A cura di Stefano Petri, Avvocato DLA Piper
Licenziamento per giusta causa e condotte extralavorative: quando è legittimo il provvedimento espulsivo? Risponde la Cassazione con l’ordinanza n. 14114/2023.
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Indice
1. Il principio su cui si fonda l’ordinanza
È legittimo il licenziamento per giusta causa adottato nei confronti del dipendente condannato in sede penale per violenza sessuale ai danni di una minore di età, sebbene il reato sia stato commesso al di fuori del contesto lavorativo. La gravità di una condotta del genere, infatti, indipendentemente dalle circostanze in cui è stata commessa e dal tempo trascorso dal fatto, è idonea a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario alla base del rapporto di lavoro, a maggior ragione ove l’attività lavorativa svolta ponga il lavoratore a diretto contatto col pubblico.
2. Il caso di specie: i giudizi di merito
La Corte di appello di Ancona confermava la sentenza del Tribunale della medesima città, il quale aveva ritenuto illegittimo il licenziamento intimato a un dipendente nell’agosto del 2018 disponendone la reintegrazione sul posto di lavoro.
I giudici di secondo grado evidenziavamo che la condotta contestata al lavoratore (ovvero, una condanna penale per violenza sessuale a carico di una minorenne in una discoteca) non poteva giustificare il provvedimento espulsivo impugnato, tenuto conto che il reato era stato commesso ben 13 anni prima e per una “sola” volta: tali circostanze facevano ragionevolmente prevedere che “il lavoratore non si sarebbe reso nuovamente responsabile di azioni analoghe”.
In aggiunta, la Corte d’Appello riteneva che la condotta addebitata al dipendente “non potesse avere rilievo nello svolgimento di mansioni a contatto con la clientela” poiché realizzatasi al di fuori dell’attività lavorativa.
Quanto alla tutela riconosciuta al lavoratore, i giudici del reclamo confermavano la reintegrazione di quest’ultimo in azienda poiché – a parer loro – il fatto contestato non aveva rilievo disciplinare e, pertanto, doveva essere ritenuto insussistente.
Ricorreva così innanzi ai Giudici di legittimità il datore di lavoro.
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3. Il parere della Cassazione
In considerazione dei motivi di gravame proposti, gli ermellini hanno accolto il ricorso del datore di lavoro con l’ordinanza n. 14114 del 23 maggio 2023, affermando dei principi diametralmente opposti rispetto a quelli su cui le pronunce di merito si sono fondate, essendo invece la condotta del dipendente assolutamente idonea a ledere il vincolo fiduciario.
Secondo la Corte di Cassazione, infatti: “Non v’è dubbio che il comportamento per il quale il lavoratore è incorso in una condanna in sede penale, per quanto risalente nel tempo, rivesta un carattere di gravità che non può essere suscettibile di attenuazione solo per effetto del tempo trascorso, dato del tutto neutro. Né tale condotta può esser considerata meno grave, secondo il diffuso comune sentire, sol perché si è svolta in un luogo deputato al divertimento”. Proseguono i Giudici di legittimità: “Una violenza sessuale ai danni di una minore di età, in qualsiasi contesto sia commessa, è secondo uno standard socialmente condiviso una condotta che per quanto di per sé estranea al rapporto di lavoro è idonea a ledere il vincolo fiduciario a prescindere dal contesto in cui la stessa è stata commessa e dal tempo trascorso dal fatto, a maggior ragione ove l’attività lavorativa svolta ponga il lavoratore a diretto contatto col pubblico”.
Peraltro, nel valutare la distanza temporale tra il fatto contestato e l’incidenza sul vincolo fiduciario la Corte d’Appello avrebbe dovuto tenere presente il momento in cui il datore di lavoro era venuto a conoscenza del fatto stesso, mai comunicatogli in precedenza. Si tratta di un elemento che rileva non soltanto ai fini di una valutazione della tempestività della reazione datoriale (che nella specie non appare essere controversa), “ma anche nella verifica della persistenza del rapporto fiduciario che deve sorreggere la relazione tra datore di lavoro e lavoratore”.
In aggiunta, la Corte d’Appello di Ancona aveva trascurato un ulteriore aspetto idoneo a legittimare la decisione datoriale. Infatti, a mente del Contratto Collettivo applicato al rapporto di lavoro, la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso trovava fondamento nel caso di “condanna passata in giudicato per condotta commessa non in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, quando i fatti costituenti reato possano comunque assumere rilievo ai fini della lesione del rapporto fiduciario“.
In base a tale disposizione collettiva, espressamente richiamata nella lettera di licenziamento “il giudice è tenuto a valutare la gravità del fatto costituente reato per come accertato e valutato in sede penale e con efficacia di giudicato senza che a tal fine rilevino altri elementi di contorno esterni (quale ad esempio il tempo trascorso e l’unicità del fatto)”. Accortezza che non era stata adottata nelle precedenti fasi di merito.
La sentenza impugnata è stata pertanto cassata con rinvio ad altra Corte di appello (Bologna anziché Ancona), affinché si proceda a riesaminare la fattispecie alla luce dei condivisibili principi sopra enunciati.
In conclusione, si può affermare che il pensiero dei Giudici di legittimità è piuttosto chiaro: ogni qualvolta un dipendente commetta un reato particolarmente grave, non rileverà, ai fini della valutazione della possibile sanzione espulsiva, il fatto che lo stesso sia stato commesso (i) al di fuori del rapporto di lavoro e (ii) parecchi anni prima del procedimento disciplinare, essendo invece sufficiente che la condotta illecita sia idonea a ledere il vincolo fiduciario alla base del rapporto (fermo restando, naturalmente, il principio di tempestività della contestazione).
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A cura di Vincenzo Ferrante | Maggioli Editore 2023
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