Confisca urbanistica senza condanna in caso di prescrizione del reato presupposto e proporzionalità della misura: sollevata nuova questione di costituzionalità dell’art. 44 comma 2 T.U. Edilizia. Cosa deciderà la Consulta?

Giovanni Russo 23/07/20
 

  1. App. Bari, Sez. II pen., ord. 18 maggio 2020, Pres Iacovone, rel. Gadaleta

 

Sommario. 1. Premessa. – 2.  Il caso concreto. – 3. Cenni riepilogativi sulla confisca urbanistica senza condanna. – 4. Le Sez. Un. Perroni (2020): se il reato presupposto è prescritto, non sono possibili ulteriori accertamenti di merito ai fini della confisca. – 5. Sulla rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione sollevata dalla Corte. – 6. Cosa deciderà la Consulta? – 7.  Ulteriori e diverse possibilità di “tutela” dei proprietari. – 8. Conclusioni.

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1.      Premessa

 

La Corte d’Appello di Bari, con l’ordinanza in esame, ha sollevato la q.l.c. dell’art. 44, secondo comma, d.P.R. 380/2001 (T.U. Edilizia), per contrasto con l’art. 117 Cost., nella parte in cui, qualora la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite risulti sproporzionata alla luce delle indicazioni della giurisprudenza della CEDU espressa dalla Grande Camera nella sentenza Giem e altri c. Italia, non consente l’applicazione in via principale di una sanzione diversa e  meno grave, come quella dell’obbligo di procedere all’adeguamento parziale delle opere eseguite per renderle integralmente conformi alle legittime prescrizioni della pianificazione urbanistica generale, nei confronti dei soggetti rimproverabili per aver tenuto solo una lieve condotta colposa con riguardo alla lottizzazione abusiva.

 

Procedendo con ordine, occorre preliminarmente mettere in chiaro i termini della questione, di modo che se ne possa apprezzare o criticare la fondatezza. A questo fine, si procederà ad una breve esposizione della vicenda concreta, originante le perplessità della Corte rimettente, e ad una riepilogazione delle principali tappe evolutive registratesi in tema di confisca c.d. urbanistica e prescrizione del reato presupposto, base di partenza su cui la questione qui affrontata fatalmente si innesta.  A quest’ultimo riguardo, occorre segnalare – come meglio si farà più avanti – la recente sentenza di Cassazione a Sezioni Unite del 30 aprile 2020, n. 13539 (c.d. Perroni), intervenuta, nello specifico, in tema di proseguibilità del giudizio ai soli fini del provvedimento ablatorio, anche a fronte di maturata causa estintiva.  Come si tenterà di mostrare, anche tale ultima pronuncia è in grado di offrire elementi parzialmente rilevanti ai fini della questione sollevata dal Collegio a quo.

 

2.      Il caso concreto

 

La vicenda concreta vede coinvolti oltre cento imputati – tra costruttori, progettisti, direttori dei lavori, assegnatari dei lotti, acquirenti e funzionari comunali –  condannati in primo grado per aver commesso, in concorso tra loro, il reato di lottizzazione abusiva di cui all’art. 30, comma 1, T.U. Edilizia. Più precisamente, la contestazione ha riguardato la realizzazione di una vasta zona residenziale ad uso abitativo, con trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio comunale destinato ad “attività artigianale di servizio”. Ciò in violazione degli strumenti urbanistici e delle prescrizioni contenute nel piano urbanistico generale, dal momento che la qualificazione  dell’area in questione come “artigianale”, consentiva la realizzazione di edifici “residenziali” solo nel rispetto di certe soglie percentuali e di altre condizioni, nei fatti non rispettate. In sostanza, si accertava che «il mutamento della destinazione d’uso di una serie di immobili da una vocazione assolutamente prevalente di tipo artigianale ad una assolutamente prevalente di stampo residenziale», nel determinare un’indubbia alterazione del complessivo assetto del territorio messo a punto con il P.R.G., realizzasse il reato di lottizzazione abusiva, ai sensi dell’art. 30 cit. A tanto, faceva dunque seguito la confisca dei manufatti illegali ai sensi dell’art. 44, secondo comma,  d.P.R. 380/2001.

 

Avverso la sentenza di condanna, veniva proposto appello. Giusto nelle more del secondo grado di giudizio, il reato contestato si prescriveva. Tuttavia, l’estinzione dell’addebito penale, com’è noto, impone al Collegio procedente la verifica della possibilità di addivenire ad un esito assolutorio, ai sensi dell’art. 129, secondo comma, c.p.p., ed il controllo della ricorrenza o meno dei requisiti di legge per la conferma o per la revoca della confisca (accertamento sostanziale del fatto-reato e proporzionalità della misura), ai sensi degli artt. 578-bis c.p.p. e 44 cit., oltre che alla luce di quanto affermato da giurisprudenza soprattutto euro-convenzionale (sentenza Giem c. Italia, 2018).

Di tal guisa, una volta esclusa la sussistenza di elementi assolutori, ed anzi sostanzialmente aderendo all’esito dell’accertamento di primo grado, dovendo pronunciarsi sulla disposta confisca, la Corte barese ha ritenuto di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 44 cit., nella parte in cui, qualora la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite sia giudicata sproporzionata alla luce delle indicazioni provenienti da Strasburgo (sentenza Giem), non consente l’applicazione in via principale di una sanzione meno grave nei confronti dei soggetti rimproverabili per aver tenuto solo una lieve condotta colposa con riguardo alla lottizzazione abusiva.

 

In particolare,  i giudici ritengono che, vista la «lunga catena di responsabilità, che ha coinvolto figure pubbliche e professionisti privati, tutti dolosamente impegnati a raggiungere il risultato vietato», sia eccessiva e sproporzionata la sanzione della confisca nei confronti dell’«anello debole e finale del meccanismo, rappresentato dai proprietari che, per una negligenza non scusabile sul piano giuridico ma comunque limitata, subirebbero un danno enorme dalla perdita della proprietà acquistata con grandi sacrifici familiari». A detta dei giudici rimettenti, nel rispetto di «un equilibrio tra l’ingerenza nel diritto del singolo e le esigenze di salvaguardia dell’interesse generale», sarebbe ragionevole che «gli imputati ed i terzi che devono essere chiamati a rispondere delle loro azioni solo per colpa» siano «messi in condizione di adeguare la destinazione d’uso, mediante apposite opere, alle prescrizioni allo stato ineludibili del piano regolatore generale». In questa prospettiva, la sanzione della confisca dovrebbe assumere portata solo residuale, applicabile cioè successivamente e unicamente in caso di mancato adeguamento entro i termini predeterminati, sostituita quindi da altra misura ad essa alternativa e graduata in base alla colpa rimproverabile al soggetto destinatario dell’ablazione.

