(Normativa di riferimento: C.p. artt. 392, 610)
Il fatto
Con sentenza, emessa in data 28/04/2017, la Corte d’Appello di Messina, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Messina del 21/06/2013, rideterminava la pena, inflitta a S. S. e R. P., in anni uno di reclusione, per il primo, e in mesi nove di reclusione, per il secondo, in relazione al capo A, originariamente qualificato ex art. 81, 629 co. n. 2 c.p., 7 d.l. n. 152 del 1991, conv. in L. n. 203 del 1991, riqualificato nella fattispecie di cui all’art. 610 c.p., e al capo B, ex art. 612 c.p., limitatamente al R., reati contestati ai prevenuti per aver costretto con minacce T. A. a firmare una lettera di dimissioni volontarie che lo estrometteva dalla proprietà della quota, pari al 33%, della Soc. Coop. a r.l. “…” Comunità alloggio per anziani, della quale la moglie del R. era socia, paventandogli gravi conseguenze ed avvalendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo dello S., già condannato, con sentenza irrevocabile, per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. (fatto commesso, in …, il …).
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Gli imputati, tramite difensore di fiducia, proponevano ricorso per cassazione, deducendo i seguenti motivi: a) violazione di legge e motivazione mancante ed illogica, ex art. 606 co. n 1, lett. b) ed e), c.p.p., in relazione agli art. 393 e 610 c.p. posto che il fatto era scaturito dai contrasti, insorti a seguito del cattivo comportamento del T. all’interno della predetta cooperativa, tale da determinare il deterioramento dei rapporti con gli altri soci e da indurre il legale delle sode C. e P. a predisporre la lettera di dimissioni, da far firmare al T. e pertanto, in considerazione di ciò, la Corte territoriale avrebbe dovuto ritenere integrata la fattispecie di cui all’art. 393 c.p., consistita nell’esercizio delle proprie ragioni, tramite l’opera di terzi, senza il ricorso alle forme di legge; b) violazione di legge e motivazione mancante ed illogica, ex art. 606 co. n 1, lett. b) ed e), c.p.p., in relazione all’art. 610 c.p. stante il fatto che non sarebbe ricorsa la violenza privata, di cui all’art. 610 c.p., posto che la firma del T. non era quella dal medesimo utilizzata e la sottoscrizione della lettera di dimissioni non sarebbe stata sufficiente a determinare la sua esclusione dalla compagine societaria, occorrendo una delibera dei soci previa convocazione degli stessi.
Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione
La Suprema Corte dichiarava i ricorsi inammissibili alla stregua delle seguenti considerazioni.
Si osservava prima di tutto che, secondo la giurisprudenza di legittimità, nell’ambito della fattispecie criminosa del delitto di cui all’art. 610 c.p., il requisito della violenza s’identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione (Sez. 5, n. 48369 del 13/04/2017 – dep. 20/10/2017, omissis, Rv. 271267).
Chiarito ciò, si faceva altresì presente che, ai fini di una netta demarcazione tra i reati di violenza privata e di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, non sono integrati i presupposti del reato di cui all’art. 393 cod. pen., bensì quelli del reato di violenza privata, allorchè il diritto rivendicato non coincida con il bene della vita conseguito attraverso la condotta arbitraria (Sez. 5, n. 10133 del 05/02/2018 – dep. 06/03/2018 omissis, Rv. 272672).
Delineati cosi in diritto i termini essenziali della questione, i giudici di Piazza Cavour, una volta evidenziato come nel ricorso proposto non fossero contestati gli avvenimenti materiali descritti nella sentenza impugnata sulla base delle dichiarazioni rese dalla parte lesa, T. A., metteva in risalto il fatto che i dedotti vizi di legittimità, sotto il profilo della violazione di legge e del difetto di motivazione, attenessero esclusivamente, il primo, alla configurabilità, nella fattispecie, del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, di cui all’art. 393 c.p. e, il secondo, all’idoneità della condotta, asseritamente coercitiva, come tale inquadrata nello schema dell’art. 610 c.p., rispetto al risultato perseguito dagli autori del reato.
