Confisca per equivalente non richiede l’individuazione dei beni da sottoporre alla misura ablatoria

Scarica PDF Stampa
In caso di sentenza di condanna, laddove il giudice debba procedere alla confisca per equivalente del profitto conseguito a seguito della perpetrazione di reato di natura tributaria, egli non è tenuto ad individuare concretamente i beni da sottoporre alla misura ablatoria, ma può limitarsi a determinare la somma di danaro che costituisce il profitto o, a seconda dei casi, il prezzo del reato o il valore ad essi corrispondente posto che la individuazione specifica dei beni da apprendere e la verifica della corrispondenza del valore di questi all’importo del profitto o del prezzo del reato è operazione riservata alla fase esecutiva della sentenza, spettante all’organo del Pubblico ministero.

(Annullamento con rinvio)

(Normativa di riferimento: C.p. art. 240).

Il fatto

Il Tribunale di Pesaro, con sentenza del 10 ottobre 2017, dichiarava la penale responsabilità di N. P. in relazione ad una serie di reati, commessi nel corso di anni di imposta diversi, aventi ad oggetto la emissione di fatture per operazioni inesistenti al fine di consentire a terzi di evadere le imposte, e
lo ha, pertanto, condannato alla pena di giustizia.

Con la citata sentenza il Tribunale riteneva, tuttavia, di non dover disporre alcuna confisca, né in forma diretta né per equivalente, del profitto del reato, sulla base del rilievo che la mancanza di elementi in ordine alla attuale disponibilità in capo al N. di beni patrimoniali non consentiva di indicare nominativamente i singoli beni suoi quali sarebbe stata applicata la disposta misura di sicurezza.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso la predetta sentenza proponeva ricorso per cassazione la Procura generale della Repubblica presso la Corte di appello di Ancona, rilevando che la confisca per equivalente ha una finalità sanzionatoria in ragione della quale non sussisterebbe alcun obbligo in capo al giudice che la dispone di individuare, oltre al valore complessivo dei beni da confiscare, quali siano i beni concretamente gravati dalla misura in questione, essendo la loro concreta individuazione e la verifica della corrispondenza del loro valore all’importo da sottoporre alla misura di sicurezza, adempimento che dovrà essere eseguito solo in fase di concreta esecuzione della misura stessa.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

La Cassazione accoglieva il ricorso proposto alla stregua delle seguenti considerazioni.
Gli ermellini evidenziavano in via preliminare come, in caso di condanna conseguente all’accertamento della violazione della normativa in materia penaltributaria, andasse obbligatoriamente disposta la confisca del profitto del reato (Corte di cassazione, Sezione III penale, 4 novembre 2013, n. 44445, in tema di patteggiamento, ma il principio valeva, ad avviso della Corte, a fortiori, in caso di sentenza di vera e propria condanna).

Premesso ciò, i giudici di Piazza Cavour rilevavano come dovesse osservarsi che in caso di sentenza di condanna, laddove il giudice debba procedere alla confisca per equivalente del profitto conseguito a seguito della perpetrazione del reato di cui al capo di imputazione, egli non è tenuto ad individuare concretamente i beni da sottoporre alla misura ablatoria, ma può limitarsi a determinare la somma di danaro che costituisce il profitto o, a seconda dei casi, il prezzo del reato o il valore ad essi corrispondente (Corte di cassazione, Sezione III penale, 5 maggio 2014, n. 18309), posto che la individuazione specifica dei beni da apprendere e la verifica della corrispondenza del valore di questi all’importo del profitto o del prezzo del reato è operazione riservata alla fase esecutiva della sentenza, spettante all’organo del Pubblico ministero (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 29 novembre 2017, n. 53832; idem Sezione II penale, 11 giugno 2015, n. 24785).

Tal che si giungeva a postulare che, sulla base di tale ripartizione dei compiti, fosse, evidentemente, in contrasto con la normativa applicabile al caso la omessa pronunzia da parte del Tribunale di Pesaro della confisca dell’importo della imposta evasa, evidentemente costituendo questa il profitto conseguito attraverso la perpetrazione dei reati di cui in contestazione, sulla base della affermazione che il condannato non è titolare di beni da sottoporre a confisca fermo restando che l’esistenza o meno di tali beni in capo al prevenuto, sui quali la misura poteva essere materialmente eseguita, era questione che avrebbe dovuto essere esaminata e valutata in sede di materiale esecuzione della medesima da parte dell’organo a ciò preposto, ma non è evidentemente fattore tale da condizionarne in senso negativo la adozione in sede di cognizione.

Pertanto, ad avviso del Supremo Collegio, stante la obbligatorietà della misura, la cui adozione non richiedeva, pertanto, alcuna valutazione di carattere discrezionale, la stessa, in esito all’annullamento in parte qua della sentenza impugnata, avrebbe dovuto essere disposta, senza necessità di rinvio, direttamente da questa Corte, nei limiti, come detto, dell’importo della imposta evasa accertato con la sentenza di merito e dunque, alla luce di ciò, si procedeva all’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, limitatamente alla omessa confisca per equivalente dell’importo dell’IVA, che dispone sino all’ammontare della imposta evasa.

Conclusioni

La sentenza è condivisibile in quanto in essa si fa una corretta applicazione dei criteri ermeneutici che presiedono all’individuazione di quale giudice è tenuto ad individuare i beni per un valore corrispondente a quello oggetto della confisca equivalente disposta dal giudice di cognizione in materia di reati tributari.

Non può dunque non disporsi la confisca equivalente da parte del giudice di merito sol perché non sono stati individuati i beni nella disponibilità dell’imputato di valore pari a quelli per cui deve essere disposta questa misura ablatoria.
Detto compito, come appena visto, infatti, spetta al giudice dell’esecuzione e quello della cognizione non può sostituirsi ad esso.

Volume consigliato

I reati di falso

Di agile e immediata comprensione, questa nuovissima Guida esamina l’attuale sistema codicistico dei reati di falso e i possibili risvolti processualistici, sia in campo penale che civile, grazie al supporto di tabelle di sintesi e schemi a lettura guidata che evidenziano i punti critici della problematica analizzata.Il testo fornisce al Professionista un’approfondita e aggiornata analisi della disciplina relativa ai reati di falso, in particolar modo quelli relativi alle falsità in atti che sono stati oggetto d’intervento legislativo, con l’abrogazione di alcune fattispecie penali e l’introduzione di nuove ipotesi delittuose.Paolo Emilio De Simone, Magistrato dal 1998, dal 2006 è in servizio presso la prima sezione penale del Tribunale di Roma, in precedenza ha svolto le sue funzioni presso il Tribunale di Castrovillari, poi presso la Corte di Appello di Catanzaro, nonché presso il Tribunale del Riesame di Roma. Dal 2016 è inserito nell’albo dei docenti della Scuola Superiore della Magistratura, ed è stato nominato componente titolare della Commissione per gli Esami di Avvocato presso la Corte di Appello di Roma per le sessioni 2009 e 2016. È autore di numerose pubblicazioni, sia in materia penale sia civile, per diverse case editrici.

Paolo Emilio De Simone | 2018 Maggioli Editore

32.00 €  25.60 €

Sentenza collegata

64810-1.pdf 66kB

Iscriviti alla newsletter per poter scaricare gli allegati

Grazie per esserti iscritto alla newsletter. Ora puoi scaricare il tuo contenuto.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento