Condotte vessatorie perpetrate a danno dell’ex convivente dopo cessazione della convivenza more uxorio

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Condotte vessatorie perpetrate a danno dell’ex convivente a seguito della cessazione della convivenza more uxorio: maltrattamenti o atti persecutori aggravati?

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Corte di Cassazione – Sez. VI Pen. – Sent. n. 31178 del 15/05/2024

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Indice

1. Lo svolgimento processuale della vicenda

La vicenda vede come protagonista una signora reiteratamente minacciata dal suo ex compagno con il quale aveva instaurato una convivenza more uxorio conclusasi nel dicembre del 2023. Più in particolare, a seguito dell’interruzione della convivenza in parola, benché la signora avesse tentato di ‘arginare’ le condotte moleste dell’ex convivente impedendogli, nella specie, di raggiungerla telefonicamente, lo stesso – munito di coltello – si era ripetutamente recato presso la sua abitazione, nella quale viveva con il figlio appena nato, minacciandola di morte. L’ultimo delle serie di episodi molesti oggetto di valutazione risaliva al marzo scorso allorché l’uomo veniva tratto in arresto. Successivamente a tali eventi, il G.I.P. del Tribunale di Salerno procedeva con ordinanza a convalidare l’arresto in flagranza dell’indagato – peraltro già attinto dalla misura cautelare degli arresti domiciliari emessa in seno ad altro procedimento per le condotte maltrattanti perpetrate dallo stesso nel corso della pregressa convivenza terminata nel dicembre 2023 – e disponeva nei confronti dell’imputato l’applicazione della più grave custodia cautelare in carcere ritenendo sussistenti i presupposti del reato di stalking di cui all’art. 612-bis c.p. e le esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p. [1]. Avverso tale ordinanza l’indagato, per mezzo dei propri difensori, proponeva istanza di riesame e, producendo il provvedimento reso dal G.I.P. del Tribunale di Salerno in seno al procedimento per maltrattamenti con cui si disponeva per la misura degli arresti domiciliari, chiedeva la derubricazione dei fatti nella meno grave fattispecie di cui all’art. 612 co. 2 c.p. (minacce gravi) e la contestuale rimozione della custodia cautelare in carcere per difetto dei presupposti.
Il Tribunale del Riesame di Salerno, con l’ordinanza impugnata, riqualificava i fatti nella più grave fattispecie di cui all’art. 572 c.p. (maltrattamenti contro familiari e conviventi) e confermava l’ordinanza impugnata nella parte in cui disponeva per l’imputato la custodia in cautelare in carcere [2].
Secondo il Tribunale del Riesame, infatti, l’ultimo episodio verificatosi nel marzo 2024 che aveva portato all’arresto in flagranza dell’imputato doveva considerarsi non già quale «fatto isolato ed episodico, autonomamente qualificabile», quanto piuttosto come l’ennesima condotta minatoria e molesta strettamente connessa e ancorata alle pregresse condotte per le quali l’imputato veniva attinto dalla misura cautelare degli arresti domiciliari in seno al procedimento penale per il reato di maltrattamenti verso la convivente, evidenziando, nella specie, «l’omogeneità temporale del suo verificarsi, l’ identità della vittima, l’ identità del movente, ossia la non accettazione della fine della convivenza».
Detto altrimenti, nonostante la condotta molesta di cui si discute fosse stata perpetrata dall’imputato dopo il dicembre 2023 e cioè dopo l’effettiva cessazione della convivenza more uxorio, in sede di riesame, i giudici hanno ricondotto la medesima nell’alveo degli episodi pregressi dai quali è scaturita l’imputazione e la condanna dell’imputato per maltrattamenti giacché continuativi di quel regime vessatorio a cui si era dato avvio già in costanza di convivenza.
Avverso tale ordinanza la difesa dell’imputato presentava ricorso in cassazione adducendo quali motivazioni la violazione di legge e il vizio di motivazione. Più in particolare, la difesa riteneva che a fronte della riqualificazione dei fatti da atti persecutori a maltrattamenti contro familiari e conviventi, si configurerebbe come illogica la conferma della più grave misura della custodia cautelare in carcere allorché per il medesimo reato il G.I.P. del Tribunale di Salerno ne aveva disposto la meno grave misura degli arresti domiciliari. Conclusivamente, la difesa aggiungeva che, avendo l’imputato perpetrato l’ultimo degli episodi nel marzo scorso e, dunque, in un momento storico in cui non solo la convivenza era di fatto cessata ma nessun rapporto intercorreva tra l’imputato e la vittima, anche e soprattutto in virtù del blocco del numero di telefono da parte di quest’ultima, esso doveva ritenersi del tutto svincolato dagli altri episodi comportamentali sussumibili nell’ipotesi delittuosa dei maltrattamenti con conseguente derubricazione nella meno grave fattispecie di minacce gravi di cui al co. 2 dell’art. 612 c.p.
            Come si vedrà meglio nel prosieguo della trattazione, dunque, la VI sezione della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza del 30 luglio 2024, n.31178 – allineandosi all’orientamento giurisprudenziale di recente formatosi sul tema – è tornata sulla difficile individuazione della linea di demarcazione tra il reato di maltrattamenti contro i familiari e i conviventi p. e p. ex art. 572 c.p. e l’ipotesi delittuosa dello stalking di cui all’art. 612-bis c.p. nel caso di convivenza more uxorio.

