I confini tra mutatio ed emendatio libelli: si pronunciano le SS.UU.

Redazione 28/09/18
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Con la sentenza 22404 del 13 settembre 2018 le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno risolto uno dei dibattiti più accesi, sia in dottrina che in giurisprudenza, delineando in modo chiaro i confini tra mutatio ed emendatio libelli.

Il dibattito giurisprudenziale

La Corte ha mutato indirizzo in tema di modifica della domanda e, pur mantenendo fermo il divieto di introdurre nova nel corso della lite, ha ampliato notevolmente il diametro dello ius variandi, propendendo per un’impostazione più elastica, incentrata sull’intera vicenda sostanziale intercorsa fra le parti.
La soluzione ha avuto un effetto dirompente in quanto ha ribaltato l’impostazione precedente e posto le basi per un’estensione dell’oggetto del giudizio nel corso della prima udienza o nelle memorie ex art. 183, 6° co. n. 1 c.p.c., senza che questo comporti, tuttavia, un pregiudizio al diritto di difesa o un ostacolo all’economia processuale.

Il Supremo Collegio, infatti, nel tentativo di decodificare il silentium legis relativo all’ampiezza della variazione consentita ex art. 183, comma 6 c.p.c., ricostruisce la distinzione tra domande nuove, modificate e precisate, propendendo per un’impostazione più elastica, incentrata sull’intera vicenda sostanziale dedotta in giudizio.
Anzitutto la disposizione normativa oggetto della pronuncia prevede al comma sesto n. 1) che “se richiesto, il giudice concede alle parti […] un termine di ulteriori trenta giorni per il deposito di memorie limitate alle sole precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte […]”.
L’individuazione della portata precettiva della disposizione costituisce uno degli snodi fondamentali del processo civile, concretandosi nella delineazione dei margini di ammissibilità della modifica di domande ed eccezioni, inizialmente richieste con l’atto introduttivo del giudizio.
L’annoso dibattito, in particolare, concerneva l’indicazione del limite oltre il quale la domanda eventualmente formulata nei termini ex art. 183 c.p.c., se diversa da quella proposta nell’atto introduttivo del giudizio, potesse ritenersi ammissibile in quanto semplice precisazione/ modificazione di quella originaria (emendatio libelli) o, piuttosto, inammissibile in quanto totalmente diversa e nuova (mutatio libelli).
“Precisare” e “modificare” (cd. emendatio), infatti, non vuol dire modificare totalmente la domanda o, tanto meno, formulare domande nuove; ma soltanto rettificare (senza, di regola, mutare i fatti principali allegati) la portata delle domande con riguardo al medesimo petitum ed alla medesima causa petendi. Se, invece, si “mutasse” uno o entrambi questi elementi, si darebbe luogo alla proposizione di una domanda nuova, il cui divieto è implicito nella norma in discorso, e d’altra parte, imposto dalle esigenze del contraddittorio.

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La storica sentenza n. 12310 del 2015

Per tale ragione, le Sezioni Unite della Suprema Corte, con la pronuncia n. 12310 del 15 giugno 2015, hanno tracciato i confini in merito al noto binomio mutatio-emendatio libelli stabilendo che: “la modificazione della domanda ammessa a norma dell’art. 183 c.p.c. può riguardare anche uno o entrambi gli elementi oggettivi della stessa (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei tempi processuali.”

Le conclusioni delle SS. UU.

Nel caso de quo ci si è domandati se la domanda di arricchimento senza causa, ex art 2041 c.c., proposta nel giudizio di esame con la memoria ex art. 183 co. 6 c.p.c., sia riconducibile alla “domanda modificata” ritenuta ammissibile con la sentenza n. 12310 del 2015.
Il Supremo Consesso si è dunque domandato se tra la domanda inizialmente proposta e quella successivamente formulata con la memoria ex art 183 co. 6 c.p.c. sussista un rapporto di connessione per “alternatività” o “incompatibilità”.
Le Sezioni Unite hanno stabilito che le due domande (di adempimento e di inadempimento contrattuale) hanno ad oggetto il medesimo bene della vita e sono legate da una connessione normativa, e pertanto essendo la domanda di arricchimento senza causa sussidiaria alla prima  si ritiene che la domanda non sia da considerarsi nuova.

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