Incarichi legali: all’avvocato spetta l’equo compenso
La normativa in materia di equo compenso ha introdotto il nuovo art. 13 bis alla legge n. 247 del 2012, introducendo questo nuovo istituto, volto a tutelare la categoria degli avvocati, considerata in questa prospettiva quale parte debole nell’ambito di convenzioni concluse con grandi imprese che affidano incarichi legali al professionista. La ratio sottesa alla novella legislativa, dunque, è la medesima che caratterizza il codice del consumo, nell’ambito del quale, il rapporto contrattuale intercorre tra due parti che si trovano in posizione di disparità e, dunque, vi è la necessità di tutelare una parte dalle possibili prevaricazioni dell’altra.
Al secondo comma del summenzionato articolo, la norma stabilisce cosa si intenda per equo: tale sarebbe il compenso proporzionato in quantità e qualità alle attività difensive svolte dall’incaricato, in conformità alle tariffe previste dal D.M. 2012 (attualmente vigenti), che verranno poi sostituite dalle nuove tariffe in corso di approvazione.
I punti principali da evidenziare riguardano le cosiddette clausole vessatorie e la predisposizione unilaterale delle convenzioni di affidamento degli incarichi professionali.
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Le clausole vessatorie e il diritto alla rideterminazione del compenso
La nuova normativa individua alcune clausole da considerare vessatorie qualora siano inserite dalle grandi imprese, in via unilaterale, nelle convenzioni di affidamento dell’incarico; si tratta di clausole nulle, la cui invalidità è sollevabile unicamente dall’avvocato. Pertanto, il professionista dovrà prestare attenzione al loro inserimento in convenzione, analizzando con criticità l’accordo che gli viene sottoposto. Peraltro, qualora il compenso determinato dall’affidante non dovesse rivelarsi equo, il professionista ha la facoltà dia dire il giudice per chiedere la rideterminazione del medesimo; qualora poi, in giudizio dovesse emergere il diritto ad una retribuzione maggiore rispetto a quella determinata in via originaria dall’impresa, quest’ultima sarà tenuta a corrispondere la differenza.
Ad oggi la disciplina lascia spazi di manovra tali per cui c’è il rischio di una non corretta determinazione del compenso; rectius, di una non equa e non proporzionata fissazione della retribuzione, considerato che ciascun caso si caratterizza per circostanze proprie specifiche che lo differenziano da qualsiasi altro caso e che giustificano un compenso ad hoc. Pertanto, in dottrina è stata avanzata l’ipotesi di una determinazione flessibile delle retribuzioni, secondo parametri non rigidi,ancorché tale previsioni risulti nuovamente piuttosto astratta e poco risolutiva della problematica.
Beauty contest digitale: la scelta tra una pluralità di preventivi
Una soluzione possibile alla difficoltà di predeterminare tutta la casistica e, dunque, di fissare ex ante parametri flessibili adeguati, è l’utilizzo del beauty contest digitale, per cui l’impresa chiarisce il tipo di attività di cui necessita e raccoglie una pluralità di preventivi, formulati da diversi professionisti che, oltre al proprio compenso, specificanoaltresì il tipo di attività che andrebbero a svolgere.
Al momento, il nostro ordinamento ha optato per la digitalizzazione dell’operazione di determinazione del compenso mediante una piattaforma in cui è il professionista che determina il proprio compenso, e non l’azienda che stabilisce gli onorari invia preventiva e unilaterale. E’ quanto compie l’A.N.A.S., già da prima dell’entrata in vigore della normativa in analisi, in quanto si tratta di un sistema che permette la tracciabilità e la trasparenza della procedura.
Per approfondire leggi Equo compenso: cosa cambia con la legge di bilancio
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