 

3.      Cenni riepilogativi sulla confisca urbanistica senza condanna

 

La questione sollevata dal Collegio barese si inserisce nell’ambito di una vicenda giuridico-giurisprudenziale che, a monte, ha riguardato la possibilità che la confisca del bene lottizzato abusivamente possa ugualmente essere disposta dal giudice procedente, anche in caso di prescrizione del reato-presupposto, e quindi in assenza di provvedimento formale di condanna.

 

Il tema è noto. Sul punto si è assistito negli ultimi tempi ad un interessante confronto tra giudici nazionali e sovranazionali, durante e all’esito del quale è andato progressivamente consolidandosi e poi affinandosi il principio, invero già diffuso tra i giudici interni, per il quale, in caso di estinzione del reato, ben sia possibile che si disponga la confisca urbanistica senza condanna.

 

La vicenda merita di essere brevemente riepilogata, dal momento che è proprio attraverso il contributo della Corte Edu che è stata, dapprima, riconosciuta natura di vera e propria sanzione penale al provvedimento ablatorio de qua e, poi, stabilito che intanto la confisca può essere disposta in quanto, oltre all’accertamento sostanziale del fatto di reato, nei suoi elementi oggettivi e soggettivi, il giudice dia conto nella motivazione anche della proporzionalità della misura rispetto alla tutela della potestà pianificatoria pubblica e dell’ambiente. E infatti, è su quest’ultimo aspetto che si inserisce la q.l.c. sollevata con l’ordinanza qui esaminata.

 

La giurisprudenza nazionale tradizionalmente qualificava la confisca urbanistica come provvedimento avente carattere amministrativo e con funzione preventiva, di tutela del bene paesaggio, di guisa che essa fosse ordinabile anche in caso di proscioglimento dell’imputato per sopraggiunta prescrizione e a prescindere da qualsiasi valutazione in ordine alla proporzionalità della stessa.

 

Tale consolidato orientamento ha dovuto fare i conti, però, con la giurisprudenza euro-convenzionale che, restia alla qualificazione solo formale degli istituti, e storicamente propensa ad una comprensione in termini sostanziali ed effettuali degli stessi (Engel criteria), ha qualificato la confisca in esame quale “pena” a tutti gli effetti.

In questo senso si era espressa la Corte Edu sia nell’ambito del noto affaire Sud Fondi del 2009[1], sia nella successiva pronuncia Varvara c. Italia del 2013[2]. In tale occasione, in particolare, i giudici di Strasburgo avevano riconfermato la natura sostanzialmente penale della confisca urbanistica ponendo l’accento sul suo carattere solo in parte preventivo, nella misura in cui risulti funzionale alla tutela del bene “paesaggio”, e prevalentemente repressivo, specie nel caso in cui insista – come ben può insistere – su terreni per la maggior parte non costruiti e quindi in mancanza di un reale pericolo per il paesaggio. Conformemente a tale lettura, i giudici europei avevano quindi ritenuto che la inflizione del provvedimento ablatorio in assenza di una decisione di condanna, come nel caso di declaratoria di prescrizione, contrastasse con i principi essenziali del giusto processo, segnatamente, gli artt. 6, par. 2 e 7 CEDU. In sostanza, atteso che la confisca, a detta dei giudici di Strasburgo, presenta i caratteri propri della sanzione penale, ne discende che essa non possa essere comminata nei confronti di una persona dichiarata innocente o la cui responsabilità non sia stata accertata da una decisione formale di condanna.

 

Alla pronunzia europea, si era poi contrapposta la replica della Corte costituzionale che, con sent. n. 49 del 2015, ha di gran lunga ridimensionato, reinterpretandola, la portata ermeneutica della sentenza Varvara, confermando nei fatti l’orientamento opposto, già consolidato in sede di legittimità nazionale, secondo cui «la sentenza che accerta la prescrizione del reato non denuncia alcuna incompatibilità logico-giuridica con un pieno accertamento di responsabilità»[3], atteso che tale pronuncia ben può «accompagnarsi alla più ampia motivazione sulla responsabilità, ai soli fini della confisca del bene lottizzato».

In sintesi, all’occasione, il Giudice delle leggi, di fatto glissando sulla natura giuridica del provvedimento, ha ritenuto che l’esistenza di un accertamento sostanziale del reato, di cui il giudice dia adeguata motivazione nella sentenza dichiarativa della prescrizione, sia sufficiente a fondare l’ordinabilità della confisca.

 

Benché il principio fosse, come detto, già diffuso tra la giurisprudenza interna di legittimità, la pronuncia della Consulta ha avuto l’effetto di legittimare e rinsaldare la prassi corrente tra il diritto vivente, se è vero che poi, a partire soprattutto dalla successiva sentenza a sezioni unite “Lucci” del 2015, la tendenza a sganciare il provvedimento ablatorio dalla sussistenza di un formale provvedimento di condanna è andata impropriamente generalizzandosi anche per altri tipi di confische (diverse da quella urbanistica).

