli obblighi contrattuali;
2) la loro effettiva incidenza sul “regolare funzionamento” dell’organizzazione, ovvero sulla “attività produttiva”;
3) una condotta «di tale natura da far ritenere il dipendente inidoneo alla prosecuzione del rapporto, specie allorchè, per le caratteristiche o per le peculiarità di questo, la prestazione lavorativa richieda un ampio margine di fiducia, ovvero possa incidere negativamente sull’immagine del datore di lavoro» (4).
L’orientamento giurisprudenziale maggioritario sostiene che, poiché il licenziamento per giusta causa presuppone la lesione del vincolo fiduciario, svariati possono essere gli elementi in grado di ledere tale vincolo e, con valutazione da farsi caso per caso, possono assurgere rilevanza anche condotte extra-lavorative.
Possono assumere rilevanza, quali condotte extralavorative, reati commessi dal prestatore di lavoro ma non nell’esercizio delle proprie mansioni.
Secondo la giurisprudenza (5) anche tali condotte possono legittimare la risoluzione del rapporto per giusta causa e ciò anche a prescindere dalla sussistenza di una sentenza di condanna passata in giudicato.
Secondo tale orientamento giurisprudenziale il “principio di non colpevolezza fino alla condanna definitiva sancito dall’art. 27 Cost., comma 2, concerne le garanzie relative all’attuazione della pretesa punitiva dello Stato, e non può quindi applicarsi, in via analogica o estensiva, all’esercizio da parte del datore di lavoro della facoltà di recesso per giusta causa in ordine ad un comportamento del lavoratore che possa altresì integrare gli estremi del reato, se i fatti commessi siano di tale gravità da determinare una situazione di improseguibilità, anche provvisoria, del rapporto, senza necessità di attendere la sentenza definitiva di condanna” ed ancora che “ il giudice davanti al quale sia impugnato un licenziamento disciplinare intimato per giusta causa a seguito del rinvio a giudizio del lavoratore con l’imputazione di gravi reati potenzialmente incidenti sul rapporto fiduciario – ancorchè non commessi nello svolgimento del rapporto – deve accertare l’effettiva sussistenza dei fatti riconducibili alla contestazione, idonei ad evidenziare, per i loro profili soggettivi ed oggettivi, l’adeguato fondamento di una sanzione disciplinare espulsiva”.
2. Casistica giurisprudenziale
Nel valutare la legittimità di un licenziamento al di là dei referenti tradizionali, costituiti dai connotati soggettivi ed oggettivi della condotta, parametrati agli obblighi contrattuali di diligenza e di fedeltà assunti dal lavoratore subordinato nei confronti del datore di lavoro (artt. 2104 e 2105 cod. civ.) e generalmente ricondotti al concetto di ”crisi del rapporto fiduciario”, può assumere rilievo anche un altro elemento che è quello costituito dal disvalore ”ambientale” che può assumere la condotta del dipendente, anche per la sua specifica posizione professionale e di responsabilità nel servizio svolto, in quanto modello diseducativo o comunque disincentivante nei confronti degli altri dipendenti della compagine aziendale.
In questo modo, il licenziamento per giusta causa, nell’ottica del datore di lavoro, può servire anche da deterrente nei confronti degli altri dipendenti dell’azienda ad astenersi da comportamenti, anche extra-lavorativi, contrari a buona fede ed idonei a ledere il vincolo fiduciario per l’azienda. Tribunale di Roma, Sezione Lavoro, 3 novembre 2011, n. 17746
In tema di licenziamento per violazione dell’obbligo di fedeltà, il principio secondo cui il carattere extralavorativo di un comportamento non ne preclude la sanzionabilità in sede disciplinare, quando la natura della prestazione dovuta richieda un ampio margine di fiducia esteso ai comportamenti privati del lavoratore, non trova applicazione ove il comportamento del prestatore si estrinsechi in atti che siano espressione della libertà di pensiero, in quanto la tutela di valori tutelati costituzionalmente (art. 21 Cost.) non può essere recessiva rispetto ai diritti-doveri connaturati al rapporto di lavoro (nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la legittimità del licenziamento irrogato, per violazione dell’obbligo di fedeltà, a un direttore esecutivo di testata giornalistica che aveva pubblicato presso altre case editrici un volume relativo ad argomenti trattati anche dalla rivista della quale era dipendente). Cass. civ., 16 febbraio 2011, n. 3822, in Riv. It. Dir. lav., 2012, 29