2. Inquadramento giuridico della fattispecie di reato: maltrattamenti contro familiari e conviventi e atti persecutori

Al fine di comprendere al meglio la questione in esame si rende necessaria una, seppur breve, disamina delle due ipotesi delittuose di cui gli artt. 572 c.p. e 612-bis c.p.
Il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi, la cui disciplina è rinvenibile all’art. 572 c.p., ha subito negli anni significative riforme, dapprima ad opera della legge n. 172 del 1° ottobre 2012 e, più di recente, ad opera della legge n. 69 del 19 luglio 2019, comunemente nota come ‘Codice Rosso’. Più in particolare, se la prima delle anzidette leggi – ratificando la c.d. Convenzione di Lanzarote [3] – si è limitata a modificarne la rubrica da ‘Maltrattamenti contro i familiari e i fanciulli’ nell’attuale ‘Maltrattamenti contro i familiari e i conviventi’ sancendo, così, la definitiva parificazione tra la famiglia così come istituzionalmente intesa e le ulteriori forme di convivenza; diversamente, il legislatore del 2019, con l’oramai noto ‘Codice Rosso’, ne ha profondamente innovato la portata normativa disponendo non solo un inasprimento della pena – fissata nella reclusione da tre a sette anni e non più da due a sei anni – ma introducendo, altresì, la fattispecie, di derivazione giurisprudenziale, della c.d. violenza assistita, configurabile nel qual caso in cui i comportamenti molesti e/o vessatori non siano rivolti direttamente in danni dei figli minori, ma li coinvolgano indirettamente, giacché inconsapevoli spettatori dei litigi tra genitori [4].
Sul piano materiale, affinché possa ritenersi integrata la fattispecie di cui all’art. 572 c.p. si rende necessaria la predisposizione di una pluralità di atti, tanto attivi quanto omissivi [5], di natura fisica o psicologica. Trattasi, dunque, di un reato abituale [6] configurabile anche attraverso la realizzazione di atti di per sé leciti e dunque non costituenti reato [7]. Detto in altri termini, la norma richiede ai fini della sua integrazione la predisposizione di una condotta fisica e/o psicologica che si presenti aggressiva e vessatoria sì da ledere, non già in modo saltuario e/o isolato quanto consueta, la personalità della vittima [8].
Infine, sotto il diverso profilo soggettivo, la giurisprudenza è concorde nel ritenere sufficiente il dolo generico e cioè la coscienza e la volontà di infliggere alla vittima – pur in assenza di una programmazione ab origine dei singoli episodi [9] – una serie di sofferenze stabilendo una rete di prevaricazioni e vessazioni che ne sviliscono la personalità spingendola a subire, reiteratamente, un forte disagio che gli impedisca una serena condizione di vita [10]. Di talché, a fronte della richiesta coscienza e volontà della condotta oppressiva e prevaricatrice [11], dell’irrilevanza delle finalità perseguite dal soggetto attivo del reato nel perpetrare gli atti vessatori [12] nonché di una previa prefigurazione degli stessa [13], la giurisprudenza è pacifica nel richiamare il dolo nei termini di ‘dolo unitario’.
Per ciò che concerne il bene giuridico tutelato dalla norma è d’uopo evidenziare come, differentemente dal Codice Zanardelli che inquadrava il reato in parola nell’ambito dei delitti contro la persona, il Codice Rocco – operando una scelta politica del tutto nuova – colloca il reato de quo nell’alveo dei delitti contro la famiglia giacché la sua configurabilità presuppone quali destinatari delle condotte di maltrattamenti soggetti legati da peculiari vincoli di relazioni familiari con il soggetto attivo del reato. Di talché, il bene giuridico tutelato dalla norma, seppur controverso, deve rinvenirsi – a mente della più recente giurisprudenza di legittimità – «non solo nell’interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia da comportamenti vessatori e violenti, ma anche dalla difesa dell’incolumità fisica e psichica dei soggetti indicati nella norma stessa, interessate al rispetto della loro personalità nello svolgimento di un rapporto fondato su vincoli familiari» [14].
La collocazione sistematica della norma in commento conferma, dunque, come, nonostante l’impiego del termine ‘chiunque’, il reato in esame rientra nella categoria dei c.d. reati propri giacché l’autore del reato può essere solamente il soggetto che, come detto, risulti essere legato alla vittima da un determinato vincolo. Nella specie, per come si evince dal tenore letterale della norma in commento, tale vincolo giuridico può discendere da tre differenti categorie di rapporti intersoggettivi: i rapporti di autorità tra l’autore del reato e la vittima o quelli di affidamento e/o cura i quali presuppongono, ai fini della configurabilità del delitto, rispettivamente una dipendenza della vittima derivante dallo svolgimento di una professione o da rapporti di cura e custodia [15], ben potendo sussumere, dunque, nell’ambito dell’art. 572 c.p. il c.d. mobbing lavorativo [16] nonché i rapporti di famiglia, all’interno dei quali l’autore del reato può essere qualsivoglia membro della famiglia.