 

Ad ogni modo, a chiusura del confronto tra giudici interni e giudici sovranazionali, si è da ultimo pronunciata, nella sua composizione più prestigiosa, la Corte Edu, con l’attesa sentenza Giem e altri c. Italia del 2018[4]. La Grande Camera, senza negare, anzi ribadendo, la natura sostanzialmente afflittiva della confisca urbanistica, con le conseguenze che ne discendono sul piano delle garanzie previste dall’art. 7 CEDU, ha però sconfessato gli approdi più significativi dei precedenti arresti in Strasburgo, aprendo definitivamente alla possibilità di una confisca urbanistica disposta a seguito di un accertamento che abbia le caratteristiche anche solo sostanziali della condanna, senza necessariamente presentarne la forma , assestandosi – a sorpresa – sulle posizioni assunte dai giudici della Consulta. A questo fine – ribadiscono comunque i giudici europei – resta ferma la necessità che il giudice, nella parte motivazionale della sentenza, dia conto dell’ accertamento del reato sotto il profilo oggettivo e soggettivo, che tale accertamento abbia avuto luogo all’esito di una fase istruttoria regolarmente svolta, nel rispetto delle garanzie del giusto processo e dei principi convenzionali (art. 6 CEDU) e sempre che la misura ablativa sia proporzionata rispetto alla tutela della potestà pianificatoria pubblica e dell’ambiente, di modo che sia garantito il principio espresso all’art. 1 del Protocollo Add. n. 1 della CEDU (diritto di proprietà)[5].

 

Infine, non può essere trascurato il dato normativo interno, da sempre valorizzato dai giudici nazionali, che pure fa propendere per la soluzione confermata finora dalla giurisprudenza. Ci si riferisce, in primo luogo, all’art. 44, comma 2, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 che, là dove ricollega la confisca lottizzatoria al solo accertamento del reato, consente di prescindere da una sentenza di condanna “formale”, permettendo di fondare la legittimità del provvedimento ablatorio su un accertamento del fatto che, pur assumendo le forme esteriori di una pronuncia di proscioglimento, equivalga ad una pronuncia di condanna[6]. In secondo luogo, la medesima soluzione sarebbe imposta anche dall’art. 578-bis c.p.p. nella misura in cui prescrive che «quando è stata ordinata la confisca in casi particolari prevista dal primo comma dell’articolo 240-bis del codice penale e da altre disposizioni di legge o la confisca prevista dall’articolo 322-ter del codice penale, il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato».

 

In verità, benché anche le Sezioni Unite, nella recente e già citata sentenza di cui appresso si dirà (n. 13539/2020), abbiano confermato che tale soluzione sia rinvenibile già a partire dal dato letterale della norma di cui all’art. 578-bis cit., ci sembra che l’interpretazione testuale fornita dal Supremo Collegio in tale sede sia, a tutt’evidenza, forzata[7]. Non si può ignorare, comunque, che al di là del percorso argomentativo seguito dai giudici, l’esito cui essi pervengono resti, nella sostanza, condivisibile. Fosse anche solo per quanto diffusamente stabilito e confermato dal diritto vivente e previsto dall’art. 44 cit.

 

4.      Le Sez. Un. Perroni (2020): se il reato presupposto è prescritto, non sono possibili ulteriori accertamenti di merito ai fini della confisca

 

Assodato il principio secondo cui il proscioglimento per intervenuta prescrizione non osta alla ordinabilità della confisca del bene oggetto di lottizzazione abusiva, purché in presenza delle condizioni di garanzia già ricordate e ribadita da ultimo dalla sentenza Giem del 2018, la giurisprudenza ha dovuto affrontare l’ulteriore e diverso problema relativo alla possibilità che, maturata la causa estintiva, il giudizio stesso possa proseguire affinché si accertino i presupposti necessari per la ordinabilità della confisca.

 

Ad aggiungere un nuovo tassello nel variegato mosaico della confisca urbanistica, sono intervenute di recente le Sezioni Unite con sentenza del 30 aprile 2020, n. 13539 (c.d. Perroni), con cui, il massimo consesso della Corte regolatrice, dopo aver autorevolmente confermato i precedenti arresti di Corte cost. e Corte EDU sulla ordinabilità dell’ablazione de qua anche in assenza di condanna, ha effettuato importanti precisazioni in ordine alla corretta interpretazione del neointrodotto art. 578-bis c.p.p.

Più precisamente, la Corte è stata chiamata a stabilire se sia possibile, per il giudice di legittimità, dopo aver annullato la sentenza impugnata, dichiarando l’estinzione del reato per prescrizione, rinviare al giudice di merito per una sostanziale prosecuzione del giudizio affinché questi possa operare la valutazione in ordine alla proporzionalità della misura ablatoria già disposta che, secondo gli insegnamenti provenienti da Strasburgo, costituisce, come già ricordato, presupposto indefettibile per la legittimità dell’ablazione stessa (sentenza Giem).

Invero, la Corte, andando anche oltre la stretta questione rimessagli dalla sezione semplice, ha colto l’occasione per effettuare una ricognizione generale sulla proseguibilità del giudizio in caso di prescrizione del reato ai fini della sola confisca, non soltanto in sede di legittimità, ma anche nel giudizio di primo grado e di appello.

 

Si comprende la rilevanza del pronunciamento in discorso anche in relazione alla questione sollevata dalla Corte d’Appello di Bari, di cui si sta trattando, atteso il riferimento, in entrambi i casi centrale, alla proporzionalità della misura ablativa. Proprio alcune precisazioni operate dai giudici di legittimità, ci sembra possano tornare utili ai fini delle perplessità sollevate dal collegio rimettente. Pertanto, si impone la necessità che, anche di queste, vi sia fatto brevemente cenno.

 

In sostanza, le Sezioni Unite, posto che l’art. 578-bis c.p.p. si riferisca anche alla confisca urbanistica ex art. 44 T.U. Edilizia, hanno stabilito che esso non può essere interpretato nel senso per cui consenta o imponga, una volta maturata la prescrizione del reato, la prosecuzione del giudizio di primo grado ai soli fini di disporre la confisca. Secondo i giudici di Cassazione, ne costituisce ostacolo insormontabile il “principio d’immediatezza del proscioglimento” sancito dall’art. 129 c.p.p., che non può ritenersi “generalmente derogabile”, in assenza di una precisa disposizione normativa che lo consenta.

 

L’affermazione della Corte coinvolge, più nel dettaglio, una pluralità di considerazioni che investono: la funzione che l’art. 129 c.p.p. è chiamato ad assolvere; i risvolti negativi che diversamente ne discenderebbero in termini di giustizia sostanziale per l’imputato; la violazione del principio di legalità che ne deriverebbe, stante l’assenza di una norma che espressamente consenta di derogare il principio generale di cui allo stesso art. 129.