In particolar modo, per quanto riguarda il primo motivo del ricorso, si denotava come la fattispecie penale dell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni – ricollegabile, in ipotesi, allo schema dell’art. 392 c.p., contraddistinto dalla ricorrenza di violenza e minaccia nei confronti della persona, vittima del reato – non fosse stato richiamato correttamente nel caso in esame stante la mancata coincidenza tra il diritto astrattamente azionabile in sede civile avanti all’autorità giudiziaria, ovverossia l’esclusione del T. dalla compagine societaria a seguito dei suoi comportamenti scorretti, e il bene della vita, conseguito tramite la condotta, che si assumeva arbitraria, identificabile, in concreto, con la forzosa sottoscrizione della lettera di dimissioni, precedentemente predisposta dal legale delle due socie.
Oltre a ciò, si rilevava come andasse esclusa a priori la ricorribilità avanti al giudice della pretesa avente ad oggetto la forzosa sottoscrizione della lettera di dimissioni esibita al T. sebbene un ulteriore criterio di distinzione e di identificazione del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, consiste nella verifica, in relazione alla pretesa fatta valere nell’immediatezza, della sussistenza o meno della ricorribilità al giudice (Sez. 2, n. 14160 del 06/03/2018 – dep. 27/03/2018, omissis, Rv. 272757).
La Corte, inoltre, riteneva anche il secondo motivo manifestamente infondato.
Difatti, una volta dedotto che, in tema di violenza privata (art. 610 cod. pen.), costituisce elemento della condotta materiale del reato la privazione coattiva della libertà di determinazione e di azione della persona offesa dal reato, costretta a fare, tollerare o omettere qualcosa contro la propria volontà, mentre è irrilevante, per la consumazione del reato, che la condotta criminosa si protragga nel tempo, trattandosi di reato istantaneo (Sez. 5, n. 3403 del 17/12/2003 – dep.29/01/2004, omissis, Rv. 228063) e preso atto che, nel caso di specie, si fosse perfezionata la fattispecie criminosa in questione essendosi il reato consumato all’atto della sottoscrizione forzosa, da parte del T., della lettera di dimissioni, si riteneva, in conseguenza di ciò, come fosse del tutto irrilevante l’ulteriore constatazione di una sottoscrizione, differente rispetto a quella del T., e dell’insufficienza dell’avvenuta sottoscrizione della lettera di dimissioni, essendo necessari, agli effetti civilistici, un’ulteriore delibera della società cooperativa.
Tal che se ne faceva derivare, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, l’inammissibilità dei ricorsi proposti.
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Conclusioni
La sentenza in esame è sicuramente interessante in quanto in essa, da un lato, si chiariscono i criteri sulla cui base stabilire se sia configurabile il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni o quello di violenza privata, dall’altro, si enuncia, in riferimento a quanto previsto dall’art. 610 c.p., in cosa consiste la violenza e quale condotta materiale rilevi ai fini dell’applicabilità di tale norma incriminatrice.
Infatti, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, per un verso, si afferma che tra i criteri di distinzione e di identificazione del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, vi è quello che consiste nella verifica, in relazione alla pretesa fatta valere nell’immediatezza, della sussistenza o meno della ricorribilità al giudice fermo restando che non sono integrati i presupposti del reato di cui all’art. 393 cod. pen., bensì quelli del reato di violenza privata, allorchè il diritto rivendicato non coincida con il bene della vita conseguito attraverso la condotta arbitraria, per altro verso, si postula che, nell’ambito della fattispecie criminosa del delitto di cui all’art. 610 c.p., il requisito della violenza s’identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione mentre costituisce elemento della condotta materiale del reato la privazione coattiva della libertà di determinazione e di azione della persona offesa dal reato, costretta a fare, tollerare o omettere qualcosa contro la propria volontà mentre è irrilevante, per la consumazione del reato, che la condotta criminosa si protragga nel tempo, trattandosi di reato istantaneo.
Da ciò ne deriva come tali criteri ermeneutici, attraverso il richiamo di questa pronuncia, ben possono essere presi in considerazioni ogniqualvolta sorge il problema di verificare sia se una data condotta criminosa sia configurabile come violenza privata o esercizio arbitrario delle proprie ragioni, sia se – una volta risolta tale problematica ermeneutica nel senso dell’astratta riconducibilità della fattispecie concreta all’ipotesi delittuosa di cui all’art. 610 c.p. – ricorrano gli elementi costitutivi (di natura oggettiva) di questo illecito penale qual è la violenza e la sussistenza della privazione coattiva della libertà di determinazione e di azione della persona offesa dal reato, costretta a fare, tollerare o omettere qualcosa contro la propria volontà.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in questa pronuncia, dunque, non può che essere positivo.
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