Nell’ambito della legislazione contro la mafia le misure riguardanti il sequestro dei beni delle organizzazioni mafiose sono tra le più rilevanti, poiché mirano a colpire il patrimonio accumulato illecitamente dalle organizzazioni criminali. I beni sottratti alle mafie sono l’espressione di una forma di lotta alla criminalità organizzata tra le più efficaci e significative: le ricchezze derivanti per esempio da narcotraffico, estorsioni ed usura, vengono espropriate per diventare proprietà dello Stato e tornare all’utilità collettiva.
Indice
1. Normativa contro la mafia
Alla base di tutto vi è la Legge n. 646 del 1982 Rognoni-La Torre che ha introdotto il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso e la confisca delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego. Successivamente, è stata approvata la Legge 7 marzo 1996, n.109, Disposizioni in materia di gestione e destinazione di beni sequestrati o confiscati, che introduce e regola il riutilizzo dei beni appartenuti alle organizzazioni criminali per scopi sociali. Con D.L. 25 giugno 2008, n. 112 convertito, con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008 n. 133, viene introdotto il FUG Fondo Unico Giustizia, alimentato dalle risorse liquide o liquidabili confiscate alla mafia. Il FUG ha il compito di censire e gestire in modo centralizzato le risorse sequestrate e ne assicura la gestione finanziaria. Nel 2010 il governo ha istituito un’agenzia dedicata alla gestione dei beni sequestrati e confiscati, l’ANBSC (Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alle mafie e alla criminalità organizzata. La Legge n. 132 del 2018, Conversione del decreto sicurezza, ha introdotto alcune novità in materia, in particolare l’autorizzazione da parte del Ministro dell’Interno (e non più del Presidente del Consiglio) per l’assegnazione per finalità economiche all’ANBSC. Il 90 per cento delle somme ricavate dalla vendita dei beni confiscati affluisce al Fondo Unico Giustizia, per essere riassegnate al Ministero dell’Interno (per il 40 per cento) e all’ANBSC (per il 20 per cento). Il rimanente 10 per cento confluisce in un fondo, istituito presso il Ministero dell’Interno, per le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria dei beni trasferiti agli enti territoriali. L’ANBSC è posta sotto la vigilanza del Ministro dell’Interno, con sede principale a Roma; una quota dell’organico (70 unità su 170) viene reclutata attraverso procedure selettive pubbliche.
La legislazione antimafia come era pensata inizialmente si è sempre rivelata valida e forte, ma la sua applicazione evidenzia ancora alcune criticità.
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2. Sequestro e confisca
Soggetti destinatari dei provvedimenti di sequestro e confisca sono, tra gli altri, gli indiziati di appartenere ad associazione mafiose, coloro che sono dediti abitualmente a traffici delittuosi ovvero che vivono abitualmente con i proventi di attività delittuose. Competenti a proporne l’adozione sono il procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto ove dimora la persona, il questore e il direttore della Direzione investigativa antimafia, che a tal fine effettuano tutti gli accertamenti necessari. Il sequestro è disposto dal tribunale quando il valore dei beni risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all’attività economica svolta ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si ritiene che essi siano frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego.
La legge prevede anche il sequestro per equivalente, che interessa altri beni di valore analogo, quando il destinatario delle misure di prevenzione disperde, distrae, occulta o svaluta i beni sottoposti a sequestro. L’art. 12-sexies del decreto-legge n. 306 del 1992 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa) prevede la confisca allargata del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona, risulta essere titolare o avere la disponibilità, in valore sproporzionato al proprio reddito.