 

In primo luogo, il Supremo Collegio ha rammentato che l’art. 129 cit. è da sempre interpretato dalla giurisprudenza di legittimità come norma «espressiva di un obbligo per il giudice di pronunciare con immediatezza sentenza di proscioglimento» allorquando sopraggiunga una causa di non punibilità (tra cui la estinzione del reato per sopraggiunta prescrizione) «al momento di sua formazione ed indipendentemente da quello che sia lo stato e il grado del processo» (par.7.2 sentenza). La norma, quindi, come ribadito già altre volte dalla stessa Corte a sezioni unite, riveste rilievo «di ordine anche costituzionale» che non può dirsi «generalmente derogabile», in considerazione delle funzioni fondamentali che essa assolve: ossia quella di favorire l’imputato innocente (o comunque da prosciogliere o assolvere), prevedendo l’obbligo della immediata declaratoria di cause di non punibilità “in ogni stato e grado del processo”; quella di agevolare in ogni caso l’esito del processo, ove non appaia concretamente realizzabile la pretesa punitiva dello Stato; e quella (implicita nelle prime due) consistente nel fatto che l’art. 129 cit. rappresenta, sul piano processuale, la proiezione del principio di legalità stabilito sul piano del diritto sostanziale dall’art. 1 c.p.

 

In secondo luogo, hanno rilevato opportunamente le Sezioni Unite, «ove il principio dell’ immediatezza del proscioglimento appena ricordato fosse ritenuto generalmente derogabile in ragione della necessità di accertare il fatto in vista della confisca urbanistica, ovvero in senso chiaramente sfavorevole all’imputato, non ci si potrebbe sottrarre all’evidente sperequazione che verrebbe in generale in tal modo a crearsi nel caso, invece, di accertamenti da operare in melius, essendosi sempre esclusa da questa Corte la possibilità di prosecuzione a tal fine del processo proprio per il contrasto della stessa con quanto disposto dall’art. 129 cod. proc. pen.». «In altri termini» – hanno concluso i giudici – «con evidente ingiustificato differente approdo, mentre l’assoluzione nel merito potrebbe prevalere unicamente se già emergente con evidenza al momento della maturazione della prescrizione, a fini “sanzionatori”, invece, il processo, pur a prescrizione ormai decorsa, dovrebbe, secondo la soluzione qui non condivisa, ugualmente proseguire» (par.7.3 sentenza).

 

In terzo luogo, i giudici di Cassazione non escludono a priori la derogabilità, anche in peius, del principio espresso dall’art. 129 cit., ma riaffermano l’esigenza (rectius, la necessità) di una norma che chiaramente disponga in tal senso che, tuttavia, nell’attuale quadro normativo non si rinviene in riferimento alla confisca. Né, tantomeno, «possono essere certo considerate esemplificative di un “sistema” in tal senso» le disposizioni di cui agli artt. 537 c.p.p. e 301 d.P.R. n. 43 del 1973, in ragione delle peculiarità specifiche della loro finalità (nel caso dell’art. 537 c.p.p., quella di evitare la celebrazione di un giudizio civile per accertare la falsità dell’atto), «non equiparabili a quella della confisca urbanistica» (par. 7.4 sentenza). Tali disposizioni, piuttosto, confermerebbero la necessità di un apposito intervento legislativo derogatorio dell’art. 129 c.p.p.

 

Dopo aver riaffermato la prevalenza dell’art. 129, il Supremo Collegio ha affermato due principi di diritto, che sembra il caso di riportare: «la confisca di cui all’art. 44 DPR 380/2001 può essere disposta anche in presenza di una causa estintiva determinata dalla prescrizione del reato purché sia stata accertata la sussistenza della lottizzazione abusiva sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell’ambito di un giudizio che abbia assicurato il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati, fermo restando che, una volta intervenuta detta causa, il giudizio non può, in applicazione dell’art. 129 c.1 c.p.p., proseguire al solo fine di compiere il predetto accertamento»;

 

«in caso di declaratoria, all’esito del giudizio di impugnazione, di estinzione del reato di lottizzazione abusiva per prescrizione, il giudice di appello e la Corte di Cassazione sono tenuti, in applicazione dell’art. 578-bis c.p.p., a decidere sull’impugnazione agli effetti della confisca di cui all’art. 44 DPR 380/2001».

 

Malgrado l’esplicita questione su cui erano state interpellate dalla sezione semplice[8], gli Ermellini hanno mostrato di essere carenti quanto a chiarezza in riferimento alla possibilità che il giudizio, sempre in caso di declaratoria di prescrizione del reato in sede di impugnazione, possa sostanzialmente proseguire affinché sia valutata la proporzionalità della misura ablatoria già disposta, lamentata dai ricorrenti, ovvero disporre l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio a questo specifico fine.

Tuttavia, posto che anche siffatta verifica può implicare la valutazione di elementi fattuali ulteriori e diversi da quelli di cui la Corte può avere (già) cognizione, quando è così, la risposta sembra che debba essere negativa.

 

I giudici regolatori, comunque, non ignorano la possibilità che l’interessato, dopo la sentenza di proscioglimento, continui a lamentare la sproporzione della misura, disposta in altro grado e confermata in quelli successivi, su cui il giudice dell’impugnazione non abbia potuto pronunciarsi, in assenza di specifico motivo di doglianza ovvero a causa della necessità che si svolgessero ulteriori accertamenti di merito, impediti dall’art 129 c.p.p. Al riguardo, i giudici rammentano che questo possa rivolgersi al giudice dell’esecuzione e chiedere, in tale sede, anche la revoca della misura ablativa limitatamente alle aree o immobili che dovessero essere ritenuti estranei alla condotta illecita, attraverso lo strumento dell’incidente di esecuzione, nell’ambito del quale il giudice gode di ampi poteri istruttori ai sensi dell’art. 666, comma 5, c.p.p.

 

5.      Sulla rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione sollevata dalla Corte.

 

La questione di legittimità costituzionale sollevata con l’ordinanza in commento è stata ritenuta rilevante dalla Corte territoriale ai fini della decisione da assumere, dal momento che, posta l’ordinabilità della confisca lottizzatoria ai danni degli imputati, anche in caso di proscioglimento per sopraggiunta prescrizione del reato, e ribadito e condiviso dal Collegio giudicante l’accertamento della responsabilità degli stessi per come emersa dalla sentenza di primo grado, la preliminare pronuncia della Consulta sulla legittimità costituzionale dell’art. 44 T.U. Edilizia, nei termini in cui è stata posta, è apparsa dirimente ai fini del provvedimento ablatorio da disporre.