Tuttavia, in difetto di una definizione univoca di ‘persona di famiglia’ (quantomeno inizialmente) da parte del legislatore, i giudici ne diedero, ancor prima delle intervenute novelle del 2012 e del 2017, un’interpretazione estensiva che, svincolandosi dal concetto istituzionale di famiglia, affiancava al matrimonio inteso in senso civilistico anche le relazioni scaturenti dalla filiazione naturale e dalla convivenza more uxorio [17]. Un’interpretazione quella offerta dai giudici che ha trovato conferma – come anticipato – dapprima con l’intervento normativo del 2012 che ha ampliato la tutela normativa di cui all’art. 572 c.p. anche ai conviventi e, successivamente, con l’introduzione dell’art. 574-ter c.p. [18] il quale, come noto, a seguito dell’introduzione della c.d. legge Cirinnà, ha esteso la nozione di relazioni familiari facendovi rientrare altresì quelle costituite mediante un’unione civile tra persone dello stesso sesso, permettendo così di riconoscere la qualità di “coniuge” anche ai soggetti facenti parte di tale unione [19].
Ebbene, tanto l’abitualità della condotta quanto – per ciò che in tal sede rileva – la sussistenza di una matrice di ordine relazionale simile a quella richiesta ai fini della configurabilità del delitto p.e p. dall’art. 572 c.p. sono altresì rinvenibili in una ulteriore fattispecie prevista e disciplinata dal nostro codice penale all’art. 612-bis c.p., rubricato ‘atti persecutori’ [20] e, segnatamente, nel co.2 dell’art. 612-bis c.p. laddove il legislatore sancisce un aggravio della pena nel qual caso in cui il fatto venga perpetrato a danno del coniuge «anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa […]» .
Il reato in parola, comunemente noto come ‘stalking’, è stato introdotto all’interno del nostro ordinamento ad opera dal d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, recante «misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori» econvertito, con modificazioni, nella legge 23 aprile 2009, n. 38, con il chiaro intento di contrastare l’allarmante fenomeno dello stalking [21]. A distanza di pochi anni dalla sua introduzione, con d.l. n. 93 del 2013, convertito con legge n. 119 del 2013, è stata ampliata la portata normativa dell’aggravante di cui al co. 2 della norma in esame a qualsivoglia tipologia di rapporto affettivo, sia esso in corso o terminato, formalizzato o meno [22]. Infine, il progressivo aumento di tale fenomeno ha reso necessario un ulteriore intervento legislativo volto ad inasprirne le pene, elevate così da un anno a sei anni e sei mesi anziché da sei mesi a cinque anni come previsto in precedenza [23].
Orbene, volendo operare un seppur breve parallelismo tra le due differenti fattispecie criminose, si noti anzitutto la differente collocazione sistematica del reato di cui all’art. 612-bis c.p. che, giacché inquadrato nella sezione dei beni contro la libertà morale e a ridosso della norma sulla minaccia di cui all’art. 612 c.p., induce a ritenere quale bene giuridico tutelato dalla norma quello della tranquillità individuale nonché, avendo riguardo all’evento del costringimento della vittima a modificare le proprie abitudini di vita, quello della libertà di autodeterminazione della vittima. Diversamente dal reato di maltrattamenti quello di stalking rientra nell’alveo dei c.d. reati comuni ben potendo la condotta essere integrata da qualsivoglia soggetto benché molto spesso il soggetto agente si indentifichi in colui che è legato alla vittima da rapporti affettivi e/o sentimentali.
Sotto il  profilo materiale, la condotta tipizzata dalla norma in commento si sostanzia (anche in tal caso) nella reiterazione di comportamenti minacciosi (art. 612 c.p.) e/o molesti (art. 660 c.p.) tali da provocare nella vittima uno dei tre eventi alternativi tipizzati dalla norma e cioè “un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.
Infine, sotto il profilo psicologico, analogamente a quanto già riportato sopra in ordine al reato di maltrattamenti, anche il delitto di stalking è punibile a titolo di dolo generico c.d. unitario essendo sufficiente la volontà da parte del soggetto attivo di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nonché la coscienza da parte del medesimo circa l’idoneità delle stesse alla produzione di uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice di cui si è detto poc’anzi [24].