Con il provvedimento di sequestro viene nominato l’amministratore giudiziario incaricato di custodire, conservare ed amministrare i beni, anche al fine di incrementarne la redditività, e di predisporre apposite relazioni; in tale attività è assistito dall’Avvocatura generale dello Stato e dall’ANBSC. Mentre il sequestro ha natura cautelare preventiva, ed è una misura temporanea, la confisca è una pena accessoria applicata dopo una condanna definitiva e comporta un’espropriazione a favore dello Stato (art.240 cp). I beni sono mantenuti al patrimonio dello Stato (per finalità di giustizia, ordine pubblico e protezione civile o per essere utilizzati da altre amministrazioni pubbliche) ovvero trasferiti agli enti locali che potranno gestirli direttamente oppure assegnarli in concessione, a titolo gratuito, ad associazioni del terzo settore, seguendo le regole della massima trasparenza amministrativa.
3. Criticità nell’applicazione
Confiscare i beni mafiosi ha un duplice significato: il primo e più immediato è quello di bloccare l’operatività e la disponibilità dei clan, in particolare i conti correnti e gli investimenti. Parallelamente, si attenua la morsa mafiosa sul territorio, sottraendo mezzi e immobili che spesso hanno valenze altamente simboliche.
Secondo i dati aggiornati al 30 giugno 2022 i beni interessati da procedimenti di prevenzione registrati in Banca dati centrale (Bdc) risultano complessivamente pari a 230.517, con un incremento di 9.579 unità rispetto alla rilevazione effettuata l’anno prima. Il dato è da riferirsi complessivamente a beni proposti, sequestrati, confiscati non definitivi, confiscati definitivi, destinati, dissequestrati o con proposta rigettata. Di tutti questi, poco meno della metà dei beni registrati in Bdc è attualmente soggetta a sequestro o confisca di prevenzione, ovvero risulta già oggetto di decreto di destinazione da parte dell’ANBSC. Nella rimanente parte dei casi, i provvedimenti di ablazione risultano revocati o annullati, ovvero il procedimento pende ancora in fase di proposta. Le regioni storicamente a più alta concentrazione mafiosa, sud e isole, rimangono prime in classifica, ma percentuali importanti di confische si registrano anche al centro e al nord [Ministero della Giustizia, Relazione semestrale al Parlamento sui Beni sequestrati o confiscati – Consistenza, destinazione ed utilizzo, stato dei procedimenti di sequestro o confisca ex art. 49 D.Lgs. 159/2011]. Dal recente rapporto Raccontiamo il bene di Libera, emerge che ad oggi sono 1065 i soggetti della società civile impegnati nella gestione dei beni, distribuiti su 20 regioni e 383 comuni. Secondo i dati dell’ANBSC, al 22 febbraio 2024 sono 22.548 i beni immobili (particelle catastali) destinati.
Ancora troppi beni confiscati rimangono inutilizzati o, peggio, occupati abusivamente dai vecchi proprietari. Dal sequestro all’uso sociale possono passare più di 10 anni. Il percorso burocratico è bradicardico, gli immobili si deteriorano, le aziende sequestrate rischiano il fallimento. Le difficoltà sono descritte anche nella relazione dell’inchiesta sui beni sequestrati e confiscati, realizzata dalla Commissione Antimafia. Gli amministratori giudiziari dovrebbero seguire il corso dei beni sequestrati, gestendo nel modo migliore anche le aziende loro assegnate, ma risulta di fatto molto complesso, non solo perché ad ogni amministratore vengono assegnati decine di procedimenti, ma anche per le competenze specifiche richieste nelle differenti realtà aziendali, l’avvicendarsi tra tecnici alla fine del mandato; la gestione a distanza e la non conoscenza del territorio in cui sono chiamati ad operare. Anche dai recenti fatti di cronaca si evince come tutti questi numerosi passaggi allentino le maglie della giustizia, come sottolineano la vicenda della giudice Saguto[1] [condannata in via definitiva per corruzione] e quella denominata Sistema Montante, in cui i giudici di Primo Grado[2] e Appello[3] hanno condannato Antonello Montante per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e accesso abusivo al sistema informatico. Inoltre, dalle risultanze investigative è emerso che i clan riescono quasi sempre a reimpossessarsi dei beni tolti, tramite prestanome o parenti. Le mafie infiltrano anche i magazzini dei sequestri e le gestioni giudiziali.