 

Quanto, invece, alla non manifesta infondatezza della questione, i giudici rimettenti si sono appellati alla decisività della proporzionalità che, secondo gli insegnamenti della Corte di Strasburgo, deve necessariamente caratterizzare la misura ablativa.

A questo fine, i giudici si rifanno ai criteri enunciati dalla Grande Camera nella già citata sentenza del 28.6.2018, Giem c. Italia (§301). Secondo tali parametri, per valutare la proporzionalità dell’ablazione deve considerarsi:

  1. la possibilità di adottare misure meno restrittive, quali ad esempio la demolizione di opere non conformi alle disposizioni pertinenti o l’annullamento del progetto di lottizzazione;
  2. la natura illimitata della sanzione derivante dal fatto che può comprendere indifferentemente aree edificate e non edificate e anche aree appartenenti a terzi;
  3. il grado di colpa o di imprudenza dei ricorrenti o, quanto meno, il rapporto tra la loro condotta e il reato in questione, aggiungendo (§302) che deve essere offerta la possibilità, alla persona interessata, di esporre adeguatamente le sue ragioni alle autorità competenti al fine di contestare efficacemente le misure che violano i diritti garantiti dall’art. 1 del Protocollo n. 1 CEDU (diritto di proprietà).

 

Proprio l’«assoluta novità interpretativa» di quest’ultimo criterio è stata valorizzata, in particolare, dalla Corte barese, atteso che la confisca delineata dall’art. 44 T.U. Edilizia «si applica in maniera sostanzialmente incondizionata» (v. pag. 33 dell’ordinanza).

 

E infatti – a detta dei giudici rimettenti – la grave sanzione della confisca andrebbe a colpire – nel caso di specie –   «l’anello debole e finale» di una «lunga catena di responsabilità», rappresentato da quei proprietari che, per una negligenza non scusabile sul piano giuridico «ma comunque limitata» subirebbero «un danno enorme», in spregio alle indicazioni provenienti dalla Grande Camera di Strasburgo che imporrebbero la proporzionalità della misura anche in relazione al grado di rimproverabilità psicologica dei ricorrenti. Pertanto, in riferimento al caso concreto, la sanzione della confisca sarebbe «inutilmente vessatoria ed eccessivamente gravosa»,  e andrebbe sostituita da altra e diversa misura più adeguata.

Nondimeno, i giudici a quibus prendono atto della circostanza che l’art. 44, secondo comma, d.P.R. 380/2001 non ammette in alcun modo sanzioni diverse dalla confisca sul piano letterale e che una diversa interpretazione della norma così strutturata condurrebbe nella specie ad una inammissibile operazione creativa, certamente preclusa dai canoni generali dell’interpretazione. Dunque, dal momento che non è possibile interpretare l’art. 44 cit. in maniera convenzionalmente orientata, ovvero conforme alla pronuncia della Grande Camera della CEDU, i giudici concludono che la norma vada sottoposta ad un vaglio di costituzionalità in relazione all’art. 117, primo comma, Cost. nella parte in cui è previsto che la potestà legislativa debba essere esercitata dallo Stato nei rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

 

Si badi, quindi, che i giudici rimettenti chiedono che sia censurata di incostituzionalità non la sanzione della confisca ex se, quanto la norma di cui all’art. 44 T.U. Edilizia, nella misura in cui non prevede misure diverse dalla confisca, meno gravi e proporzionate al grado di colpa rimproverabile ai destinatari della misura, ossia i proprietari occupanti dei lotti abusivi, comunque concorrenti assieme ad altri nel reato.

 

6.      Cosa deciderà la Consulta?

 

Preme rimarcare, fin da subito, la validità delle perplessità esposte dalla Corte d’Appello rimettente: deve riconoscersi, infatti, che quello della necessaria proporzionalità della confisca urbanistica e, in generale, delle sanzioni comminabili in materia di lottizzazione abusiva, è un tema tante volte ripreso dalle Corti sovranazionali, quante volte disatteso e mai veramente recepito sul piano interno da parte, innanzitutto, del legislatore.

Eppure, al di là del merito della questione, su cui pure dovremo tornare, pare non potrà essere questa l’occasione che ci consenta di fare passi avanti nel senso auspicato. E infatti, con l’ordinanza in commento, pare si invochi un intervento della Consulta, tra le altre cose, eccessivamente creativo che farà fatica ad essere accolto.

 

Innanzitutto, i giudici a quibus sembrano ignorare un elemento idoneo ad incidere negativamente già sulla rilevanza della questione da loro prospettata, rispetto al caso concreto. Se, infatti, la Consulta, come richiesto, si pronunciasse nel senso della incostituzionalità della norma censurata (art. 44, secondo comma, T.U.Ed.), gli stessi giudici si troverebbero a dover proseguire, nei fatti, un giudizio che, in considerazione della maturata prescrizione, non può proseguire, ai sensi dell’art. 129 c.p.p.

A meno che i giudici non intendano trattare tutti gli imputati-proprietari allo stesso modo, nel senso di ritenere applicabile nei confronti di tutti la misura alternativa alla confisca, dovrebbero proseguire la loro attività processuale, in modo tale da verificare quando e nei confronti di chi, in concreto, la misura ablativa debba ritenersi sproporzionata e quando e nei confronti di chi, invece, proporzionata, attraverso un ulteriore attività di accertamento che, per quanto favorevole per alcuni degli imputati, non lo sarebbe per altri. Ad ogni modo, proprio tale ulteriore attività di accertamento, finalizzata alla valutazione sulla proporzionalità della confisca, imponendo ulteriori accertamenti di merito, sarebbe preclusa dal principio di “immediata declaratoria di cause di non punibilità”, sancito all’art. 129 c.p.p., il quale risponde, oltre che a logiche ispirate al favor rei, anche a quelle di economicità processuale (cfr. Cass. Pen., Sez. Un., sent. n. 13539 del 2020).

