Condotte disdicevoli dei lavoratori che, sebbene assunte nella vita privata extralavorativa, implicano il venir meno del rapporto fiduciario

Le tesi della Dottrina

Fin dalle origini della riflessione sul contratto di lavoro, il fondamento del potere di recesso per giusta causa viene ri- condotto alla natura fiduciaria del rapporto di lavoro (Carnelutti;Barassi;Ghezzi;Diamanti).

Una delle più rilevanti implicazioni di tale ricostruzione consiste nel consntire che rilevino quali giusta causa di recesso fatti estranei alle obbligazioni contrattuali, comunque idonei a far venir meno la fiducia.

In sostanza si potrebbe recedere per giusta causa anche in presenza di situazioni che di per sè non integrano inadempi- menti contrattuali.

Con l’entrata in vigore del codice civile del 1942 si afferma l’opinione che tende a far valere sub specie di giiusta causa anceh fatti estrenei allo stretto adempimento contrattuale: la c.d. teoria oggettiva (Santoro Passarelli).

In contrapposizione a tale opinione si assume che, anche a voler porre a base del recesso per giusta causa la concezione fiduciaria del rapporto, non potrebbe comunque prescindersi da una valutazione di compatibilità di comportamenti extra lavorativi ritenuti rilevanti con le obbligazioni contrattuali: la cosidetta teoria contrattuale (v. per tutti: Riva Sanseveri- no). (C.f.r. Mazzotta, Diritto del Lavoro, ed. Giuffrè, pag. 658-659)

L’orientamento giurisprudenziale

“La fiducia, che è fattore condizionante la permanenza del rapporto, può essere compromessa, non solo in conseguenza di specifici inadempimenti contrattuali, ma anche in ragione di condotte extralavorative che, seppure tenute al di fuori dell’azienda e dell’orario di lavoro e non direttamente riguardanti l’esecuzione della prestazione, nondimeno possono essere tali da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra le parti qualora abbiano un riflesso, sia pure soltanto potenziale ma oggettivo, sulla funzionalità del rapporto e compromettano le aspettative di un futuro puntuale adempimento dell’obbligazione lavorativa, in relazione alle specifiche mansioni o alla particolare attività (C.f.r. Cass 24023/2016; Cass. 17166/2016).

Ed ha proseguito affermando il seguente corollario: “Se, dunque, la giusta causa è ravvisabile anche in relazione a fatti estranei all’obbligazione contrattuale, purchè idonei ad incidere sul vincolo fiduciario, a maggior ragione assume rilevanza ai suddetti fini la condotta tenuta dal lavoratore in un precedente rapporto, tanto più se omogeneo a quello in cui il fatto viene in considerazione” (Cass. 15373/2004) (Altalex.com “L’orientamento rigoristico più recente, in corso di netto consolidamento, di Mario Meucci).

La Cassazione, nell’ultima pronuncia, relativa ai presupposti per il licenziamento, ha aderito a un orientamento più restrittivo (C.f.r. Cass.n. 428 del 18 Gennaio 2019).

Il caso riguarda un dipendente di Equitalia il quale, si era adoperato, in un precedente rapporto, per far ottenere sgravi indebiti di cartelle esattoriali.

Il licenziamento è dunque stato ritenuto dalla Cassazione legittimo perchè tali fatti, sebbene estranei al rapporto di la- voro in essere, possono essere ritenuti idonei a ledere la fiducia del datore di lavoro.

Alcune considerazioni

Come tutti i contratti, anche il rapporto di lavoro risente dell’impostazione civilistica.

E’ quindi normale che ciò che lede il rapporto sinallagmatico e la fiducia con la quale un rapporto è generato, sia relativamente all’aspetto causale (giusta causa) che all’aspetto più prettamente individuale, sia anch’esso il giustificato motivo oggettivo, oltre al giustificato motivo soggettivo, generi, per diretta conseguenza, la cessazione dello stesso.

Come evidente, da quanto sopra esposto, la rilevanza dei fatti per i quali un licenziamento è legittimato ha dato da sempre luogo a discussioni anche di ordine dottrinario, prima ancora che giurisprudenziale.