3. La Cassazione sul discrimine tra maltrattamenti e le successive condotte persecutorie in danno dell’ex convivente

Alla luce della disamina, seppur sommaria, delle due fattispecie in esame, appare evidente come l’attività volta ad individuare la linea di discrimen tra le stesse risulti tutt’altro che agevole soprattutto a fronte dell’ampliamento, ad opera della legge n. 119 del 2013, della portata applicativa soggettiva dell’aggravante di cui co. 2 del reato di stalking ad ogni tipologia di relazione affettiva, terminata o in corso, formalizzata o meno.
Sul tema la giurisprudenza si è mostrata, nel tempo, tutt’altro che pacifica.
E, infatti, a mente di un primo consolidato indirizzo [25] la clausola di riserva prevista dal co.1 dell’art. 612-bis c.p. in favore del più grave reato di maltrattamenti determina l’assorbimento degli atti persecutori allorché la relazione tra i due soggetti, benché cessata, appaia connotata dal protrarsi di un vincolo di solidarietà [26] trovando, invece, applicazione la fattispecie di stalking aggravato nell’ipotesi in cui, a causa del venir meno del vincolo di solidarietà, non si ravvedano vincoli affettivi e di assistenza reciproca equiparabili a quelli propria della famiglia o della convivenza abituale. La configurazione del più grave reato di maltrattamenti di cui all’art. 572 c.p. viene, dunque, ancorata alla sussistenza del legame familiare tra i soggetti coinvolti nonché dai vincoli giuridici derivanti dalla presenza di figli e dai doveri di solidarietà ed assistenza ad essa correlati, che si riflettono anche sui partner. Detto altrimenti, ad avviso dei giudici, la presenza di prole tra i soggetti coinvolti e la perdurante necessità, anche giuridica, degli stessi di adempiere ai loro doveri di genitori implica necessariamente un rispetto reciproco tra i genitori tale da ricomprendere la condotta vessatoria eventualmente perpetrata nell’ipotesi delittuosa più grave dei maltrattamenti, pur in assenza di una concreta ed effettiva convivenza tra gli stessi [27] eventualmente anche attestata da un provvedimento formale di separazione legale o di divorzio. Risultando, al contrario, ravvisabile l’ipotesi delittuosa dello stalking aggravato allorché si sia dinnanzi alla definitiva interruzione di qualsivoglia rapporto tra i partner «sì da non potersi parlare – né in senso tecnico e formale, né in senso atecnico ed informale – di “famiglia”» [28].
Un secondo orientamento giurisprudenziale senz’altro più rigoroso, invece, ritiene configurabile il reato di stalking aggravato allorché le condotte moleste e/o vessatorie, pur essendo sorte nell’ambito di una comunità familiare, prescindano dalla fattispecie dei maltrattamenti per via della sopravvenuta cessazione del vincolo familiare ed affettivo o comunque della sua attualità temporale [29]. Più in particolare, tale filone giurisprudenziale  – pur condividendo il principio di diritto enunciato dal primo degli orientamenti esaminati per cui, come detto, il delitto di maltrattamenti in famiglia resta comunque configurabile in danno della persona non convivente o non più convivente, allorché questi continuino ad essere effettivamente e concretamente legati da vincoli nascenti