Le proprietà che lo Stato strappa alle mafie sono per il 46% immobili: ville, appartamenti, terreni, garage, cui si sommano anche beni mobili, come oggetti di valore e vetture; beni finanziari, contanti o pacchetti azionari. Ulteriori rallentamenti possono essere dovuti a quote indivise, irregolarità urbanistiche, occupazioni abusive (i proprietari non se ne sono mai andati oppure hanno chiesto a parenti o amici di occupare l’immobile), problemi strutturali. Un caso eclatante è Napoli, che conta 10 mila unità solo di alloggi statali occupati abusivamente dalla mafia e mai sgomberate, con un buco nel bilancio del Comune – riguardo all’intero patrimonio immobiliare – di oltre 264 milioni.
Per quanto riguarda le aziende, molte sono scatole vuote o società paravento per le quali un percorso di regolarizzazione è impossibile. La maggior parte di quelle confiscate giunge nella disponibilità dello Stato priva di reali capacità operative; le aziende sono spesso destinate alla liquidazione e alla chiusura, se non si interviene in modo efficace nelle fasi precedenti. Il problema principale per un’azienda confiscata alla criminalità organizzata è la sua conversione alla legalità: il lavoro nero deve essere sostituito da quello regolare, pagando tasse e contributi pregressi, la gestione delle forniture deve essere trasparente. Accordi e prezzi di favore pattuiti con il clan vengono meno nel momento in cui il bene passa allo Stato, con un innalzamento dei costi. L’inquinamento dell’economia e della democrazia per opera mafiosa è qui evidente, con la distorsione frequente secondo cui nell’immaginario comune la gestione mafiosa porta lavoro, mentre quella statale porta a fallimenti aziendali, chiusure e licenziamenti. Inoltre, la relazione della Commissione antimafia sottolinea come le banche vedono nelle misure giudiziarie non un passo positivo verso la legalità ma un aumento dei rischi. Il risultato è che le aziende, così come gli immobili a uso abitativo, restano per mesi o anni inutilizzati, richiedendo poi interventi di recupero o demolizione, ed ulteriori costi da sostenere.
Il sequestro da solo non riesce ad arginare la forza intimidatrice mafiosa che spesso impedisce a singoli o associazioni di farsi avanti per eventuali aste o procedure di affidamento. Rilevare un bene confiscato è un affronto che i clan non perdonano. Con i regolamenti di conti più o meno evidenti, tra incendi dolosi e stese, vi sono sempre comportamenti ostruzionistici che di fatto impediscono il regolare svolgimento dell’attività subentrante. Gli inquirenti in diverse circostanze hanno evidenziato anche le compiacenze delle case d’asta e delle agenzie immobiliari che assegnano in via privilegiata il bene al soggetto affiliato. Per ovviare anche a questo ulteriore aspetto, niente affatto irrilevante, occorrere snellire i tempi e le procedure di sequestri e confische, disporre con la confisca la riassegnazione immediata, possibilmente in prima battuta a favore di enti statali o privati che siano tutelati in modo robusto.
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Note
- [1]
Procedimento n. 15510/2023 – Saguto Silvana ed altri. La Sesta sezione penale della Corte di cassazione, con sentenza del 19 ottobre 2023, si è pronunciata nell’ambito del procedimento che vede imputati, per numerosi reati contro la pubblica amministrazione, la ex presidente della sezione delle misure di prevenzione del Tribunale di Palermo e numerosi professionisti incaricati della gestione e amministrazione dei beni sequestrati e confiscati alle associazioni mafiose.
- [2]
inchiesta “Double face”, condotta nel 2018 dalla Squadra Mobile di Caltanissetta. – Tribunale di Caltanissetta, sentenza 10 maggio 2019
- [3]
Corte d’Appello di Caltanissetta, 8 luglio 2022
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