Basti qui richiamare le tesi del Santoro Passarelli e quelle di Riva Sanseverino.

Casistica particolare

Esiste poi casisitica, relativa a condotte che hanno in passato legittimato il licenziamento.

Ad esempio, Cass. 03 Settembre 2013, n. 20158 ha ritenuto legittimo il licenziamento di un lavoratore addetto alla cura e all’assistenza degli anziani che spacciava stupefacenti (C.f.r anche, limitatamente allo spaccio di stupefacenti: Cass. 09 marzo 2016 n. 4633).

Altra casistica rilevante la si rinviene, ad esempio, in Cass. 30 Gennaio 2013, n 2168, per violenza sessuale nei confronti di terzi o, in ultimo, anche per reato di ricettazione compiuto da dipendente di Banca (Cass. 13.04.2002, n. 5332).

Tesi del “minimo etico”

A fronte di tutte le tesi e delle varie casistiche, assume invece rilevanza la tesi del c.d. “minimo etico”. L’orientamento di Cassazione da cui muove tale tesi, infatti, stabilisce che “anche relativamente alle sanzioni disciplinari conservative_ e non per le sole sanzioni espulsive_ deve ritenersi che, in tutti i casi nei quali il comportamento sanzionatorio sia immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito, perchè contrario la c.d. minimo etico o a norme di rilevanza penale,  non sia necessario provvedere alla affissione del codice disciplinare, in quanto il lavoratore ben può rendersi conto, anche al di là di una analitica predeterminazione dei comportamenti vietati e dalle relative sanzioni da parte del codice disciplinare, della illiceità della propria condotta”. (C.f..r Cass. 27.01.2011, n. 1926).

Com’è evidente, ivi si parla di fatti, di qualcosa che non necessariamente è inerente al rapporto di lavoro.

Questioni, peraltro, ancor più rimarchevoli, laddove si consideri il percorso argomentativo della Cassazione, sempre in un’altra pronuncia del 2011.

Stabilisce la Suprema Corte, nella pronuncia 4060 del 18.02.2011, che “La giusta causa di licenziamento è nozione legale e il giudice non è vincolato dalle previsioni del contratto collettivo. Ne deriva che il giudice può ritenere la sussistenza della giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile ove tale grave inadempimento o tale grave comportamento, secondo un apprezzamemento di fatto non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, abbia fatto venire meno l rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore; per altro verso, il giudice può escludere altresì che il comportamento del lavoratore costituisca di fatto una giusta causa, pur essendo qualificato tale dal contratto collettivo, in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato (Cf.r. Sent. Cit.).

Sulla stessa falsariga va annoverato anche il principio espresso il Cass. 18 settembre 2009, n. 20270, laddove, in tema di sanzioni disciplinari, stabilisce che la pubblicità in luogo accessibile a tutti non si applica laddove si sia in presenza di situazioni concretanti violazione dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro”.

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Brevi considerazioni finali

Come dunque appare evidente anche in questa pronuncia, in questi casi, anche laddove si voglia aderire alla tesi del minimo etico, è comunque necessario un qualcosa che possa ricondurre i fatti al rapporto di lavoro.

A qualcosa che comunque possa essere ricondotto al contratto e ai sui elementi.

Certamente, anche alla luce degli orientamenti citati sopra, un ruolo rilevante gioca sempre la fiducia. Dunque è per questo che la discussione in subiecta materia tenderà sempre a essere aperta.

Chi scrive, sebbene anche fautore di tesi che possano comprendere, tra i detti elementi, la fiducia, tende però a rimar- care che l’elemento di colleganza con il rapporto di lavoro in essere e ai suoi requisiti debba comunque sempre sussistere.

Altrimenti potrebbero darsi situazioni che possono portare a un disequilibrio nei poteri delle parti, sovente a favore del datore di lavoro.

Con questo nessuno vuole dire che condotte disdicevoli, anche nella vita privata, non possano e non debbano essere prese in considerazione, ma, cosa più importante di tutte, le norme vanno sempre interpretate

Michele Vissani

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