 

Piuttosto, a quadro normativo vigente e tenendo presente gli insegnamenti di Strasburgo, una volta maturato il termine di prescrizione del reato presupposto (già accertato), allorquando si debba decidere in ordine alla sorte della confisca, delle due l’una, verrebbe da dire: o la confisca è proporzionata e quindi va ordinata, o la confisca non è proporzionata e non va disposta.

 

Tuttavia, non si può dimenticare la funzione certo sanzionatoria, ma anche preventiva dell’ablazione lottizzatoria, la quale costituisce presidio decisivo, talora esclusivo, a tutela del bene ambiente-paesaggio, a cui l’ordinamento non può rinunciare. Dunque, qualsiasi soluzione che andasse nel senso di escludere tout court la confisca, ancorché quando non proporzionata o non “proporzionabile”,  sarebbe altresì da respingere. Rebus sic stantibus, pare che, nel caso di specie, non siano possibili misure diversa dall’ablazione lottizzatoria.

 

Quanto alla non manifesta fondatezza della questione sollevata con l’ordinanza in commento, pare opportuno introdurre un ulteriore elemento di riflessione. È vero che – come rileva la Corte rimettente – la Grande Camera di Strasburgo, nella sentenza Giem c. Italia del 2018, ha statuito che l’applicazione automatica della confisca in caso di lottizzazione abusiva prevista – salvo che per i terzi in buona fede – dalla legge italiana sia in contrasto con il principio di protezione della proprietà, sancito dall’art. 1 del Protocollo n. 1 CEDU, in quanto non consente al giudice di valutare quali siano gli strumenti più adatti alle circostanze specifiche del caso di specie e, più in generale, di bilanciare lo scopo legittimo soggiacente e i diritti degli interessati colpiti dalla sanzione (§303); ed è altrettanto vero che la stessa Corte abbia indicato i possibili criteri interpretativi, utili a questo fine, sopra già riportati[9]; ma, a ben vedere, nel caso concreto, la Corte avrebbe potuto sforzarsi a risolvere la questione in ordine alla proporzionalità dell’ablazione in altro modo, rifacendosi proprio ad uno di questi criteri, diverso da quelli su cui essa ha deciso di impuntarsi.

Ci si riferisce, in particolar modo, al secondo dei criteri suggeriti dalla Grande Camera, ossia quello

sull’ambito dell’estensione della confisca, l’unico per vero compatibile con tale misura. In riferimento a tale criterio, gli stessi giudici a quibus ammettono che «occorre adeguarsi alla pronuncia della CEDU facendo leva su una interpretazione convenzionalmente orientata, la quale del resto trova ampi agganci nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, che infatti impone di limitare la sanzione ai beni effettivamente interessati dalla lottizzazione e di non estenderla anche a quelli estranei alla stessa». Ricorrendo a tale indice interpretativo, la Corte avrebbe potuto disporre la confisca delimitandone in concreto l’oggetto, in modo da evitare che essa colpisse beni ulteriori a quelli effettivamente abusivi o zone più estese di quelle oggetto dell’accertata lottizzazione illecita. Salvando in questo modo la proporzionalità della misura ablativa.

E invece, in considerazione del fatto che, nel caso concreto, la lottizzazione abusiva concernesse astrattamente solo una quota immobiliare ulteriore a quella legittima (il 75 % di ciascun fabbricato), i giudici rimettenti hanno ritenuto inapplicabile un tale temperamento, in vista dei problemi che l’esecuzione di siffatta confisca avrebbe potuto comportare. A detta della Corte d’appello, quindi, più adeguata e maggiormente conforme al principio di proporzionalità euro-convenzionale sarebbe la misura dell’obbligo di procedere all’adeguamento parziale delle opere eseguite a cui, solo in subordine, potrebbe fare seguito l’ablazione.

 

D’altra parte, è pur vero che il carattere sostanzialmente penale della confisca urbanistica (riconosciuto ormai da giurisprudenza nazionale e sovranazionale) imporrebbe una sua “graduabilità”, al pari di qualsiasi altra sanzione penale (artt. 133 e 133-bis c.p.). Eppure, non può ignorarsi che la confisca sia ontologicamente non graduabile, tranne che, appunto, nella sua estensione oggettiva.

Inoltre, nel caso concreto, come emerge dall’ordinanza, va considerato il dato per quale solo il 25% di ciascun fabbricato potrebbe astrattamente dirsi legittimo, di guisa che l’adeguamento dovrebbe riguardare la maggior parte di ciascun fabbricato in questione che, da uso “residenziale” non consentito dalla programmazione generale comunale, dovrebbe essere riconvertito, per il 75%, ad uso “artigianale”. Si tratta cioè di verificare la fattibilità di un tale adeguamento, che si vorrebbe imporre ai singoli proprietari, posto che si tratta di “villette a schiera”, in luogo di fabbricati da destinarsi ad attività produttiva: la misura alternativa e meno grave della confisca, prospettata dai rimettenti, nel caso di specie, potrebbe rivelarsi una alternativa soltanto potenziale, non reale, che finirebbe solo per posticipare l’esito confiscatorio.

Diversamente, se tale adeguamento fosse stato già realizzato dagli imputati nelle more del processo, la confisca, in tal caso, sarebbe stata certamente da considerarsi sproporzionata, come riconosciuto di recente dalla Corte di cassazione (Cass. Pen., Sez. III, sent. 22 aprile 2020, n. 12640).

 

Difficile, insomma, che la Corte costituzionale, non essendo stata interpellata in ordine al carattere intrinsecamente sproporzionato della confisca, né  potendo intervenire sulla graduabilità ex se della stessa, intervenga per rimodulare la risposta sanzionatoria nel suo complesso, introducendo misure alternative e meno gravi dell’unica già prevista, senza peraltro che sia accertata, come accennato,  l’utilità o la fattibilità di siffatte misure nel caso concreto. E infatti, se lo scopo deve essere quello di ripristinare la conformità urbanistica dell’area interessata dall’intervento lottizzatorio abusivo, la riconduzione della stessa alle originarie condizioni deve essere effettiva ed integrale, non assumendo quindi rilievo interventi ripristinatori fittizi o soltanto parziali, dovendosi intendere come tali non soltanto quelli attuati mantenendo anche soltanto alcuni degli interventi realizzati, ma anche quelli resi impossibili dalle trasformazioni effettuate[10]. Tuttavia, proprio sulla effettiva fattibilità e/o utilità di tale misura alternativa, rispetto al caso di specie, la Corte rimettente poco o nulla dice.