Un contratto collettivo di lavoro preveda, nel caso in cui il dipendente venga sottoposto ad una misura restrittiva della libertà personale, la più grave sanzione disciplinare (licenziamento senza preavviso) solo qualora intervenga una sentenza definitiva di condanna, l’esemplificazione delle condotte non è nè vincolante né tassativa, permanendo comunque, in capo al datore di lavoro, la facoltà di recesso di cui all’art. 2119 c.c., disposizione che, nel prevedere il recesso qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria del rapporto, attribuisce al giudice del merito il potere dovere di valutare l’idoneità della dedotta causa di risoluzione del rapporto”. Cass. civ., 19 dicembre 2008, n. 29825; Cass. civ., 17 giugno 2004, n. 11369
Una volta accertato che il ricorrente era coinvolto con ruolo di protagonista in una attività illecita (lotto clandestino in ambiente di lavoro) – anche a prescindere dal fatto che tale attività avvenisse con l’utilizzo del tempo di lavoro e/o delle strutture aziendali – è legittima la sanzione espulsiva del dipendente (nella specie dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato postulante per finalità istituzionale un rigoroso senso del dovere, correttezza ed onestà da parte del personale) in considerazione del consolidato principio per cui se il comportamento extralavorativo del dipendente è, di regola, irrilevante ai fini della lesione del vincolo fiduciario (che è alla base del rapporto di lavoro), può acquistare rilievo al richiamato effetto qualora presenti una particolare gravità oppure esiga, in ragione di peculiari caratteristiche della prestazione, un più ampio margine di fiducia, esteso anche alla serietà della condotta privata, il cui venir meno menoma l’idoneità professionale, cui si riferisce l’art. 8 S.L. (nella fattispecie, è stata ritenuta irrilevante la mancata previsione – nel Regolamento per il Personale – della infrazione commessa tra le trasgressioni sanzionabili con il licenziamento, atteso che, a differenza delle sanzioni conservative, il potere di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo deriva direttamente dalla legge, e segnatamente dagli artt. 2119 c.c. e 3 L. 604/66, i cui precetti sono all’uopo dotati di sufficiente determinatezza, né è ipotizzabile che debbano formare oggetto di codice disciplinare tutti i possibili comportamenti atti ad integrarne gli estremi). Cass., 30 agosto 2000, n. 11430, in Lavoro e prev. oggi, 2000, 2093
Poiché il rapporto di dipendenza del lavoratore non comporta un vincolo che investa l’intera sua persona, è da escludersi la configurabilità di una giusta causa di risoluzione del rapporto di lavoro nel caso di condotte estranee all’attività lavorativa e attinenti alla vita privata del lavoratore medesimo (nella fattispecie, il lavoratore, recatosi ad acquistare un modesto quantitativo di sostanze stupefacenti, era stato oggetto di un procedimento penale con l’imputazione di commercio e spaccio di sostanze stupefacenti, imputazione, peraltro, dalla quale era stato assolto per insussistenza del fatto dal giudice dell’udienza preliminare). Pret. Lecco, 2 giugno 1995, est. Pazzi, in D&L, 1995, 1023
Manuela Rinaldi
Avvocato foro Avezzano Aq – Dottoranda in Diritto dell’Economia e dell’Impresa Università La Sapienza, Roma, Proff. Maresca – Santoro Passarelli; Tutor di Diritto del Lavoro c/o Università Telematica Internazionale Uninettuno (UTIU) Docente prof. A. Maresca; Docente in corsi di Alta Formazione Professionale e Master e in corsi per aziende; già docente a contratto a.a. 2009/2010 Diritto del Lavoro e Diritto Sindacale Univ. Teramo, facoltà Giurisprudenza, corso Laurea Magistrale ciclo unico, c/o sede distaccata di Avezzano, Aq
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(1) Art. 2119, 1 co., cod. civ.
(2) Sul punto cfr. Barbato M., http://www.lavoropareri.com/giusta-causa-di-licenziamento-e-comportame-n/
(3) Vallebona A., Istituzioni di diritto del lavoro, Il rapporto di lavoro, Padova, 2011, 456.
(4) Cass. 2 agosto 2010, n. 17969, in Mass. giuv. lav., 2011, 158 ss., con nota di TAMBURRO, Il cuoco contrabbandiere: giusta causa oggettiva di licenziamento.
(5) Cass. civ., 19 dicembre 2008; Cass. civ., 10 settembre 2003, n. 13294.
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