Condotta extralavorativa del lavoratore e licenziamento per giusta causa

La condotta extralavorativa del lavoratore può assumere rilievo disciplinare, a condizione però che la stessa abbia un riflesso anche solo potenziale, ma comunque oggettivo, sulla funzionalità del rapporto, a causa della compromissione dell’aspettativa datoriale circa un futuro puntuale adempimento dell’obbligazione lavorativa, “in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attività” svolta dal dipendente licenziato.
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Indice

1. La nozione di giusta causa di licenziamento


Prima di esaminare quando il comportamento del lavoratore – posto in essere al di fuori dell’ambiente lavorativo – possa avere influenza anche sul rapporto e portare anche al licenziamento, è necessario delineare in via preliminare la nozione di giusta causa di licenziamento.
La giusta causa di licenziamento- ai sensi dell’art. 2119 c.c. – si sostanzia in un comportamento talmente grave da non consentire neppure in via provvisoria la prosecuzione del rapporto di lavoro.
Secondo l’interpretazione giurisprudenziale la “giusta causa” di licenziamento è ravvisabile a fronte di condotte che rivestano il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario, perché idonee a minare l’affidamento che il datore di lavoro deve poter riporre sulla futura correttezza dell’adempimento della prestazione lavorativa.
La fiducia, infatti, è l’elemento che condiziona la durata del vincolo contrattuale e può avere un’intensità differenziata a seconda della funzione, della natura e della qualità del singolo rapporto, della posizione delle parti, dell’oggetto delle mansioni e del grado di affidamento che le stesse esigono.
La valutazione sulla gravità dell’inadempimento e sulla proporzionalità della sanzione rispetto all’addebito contestato deve essere espressa tenendo conto, da un lato, dei profili oggettivi e soggettivi della condotta, dall’altro delle caratteristiche proprie del rapporto in relazione al quale va valutata la possibilità o meno della prosecuzione. (Cass. 10236/2023).
Non è necessario che l’elemento soggettivo della condotta del lavoratore si presenti come intenzionale o doloso, nelle sue possibili e diverse articolazioni, posto che anche un comportamento di natura colposa, per le caratteristiche sue proprie e nel convergere degli altri indici della fattispecie, può risultare idoneo a determinare una lesione del vincolo fiduciario così grave ed irrimediabile da non consentire l’ulteriore prosecuzione del rapporto. (Cass. n. 13512/2016, Cass. n. 5548/2010).
Del tutto irrilevante poi è l’assenza o la speciale tenuità del danno aziendale ai fini della giusta causa di licenziamento, mentre ciò che rileva è la idoneità della condotta del lavoratore a porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento della prestazione lavorativa, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del lavoratore rispetto agli obblighi assunti (Trib. Roma n. 124632/2014).
Una delle contestazioni –  molto spesso sollevate nelle controversie di impugnazione del licenziamento – è che la fattispecie integrante la giusta causa di licenziamento non è contenuta fra le ipotesi di giusta causa di recesso elencate dalla norma collettiva.
Si precisa al riguardo che le previsioni contenuti nel contratto collettivo rappresentano certamente uno dei parametri utilizzati per verificare l’esistenza della giusta causa di licenziamento, ma non sono vincolanti per il Giudice.
La giurisprudenza ha più volte sottolineato che dalla natura legale della nozione di cui all’art. 2119 c.c. deriva che l’elencazione delle ipotesi di giusta causa di recesso contenuta nei contratti collettivi ha valenza meramente esemplificativa e non preclude un’autonoma valutazione del giudice di merito circa l’idoneità di un grave inadempimento o comportamento del lavoratore, contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, a far venire meno il rapporto fiduciario con il datore di lavoro (in tal senso: Cass. Civ., Sez. lav., 12 febbraio 2016, n. 2830, in Mass. Giur. lav., 2016, 5, 300; Cass. Civ., Sez. lav., 18 febbraio 2011, n. 4060; Cass. Civ., Sez. lav.,16 marzo 2004, n. 5372; Cass. Civ., Sez. lav., 24 ottobre 2018, n. 27004


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2. La condotta extralavorativa posta in essere dal lavoratore può giustificare il licenziamento per giusta causa?


La giurisprudenza ha ritenuto che la nozione di giusta causa di licenziamento possa essere integrata anche da comportamenti, posti dal lavoratore fuori dall’ambito lavorativo e non direttamente riguardanti l’esecuzione della prestazione lavorativa.
Deve trattarsi però di condotte che abbiano un riflesso, sia pure soltanto potenziale ma oggettivo, sulla funzionalità del rapporto, compromettendo le aspettative d’un futuro puntuale adempimento dell’obbligazione lavorativa, in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attività (Cass. n. 17166/2016).
Il lavoratore infatti non è tenuto solo a fornire la prestazione richiesta, ma anche l’’obbligo accessorio a non porre in essere- fuori dall’ambiente di lavoro- comportamenti idonei a ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o a comprometterne il rapporto di fiducia (cfr. Cass. n. 776 del 2015; Cass. n. 16268 del 2015).
Sulla scorta di tali principi ad esempio la Corte di Cassazione, Sez. lavoro, con l’ordinanza, 15/10/2021, n. 28368  ha  reputato legittimo il licenziamento per giusta causa intimato ad un lavoratore – condannato, sia pure con sentenza non passata in giudicato, per produzione e detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti – sul rilievo che tale contegno, presupponendo l’inevitabile contatto con ambienti criminali, pregiudicasse l’immagine dell’azienda, aggiudicataria di pubblici appalti.
Recentemente invece la Corte di Cassazione Sez. Lav., con la sentenza del 25 luglio 2023, n. 22077
ha ritenuto illegittimo il licenziamento del lavoratore intimato a seguito della denuncia per maltrattamenti della convivente.
Si è ritenuto che la condotta del lavoratore  non era in grado di influire sul rapporto di lavoro, in considerazione: a) della mancanza di qualunque eco mediatica; b) del carattere meramente esecutivo delle mansioni cui era adibito; c) della pluridecennale anzianità lavorativa presso la medesima società senza mai alcun episodio di violenza e alcun procedimento disciplinare;  e) della mancanza di qualunque elemento dal quale si potesse trarre il timore di condotte violente o minacciose nei confronti dei colleghi di lavoro, con conseguente esclusione del rischio di una compromissione della loro sicurezza sul luogo di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c.
In conclusione la condotta extralavorativa del lavoratore, per quanto socialmente deprecabile, può essere posta a base del licenziamento per giusta causa soltanto laddove sia tale da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra le parti e/o comunque idonea a ledere gli interessi morali o materiali del datore di lavoro.

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Iolanda Spagnolo

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