dal coniugio o dalla filiazione, non facendo venir meno, né la separazione né il divorzio, i doveri di reciproco rispetto e di assistenza materiale e morale tra i coniugi – aderisce ad un’accezione maggiormente restrittiva dei concetti di famiglia e convivenza che, in quanto tali, presuppongono una «comunità connotata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale e da una duratura comunanza di affetti implicante reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza, fondata sul rapporto di coniugio o di parentela o, comunque, su una stabile condivisione dell’abitazione, ancorché non necessariamente continuativa» [30] addivenendo, dunque, a ritenere non più ‘persona di famiglia’ rispetto all’autore del reato (presupposto indispensabile ai fini della configurazione della più grave fattispecie di cui all’art. 572 c.p.) colui che recida qualsivoglia vincolo e/o rapporto con l’ex partner. Sicché, a mente dell’orientamento in commento, contrariamente all’interpretazione estensiva che estende in malam partem la disciplina della convivenza more uxorio – in difetto, è bene ribadirlo, di una legge che ne disciplini organicamente il fenomeno oltre che gli effetti giuridici che esso determina tra le parti quando ormai la relazione interpersonale è cessata – a quella del vincolo coniugale [31], la giurisprudenza maggiormente restrittiva, ispirandosi al divieto di analogia nella considerazione dei differenti modelli di famiglia [32], tiene conto della volontà dei conviventi di sottrarsi agli effetti giuridici tipici della famiglia matrimoniale e dell’unione civile ammettendo così, nel caso di convivenza more uxorio, la configurazione del delitto di maltrattamenti solamente per le condotte tenute fino a che la convenienza non sia cessata e facendo rientrare, di contro, le azioni violente e persecutorie compiute in epoca successiva nell’alveo dello stalking aggravato di cui al co. 2 dell’art. 612-bis c.p.
È in tale contesto giurisprudenziale, quindi, che si inserisce la sentenza pronunciata dalla VI sezione della Suprema Corte di Cassazione che – in linea con il più risalente e restrittivo orientamento nomofilattico sopra richiamato – aderendo all’accezione più ristretta del concetto di famiglia e convivenza, prende atto di come, nel caso sottoposto al suo vaglio, essendo le condotte perpetrate dall’imputato nei confronti della vittima fossero posteriori alla cessazione della convivenza more uxorio e, dunque, in un momento in cui i due ex conviventi avevano reciso qualsivoglia tipologia di vincolo (anche e soprattutto in considerazione del blocco dei contatti da parte della vittima) esse debbano ritenersi non già riconducibili nell’alveo della più grave fattispecie di cui all’art. 572 c.p. quanto piuttosto nell’ipotesi delittuosa dello stalking aggravato di cui al co.2 dell’art. 612-bis c.p.
A fronte di tali considerazioni, dunque, la Suprema Corte ha annullato l’impugnata ordinanza rinviando al Tribunale della libertà competente per territorio per un nuovo giudizio in ordine alla eventuale sussistenza dei requisiti del delitto di atti persecutori e, in caso positivo, in ordine alla sussistenza dei presupposti dell’applicata misura cautelare in carcere.