 

Infine, un ulteriore fattore potrebbe incidere negativamente sull’accoglimento della questione di legittimità costituzionale: il carattere per certi versi vago, per altri versi eccessivamente creativo, del petitum avanzato dai giudici rimettenti.

E infatti, viene chiesto alla Consulta di censurare la norma disciplinante la confisca urbanistica, art. 44, secondo comma, d.P.R. 380/2001, nella misura in cui non consente l’applicazione in via principale di una sanzione meno grave, nei confronti dei soggetti rimproverabili per aver tenuto solo una lieve condotta colposa. In altre parole, si vorrebbe che la Corte costituzionale intervenisse per adeguare la disicplina vigente ai criteri elaborati in Strasburgo (in particolare, il primo e il secondo criterio, già menzionati), senza peraltro fornire al Giudice delle leggi un valido parametro di riferimento su cui fondare non solo e non tanto il suo giudizio sulla eventuale (in)costituzionalità della norma, quanto il suo positivo e creativo intervento “riparatore” della illegittimità prospettata.

Solo en passant si legge, nell’ordinanza di rimessione, un riferimento all’art. 98, comma 3, T.U.Ed., allorquando la Corte, peraltro tra parentesi, suggerisce alla Consulta di mutuare il sistema di prescrizioni ivi previsto per rendere le opere conformi alle disposizioni tecniche sostanziali in materia antisismica, al fine di introdurre forme meno severe di sanzione nell’art. 44 cit.

Anche a voler trascurare la diversità delle due ipotesi implicitamente paragonate, difficile che la Consulta possa positivamente intervenire per articolare un ventaglio di ipotesi sanzionatorie, oggi non previsto, in materia di lottizzazione abusiva, sostituendosi all’attività legislativa.

 

7.      Ulteriori e diverse possibilità di “tutela” dei proprietari

 

Al di là della questione di legittimità costituzionale sollevata dall’ordinanza qui esaminata e delle soluzioni auspicate dai giudici a quibus, resta da vedere, da una parte, nel caso in cui non sia disposta la confisca in sede penale, se e quanto ciò influisca sulla possibilità che il medesimo risultato sia ottenibile in sede amministrativa, di tal guisa recuperando, fuori dal  processo penale, la funzione preventiva della misura a tutela dell’interesse ambiente-paesaggio. Dall’altra parte, nel caso in cui la confisca venga disposta, ma se ne lamenti la proporzionalità, se si possa agire in fase esecutiva per ricondurre l’ablazione ai parametri di legalità.

 

Per quanto concerne la prima questione, è frequente, tra la giurisprudenza, l’affermazione secondo la quale l’impossibilità di operare la confisca in sede penale, perché ad esempio non sia stato possibile accertare il fatto, non impedisca all’amministrazione di adottare i provvedimenti sanzionatori previsti dall’art. 30 d.P.R. n. 380 del 2001 (Cass. Pen., Sez. Un., sent. 30 aprile 2020, n. 13539; Cass. Pen., Sez. III, sent. 6 ottobre 2010, n. 5857).

Al riguardo, non può trascurarsi la circostanza che, all’interno del sistema delle sanzioni amministrative previsto per la lottizzazione dall’art. 30, commi 7 e 8, cit.  l’intervento sanzionatorio del giudice penale attuato tramite la confisca sia di ordine meramente residuale e non interferisca, quindi, né si sovrapponga all’autonomo potere principalmente attribuito all’autorità amministrativa.

Del resto, deve escludersi che, in tema di provvedimenti sanzionatori che conseguono all’accertamento di una lottizzazione abusiva, possa desumersi dalla disciplina in materia l’esistenza di una sorta di pregiudiziale penale, ovvero di previa verifica della sussistenza della responsabilità penale di cui all’art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. n. 380 del 2001 (Cass. Pen., Sez. Un., sent. 30 aprile 2020, n. 13539; Con. Stato, Sez VI, sent del 26 marzo 2018, n. 1888; Con. Stato, Sez. V, sent. 23 marzo 2018, n. 1878). Sicché, ai fini del provvedimento di acquisizione in via amministrativa del terreno da parte della p.a., è irrilevante che possa venire a mancare una pronuncia di confisca in sede penale.

 

Per quanto concerne la seconda questione, vale la pena riportare, ancora una volta, quanto precisato, sia pure marginalmente, dalle Sezioni Unite, nella recente sentenza n. 13539 del 2020: l’interessato può «proporre ogni doglianza sul punto in sede esecutiva (anche, ove ne ricorrano i presupposti, nella prospettiva, segnalata dalla sentenza G.I.E.M. S.r.l. c. Italia, e di cui va valutata la compatibilità con l’attuale assetto normativo, del mancato utilizzo di misure diverse, e di invasività inferiore, rispetto a quella della confisca) e di chiedere, conseguentemente, anche la revoca della confisca limitatamente alle aree o agli immobili che dovessero essere ritenute estranee la condotta illecita, secondo una modalità di impiego dello strumento dell’incidente di esecuzione, nel quale il giudice gode di ampi poteri istruttori ai sensi dell’art. 666, comma 5, cod. proc. pen., del tutto consueta anche nell’applicazione giurisprudenziale (nel senso che in sede esecutiva può farsi questione anche sulla estensione e sulle modalità esecutive della confisca stessa» (cfr. Cass. Pen. Sez. I., sent 3 luglio 2020, n. 30713; Sez. IV, sent. 20 aprile 2000, n. 2552).

 

Inoltre, si consideri anche che dopo il passaggio in giudicato l’amministrazione comunale conserva la piena ed incondizionata potestà di programmazione e di gestione del territorio. Così se, da un lato, deve escludersi che il successivo adeguamento degli immobili acquisiti agli standard urbanistici già vigenti ovvero l’adozione di nuovi strumenti urbanistici integri una fonte di retro-trasferimento della proprietà in favore dei privati già destinatari dell’ordine di confisca; dall’altro, resta la possibilità, qualora ragioni di opportunità e di convenienza consiglino di destinare l’area lottizzata alla edificazione, che l’amministrazione decida di non esercitare in proprio le iniziative edificatorie e di non conservare la proprietà sui terreni e sui manufatti che eventualmente vi insistono, facendo ricorso ad atti contrattuali volontari ed a titolo oneroso che trasferiscano la proprietà a tutti o parte dei precedenti proprietari.

