L’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, accertata la illiceità del trattamento dei dati personali da parte dell’Ente regionale per illegittima diffusione di dati sensibili relativi alla condizione di salute di alcuni candidati della procedura concorsuale indetta dall’ente, vietava l’ulteriore diffusione in internet di dati sensibili che si concludeva con l’emanazione dell’ordinanza ingiunzione di importo pari ad euro 20.000,00 a titolo di sanzione amministrativa. La Corte di Cassazione, con ordinanza nr. 29049 del 6/10/22, respingeva il ricorso della Regione Abruzzo e confermava la sanzione.
Indice
1. Fatto
La vicenda prende le mosse dalla pubblicazione da parte della Regione Abruzzo di una graduatoria di soggetti ammessi e non ammessi ad un concorso riservato ai disabili. L’Ente regionale, nel bilanciamento degli interessi contrapposti della disciplina della trasparenza da una parte e dell’osservanza delle norme sul trattamento dei dati dall’altra, ha ritenuto che l’obbligo di trasparenza imposto dal D.Lgs. n. 33 del 2013 dovesse trovare piena applicazione nella procedura concorsuale in questione.
Sull’opposizione proposta dalla Regione avverso l’ordinanza ingiunzione, il Tribunale de L’Aquila rilevava come il trattamento dei dati personali poteva essere fatto in forma anonima o comunque con una modalità tale da evitare la diffusione di informazioni sullo stato di salute dei partecipanti alla selezione pubblica, così da contemperare le esigenze di pubblicità della procedura concorsuale con le esigenze di riservatezza dei candidati.
Del resto, a tale condivisibile conclusione si giunge anche applicando i principi di cui alle “Linee guida in materia di trattamento di dati personali, contenuti anche in atti e documenti amministrativi, effettuato per finalità di pubblicità e trasparenza sul web da soggetti pubblici e da altri enti obbligati” (docweb 3134436 del 15/05/14).
2. Motivi a sostegno dell’impugnazione
La Regione eccepiva la scusabilità dell’errore ed il Giudice di prime cure accertava che nella specie era rintracciabile quantomeno l’elemento soggettivo della colpa in capo all’opponente, essendo quest’ultima ben consapevole della necessità di trattare con riservo i dati sensibili e dell’esigenza di dover operare mediante l’adozione di cautele idonee ad impedire l’evento, anche in considerazione del fatto che la Regione, prima dell’emissione dell’ordinanza ingiunzione, con provvedimento n. 313/2014, era stata informata della necessità di oscurare i dati sensibili
Secondo la ricorrente, il Tribunale avrebbe omesso di considerare che l’esimente della buona fede – applicabile all’illecito amministrativo di cui alla legge evocata – rileverebbe come causa di esclusione della responsabilità amministrativa in presenza di elementi positivi idonei ad ingenerare nell’autore della violazione il convincimento della liceità della sua condotta, nella specie costituiti da un quadro normativo che la avrebbe indotta a ritenere che l’obbligo di trasparenza imposto dal D.Lgs. n. 33 del 2013 dovesse trovare piena applicazione nella procedura concorsuale in questione.
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3. Le motivazioni della Corte di Cassazione
Osserva la Corte di Cassazione che in tema di illecito amministrativo, l’error iuris, quale causa di esclusione della responsabilità (in analogia a quanto previsto dall’art. 5 c.p.) viene in rilievo soltanto a fronte della inevitabilità dell’ignoranza del precetto violato, il cui apprezzamento a effettuato alla luce della conoscenza e dell’obbligo di conoscenza delle leggi che grava sull’agente in relazione anche alla qualità professionale posseduta e al suo dovere di informazione sulle norme, e sull’interpretazione che di esse è data, che specificamente disciplinano l’attività che egli svolge (Cass. n. 18471 del 2014). Nella specie, si tratta di un’interpretazione di norma che per il brocardo “ignorantia legis non excusat” non è scusabile. Peraltro, in tema di illecito amministrativo, l’accertamento in ordine all’esistenza dell’ignoranza del precetto o l’errore scusabile sul fatto determinato dall’interpretazione di norme giuridiche la cui violazione comporti l’irrogazione di una sanzione amministrativa, così come le particolari positive circostanze di fatto idonee a rendere inevitabile detta violazione rientra nei poteri del giudice del merito, la cui valutazione può essere peraltro controllata in sede di legittimità sotto l’aspetto del vizio logico o giuridico di motivazione (cfr. Cass. n. 20776 del 2004; Cass. n. 20866 del 2009; Cass. n. 12110 del 2018).
Nella specie, sostiene la Suprema Corte, il Tribunale, con apprezzamento di merito non censurabile in questa sede in quanto esente da vizi logici, accertava la sussistenza dell’elemento soggettivo della colpa in capo all’amministrazione opponente, stante la consapevolezza di quest’ultima della necessità di trattare con riservo i dati sensibili e delle cautele idonei ad impedire l’evento e ciò era corroborato dal fatto che la Regione, prima dell’emissione dell’ordinanza ingiunzione, con provvedimento n. 313/2014, era stata informata di siffatta necessità di oscurare i dati sensibili
4. Conclusioni
L’ordinanza della Corte di Cassazione in commento è particolarmente interessante poiché chiarisce, ancora una volta, come non sia invocabile da parte della Regione Abruzzo, l’esimente della buona fede, per aver agito nel convincimento di ottemperare ad una norma di legge, né quello dell’errore di diritto, che invece sarebbe invocabile soltanto a fronte della inevitabilità dell’ignoranza del precetto violato. Al contrario, l’obbligo di conoscenza delle leggi che grava sull’Ente pubblico in relazione anche alla qualità professionale posseduta e al suo dovere di informazione sulle norme, impediscono di accogliere i motivi a sostegno del ricorso in opposizione alla sanzione amministrativa.
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