Note

  1. [1]

    Cfr. Cassazione penale sez. VI, 15/05/2024, (ud. 15/05/2024, dep. 30/07/2024), n.31178, §. 1 del Ritenuto in fatto

  2. [2]

    Cfr. Cassazione penale sez. VI, 15/05/2024, (ud. 15/05/2024, dep. 30/07/2024), n.31178, §. 2 del Ritenuto in fatto.

  3. [3]

    Cfr. Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei bambini contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali, siglata il 25 ottobre 2007 a Lanzarote

  4. [4]

    Così l’art. 9, co. 2, lett. c), l. n. 69/2019. Per un approfondimento sul tema si rinvia a J. LONG, La “violenza assistita intrafamiliare”: un’introduzione, in “La violenza di genere dal Codice Rocco al Codice Rosso Un itinerario di riflessione plurale attraverso la complessità del fenomeno” (a cura di) B. PEZZINI, A. LORENZETTI, Giappichelli, Torino, 2020, pp. 65-79.

  5. [5]

    Cfr., ex multis, Cassazione penale sez. VI, 17/01/2013, n.9724 in CED Cassazione penale 2013. A tal riguardo, la giurisprudenza più recente, ha avuto modo di precisare come il reato non esclude affatto la possibilità del concorso altrui nella sua consumazione mediante omissione. Più in particolare, la Suprema Corte ha, infatti, statuito che «è configurabile il concorso per omissione nei delitti di maltrattamenti e lesioni nel caso in cui il genitore di figli minori, nella consapevolezza delle reiterate condotte violente perpetrate dal convivente nei confronti dei ragazzi, pur avendone la possibilità, ometta di intervenire per impedirle» Cfr. Cassazione penale sez. V, 11/04/2024, n.18832 in CED Cassazion penale 2024.

  6. [6]

    Cfr., ex multis, Cassazione penale sez. VI, 12/11/2014, n.51212 in CED Cassazione penale 2015; Cassazione penale sez. VI, 19/03/2014, n.15146 in CED Cassazione penale 2014.

  7. [7]

    Cfr. ex multis, Cassazione penale sez. VI, 10/03/2016, n.13422 in CED Cassazione penale 2016.

  8. [8]

    Così, da ultimo, Cassazione penale sez. VI, 14/03/2023, n.26218 cit. nonché Cassazione penale sez. VI, 09/10/2018, n.6126 in CED Cassazione penale 2019

  9. [9]

    Cfr. Cassazione penale sez. VI, 18/03/2014, n.31121 in CED Cassazione penale 2015.