 

Infine, pare opportuno menzionare che la Corte di Cassazione[11], di recente, ha affermato che una lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata della vigente disciplina, in materia di lottizzazione abusiva e confisca, consenta sicuramente di ritenere superflua la misura ablatoria, perché misura sproporzionata secondo i parametri di valutazione indicati dalla giurisprudenza della Corte EDU, allorquando sia dimostrata in giudizio ed accertata in fatto dal giudice del merito con congrua motivazione la effettiva ed integrale eliminazione di tutte le opere eseguite in attuazione dell’intento lottizzatorio, nonché dei pregressi frazionamenti, con conseguente ricomposizione fondiaria e catastale nello stato preesistente ed in assenza di definitive trasformazioni.

 

8.      Conclusioni

 

In conclusione, sulla scorta di quanto si è tentato di esporre, pare che il nuovo e ulteriore tassello che la Consulta è stata chiamata ad apporre in tema di confisca urbanistica probabilmente non ci sarà. Per quanto “coraggiosa” sia stata la scelta della Corte territoriale di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 44 e per quanto comunque auspicabili restino soluzioni volte a rendere il ventaglio sanzionatorio previsto in materia di lottizzazione abusiva più flessibile e proporzionato, pare non possa essere la Corte costituzionale ad intervenire in tal senso, almeno non in questa occasione.

Sarebbe opportuno, piuttosto, un intervento pienamente legittimo del legislatore che attribuisca maggiore rilevanza alla possibilità di perseguire il fine tutelativo del bene-interesse ambiente-paesaggio anche  attraverso l’adozione di misure alternative alla confisca, in modo tale da incidere, ove possibile, meno pesantemente sul diritto di proprietà, rispettando quel rapporto di proporzionalità valorizzato dalla Corte di Strasburgo.

 

Tale intervento legislativo potrebbe articolarsi in una duplice direzione. Sia, come auspicato dai giudici a quibus nell’ordinanza in commento, attraverso la previsione di un ventaglio sanzionatorio modulabile a seconda del caso concreto, nell’ambito del quale la confisca assuma carattere residuale di extrema ratio. Mutuando, di tal guisa, soluzioni peraltro non del tutto sconosciute al nostro ordinamento, si veda ad esempio quanto previsto dall’art. 12-bis d.lgs. 74/2000. Sia, soprattutto, attraverso l’incentivazione, già durante la fase processuale, di condotte “riparatorie” volte a neutralizzare l’utilità della successiva confisca (obbligatoria), a graduare anche in questo modo la risposta sanzionatoria all’esito dell’accertamento processuale (quando il reato non sia prescritto), ad evitare la posticipazione della tutela (urgente) del bene-ambiente.

 

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Note

[1] C. eur. dir. uomo, sent. 20 gennaio 2009, Sud Fondi c. Italia.

[2] C. eur. dir. uomo, sent. 29 ottobre 2013, Varvara c. Italia.

[3] Cfr. § n. 4 del Considerato in diritto, Corte cost., 14 gennaio 2015, n. 49.

[4] C. eur. dir. uomo, Grande Camera, sent. 28 giugno 2018, G.I.E.M. e altri c. Italia.

[5] Invero, in quell’occasione la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato lo Stato italiano, riscontrando la violazione di quanto stabilito dall’art. 1 del Prot. Add. n. 1 della CEDU: «l’applicazione automatica della confisca in caso di lottizzazione abusiva prevista – salvo che per i terzi in buona fede – dalla legge italiana è in contrasto con questi principi in quanto non consente al giudice di valutare quali siano gli strumenti più adatti alle circostanze specifiche del caso di specie e, più in generale, di bilanciare lo scopo legittimo soggiacente e i diritti degli interessati colpiti dalla sanzione» (§303).

[6] Art. 44 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380: «la sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva, dispone la confisca dei terreni, abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite».

[7] Piuttosto, sembra che la norma, in effetti, si riferisca a due soli tipi di confische: da un lato, la confisca “in casi particolari”, ossia la confisca c.d. allargata, prevista oltre che dall’art. 240-bis, comma 1, c.p. (rubricato, appunto, confisca in casi particolari) anche “da altre disposizioni di legge”; dall’altro, la confisca c.d. per equivalente prevista dall’articolo 322-ter c.p. In questa prospettiva, l’inciso “e da altre disposizioni di legge” andrebbe dunque riferito alla sola confisca allargata (ossia a questo tipo di confisca) che, sebbene prevista dall’art. 240-bis c.p. in riferimento alla maggior parte dei reati-presupposto per i quali essa è ordinabile, è contemplata anche da altre disposizioni speciali relative a specifici reati.

[8] Cass. Pen., Sez. III, ord. 2 ottobre 2019, n. 40380: «se, in caso di declaratoria di estinzione per prescrizione del reato di lottizzazione abusiva, sia consentito l’annullamento con rinvio limitatamente alla statuizione sulla confisca ai fini della valutazione da parte del giudice di rinvio della proporzionalità della misura, secondo il principio indicato dalla sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’uomo 28 giugno 2018 G.I.E.M. srl e altri c. Italia».

[9] (§301) «Al fine di valutare la proporzionalità della confisca, possono essere presi in considerazione i seguenti elementi: la possibilità di adottare misure meno restrittive, quali la demolizione di opere non conformi alle disposizioni pertinenti o l’annullamento del progetto di lottizzazione; la natura illimitata della sanzione derivante dal fatto che può comprendere indifferentemente aree edificate e non edificate e anche aree appartenenti a terzi; il grado di colpa o di imprudenza dei ricorrenti o, quanto meno, il rapporto tra la loro condotta e il reato in questione».

[10] Cfr. Cass. Pen., Sez. III, sent. 22 aprile 2020, n. 12640.

[11] Cass. Pen., Sez. III, sent. 22 aprile 2020, n. 12640.

Sentenza collegata

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Giovanni Russo

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