Vi è in Italia economicamente una grossa difficoltà derivante sia dall’elevato debito pubblico che dalla bassa crescita economica, a cui si aggiunge un territorio la cui testa è nell’area germanica e il corpo nell’area mediterranea, circostanze le quali impediscono il reperimento di risorse aggiuntive senza garantirne l’uso efficiente se non efficace delle poche libere disponibili.
Già nel periodo più favorevole del 1990-2007 il PIL era cresciuto in Italia del solo 1,4% in media all’anno; si deve inoltre considerare il divario tra territori nella capacità fiscale, dove il Mezzogiorno ha un PIL del 60% del Centro Nord (2009-2010 Banca d’Italia), circostanza che obbliga a ingenti flussi redistributivi.
La sostituzione del criterio della spesa storica con quello del costo standard per funzioni, con la determinazione dei livelli essenziali di assistenza e di funzionamento degli Enti locali, trova difficoltà nell’elevata “eterogeneità” sia qualitativa che quantitativa della spesa pubblica sul territorio nazionale, con elevati divari nella qualità dei servizi pubblici (Bianco, Sestino). Né alla minore qualità è associata una spesa inferiore, come nel caso della sanità, considerando la necessità ai fini della sostenibilità che la riduzione della spesa pubblica debba essere accompagnata da un incremento dell’efficienza delle strutture (Staderini).
Sul piano internazionale si deve inoltre considerare che gli Stati usano i fondi sovrani per fini di politica estera, a cui si deve aggiungere il crescente ruolo che le agenzie di rating hanno assunto dai primo anni Novanta, assumendo la funzione di censori del mercato e per tale via del debito nazionale sempre più collocato sullo stesso, secondo la teoria neoliberale prevalente nelle grandi organizzazioni internazionali quali il FMI, la BCE o l’OCSE.
Nonostante i ripetuti conflitti di interesse emersi nel sistema sopra descritto, dove le agenzie fungono sia da consulenti che da controllori talora sensibili a particolari interessi, come a sua volta la stampa specialistica non è sempre delle più imparziali, appare evidente la debolezza di uno Strato gravato da un grosso debito pubblico che lo sottopone a pressioni terze quale arma puntata attraverso gli attacchi speculativi (Galloni, Franza, Slavazza).
Data la complessità strutturale dello Stato italiano, le differenze culturali e politico-amministrative emerse anche recentemente, prodotto di una lunga storia molto diversa tra le varie aree del Paese, talora contrastante, nasce l’esigenza, di fronte al fallimento di molte delle strutture accentrate come al contempo delle difficoltà del decentramento, di una “camera di compensazione” in cui le Regioni vengano a guardarsi in faccia nel trasferimento di quote delle risorse pubbliche. La quota delle risorse che deve essere trasferita, anche quale compensazione, agli Enti locali, dovrebbe essere oggetto di una trattativa diretta tra le varie aree regionali in cui lo Stato assume la sola funzione di mediatore e moderatore.
Viene pertanto a mancare una Camera delle Regioni responsabile delle risorse ad esse devolute, emergerebbero senz’altro conflitti, ma forse si eviterebbe per tale via la spaccatura che è sempre riemersa nella storia dell’Unità dell’Italia, dall’Ottocento in poi nei momenti di crisi, una delle cause della nostra fragilità sul piano internazionale.
Tuttavia occorre ripristinare il doppio controllo sulle spese da parte di autorità indipendenti dagli Enti e non solo in termini di efficienza, al fine di garantire il buon esito degli accordi raggiunti e la fiducia che essi presuppongono.
Altro principio da introdurre sarebbe quello del referendum popolare approvativo sulle leggi di spesa riguardanti direttamente le remunerazioni e rimborsi delle assemblee legislative, un controllo diffuso per mantenere la fiducia dei cittadini altrimenti minata dalla politica quale pura affermazione di un mestiere personale.
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