  10. [10]

    La giurisprudenza di legittimità ha avuto, infatti, modo di precisare come, sotto il profilo psicologico, il reato di maltrattamenti non determini l’intenzione di sottoporre il convivente/coniuge o chicchessia, in modo continuo ed abituale, ad una serie di sofferenze fisiche e morali, ma solo la consapevolezza dell’agente di persistere in un’attività vessatoria. Cfr. Cassazione penale sez. III, 19/07/2017, (ud. 19/07/2017, dep. 13/09/2017), n.41631

  11. [11]

    Cfr. Cassazione penale sez. VI, 21/05/2015, n.30432 in Diritto & Giustizia 2015, 15 luglio.

  12. [12]

    Cfr. Corte appello Trento, 20/05/2015, n.147 in Redazione Giuffré 2016.

  13. [13]

    Cfr. Cassazione penale sez. VI, 18/03/2014, n.31121 cit.

  14. [14]

    Cfr., fra tutti, Cassazione penale sez. VI, 14/03/2023, n.26218 in Diritto & Giustizia 2023, 19 giugno.

  15. [15]

    Cfr. da ultimo, Cassazione penale sez. VI, 28/03/2019, n.16583 in CED Cass. pen. 2019.

  16. [16]

    Sul punto la giurisprudenza di legittimità ha affermato che: « Il delitto di maltrattamenti previsto dall’art. 572 c.p. può trovare applicazione nei rapporti di tipo lavorativo, a condizione che sussista il presupposto della parafamiliarità, intesa come sottoposizione di una persona all’autorità di altra in un contesto di prossimità permanente, di abitudini di vita proprie e comuni alle comunità familiari, nonché di affidamento, fiducia e soggezione del sottoposto rispetto all’azione di chi ha la posizione di supremazia». Cfr. Cassazione penale sez. VI, 28/09/2016, n.51591 in Diritto & Giustizia 2016, 5 dicembre (nota di: D. Galasso). In dottrina si rinvia a E. DOLCINI, G.L. GATTA, Art. 572, in Codice penale commentato, (a cura di E. DOLCINI – G.L..GATTA), Milano, I, 201.

  17. [17]

    In particolare la giurisprudenza ha affermato che: «In tema di maltrattamenti in famiglia l’art. 572 c.p. è applicabile non solo ai nuclei familiari fondati sul matrimonio, ma a qualunque relazione sentimentale che, per la consuetudine dei rapporti creati, implichi l’insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale». Cfr. Cassazione penale sez. VI, 18/03/2014, n.31121 cit.

  18. [18]

    L’approvazione del d.lgs. n. 6/2017, con cui è stata introdotta la disposizione di cui all’art. 574-ter, ha permesso di risolvere i dubbi interpretativi sorti a seguito dell’approvazione della l. n. 76/2016 – c.d. legge Cirinnà – che, come noto, nel disciplinare “le unioni civili tra persone dello stesso sesso” difettava di un espresso richiamo da parte del testo normativo di una previsione che ne disciplinasse la qualificazione sotto il profilo penale. Per un approfondimento sul tema si rinvia a G.L. GATTA, Unioni civili tra persone dello stesso sesso e convivenze di fatto: i profili penalistici della legge Cirinnà, in www.penalecontemporaneo.it, 11 maggio 2016.

  19. [19]

    Cfr. d.lgs. n. 6/2017, art. 1, comma 1, lett. b).

  20. [20]

    Per un approfondimento sul reato di stalking si rinvia a B. CAPICOTTO, Il reato di Stalking: delitto contro la libertà morale disciplinato dall’art. 612 bis del codice penale. Siamo di fronte ad una conquista di civiltà per le vittime di atti persecutori e molestie?, 24.09.2009 in www.diritto.it .

  21. [21]

    Con il termine stalking – termine anglosassone che significa letteralmente “fare la posta alla preda” – si vuol far riferimento alle condotte persecutorie e di interferenza nella vita privata di una persona.

  22. [22]

    Comma sostituito dall’art. 1 d.l. 14 agosto 2013, n. 93, conv. con modif., in l. 15 ottobre 2013, n. 119. Il testo del comma era il seguente: «La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa».

  23. [23]

    Il riferimento è alla legge 19 luglio 2019, n. 69 recante ‘Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere’.

  24. [24]

    Tuttavia,  preme evidenziare come, diversamente dal reato di maltrattamenti che – come pacificamente ritenuto dalla giurisprudenza – si configura quale reato abituale di condotta essendo richiesto, ai fini della sua configurabilità, che il comportamento dell’agente sia idoneo sotto il profilo oggettivo a determinare nella vittima una condizione di sofferenza psico-fisica non semplicemente transitoria, ma non anche che tale stato emotivo concretamente si realizzi e si manifesti (Cfr. Cassazione penale sez. VI, 20/09/2023, n.43307 in Diritto & Giustizia 2023, 26 ottobre (nota di: Attilio Ievolella); il reato di stalking, invece, si configura quale reato abituale di evento per cui se da un lato, similmente al reato di maltrattamenti, non si rende necessaria « una rappresentazione anticipata del risultato finale» dall’altro, viene senz’altro in rilievo « […] la costante consapevolezza, nello sviluppo progressivo della situazione, dei precedenti attacchi e dell’apporto che ciascuno di essi arreca all’interesse protetto, insita nella perdurante aggressione da parte del ricorrente della sfera privata della persona offesa» (Cfr. Cassazione penale sez. V, 10/06/2015, n.35765 in Diritto & Giustizia 2015, 27 agosto).

  25. [25]

    Da ultimo, cfr. Cassazione penale sez. VI, 26/11/2021, n.7259 in CED Cass. pen. 2022; in senso conforme si vedano, inoltre, Cassazione penale sez. VI, 03/11/2020, n.37077 in CED Cass. pen. 2021; Cassazione penale sez. III, 12/06/2019, n.43701 in CED Cass. pen. 2020; Cassazione penale sez. VI, 19/12/2017, n.3087 in CED Cass. pen. 2018; Cassazione penale sez. II, 05/07/2016, n.39331 in Diritto & Giustizia 2016, 22 settembre; Cassazione penale sez. VI, 08/07/2014, n.33882 in Diritto & Giustizia 2014, 1° agosto.

  26. [26]

    Così Cassazione penale sez. VI, 03/11/2020, n.37077 cit.

  27. [27]

    Così Cassazione penale sez. VI, 19/12/2017, n.3087 e Cassazione penale sez. VI, 19/12/2017, n.3087 cit.

  28. [28]

    Così Cassazione penale sez. VI, 19/05/2021, n.30129 in Diritto & Giustizia 2021, 3 agosto (nota di: Laura Piras)

  29. [29]

    Cfr. Cassazione penale sez. VI, 16/02/2022, n.10626 in Diritto & Giustizia 2012, 20 giugno; Cassazione penale sez. VI, 06/09/2021, n.39532 in CED Cass. pen. 2022; Cassazione penale sez. VI, 17/11/2021, n.45095 in CED Cass. pen. 2022; Cassazione penale sez. V, 04/05/2016, n.41665 in CED Cass. pen. 2017.

  30. [30]

    Ibidem.

  31. [31]

    Cfr. Cassazione penale sez. VI, 06/09/2021, n.39532 cit.

  32. [32]

    Cfr. Cassazione penale sez. VI, 30/03/2023, n.31390 in CED Cass. pen. 2023. Nello stesso senso, cfr. Cassazione penale sez. VI, 28/09/2022, n.38336 in Diritto & Giustizia 2022, 12 ottobre (nota di: Attilio Ievolella); Cassazione penale sez. VI, 16/03/2022, n.15883 in CED Cass. pen. 2022;

Annalisa Gigliotti

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