Il conflitto rappresenta un elemento naturale e quasi fisiologico nell’esistenza di ciascun individuo, spesso funzionale e necessario a crescere, maturare ed evolvere.
Tuttavia, ciò che rileva è la modalità con la quale esso viene affrontato, specie in ambito famigliare.
Qualora le parti abbiano la capacità di gestirlo in modo adeguato, è infatti altamente probabile che la relazione non ne risenta ed anzi, talvolta si consolidi.
Una conflittualità mal gestita produce, al contrario, importanti effetti distruttivi sugli individui e sulle loro relazioni.
Quando ci si imbatta in un conflitto, occorre innanzi tutto capire quale ne sia l’entità osservando determinati indicatori: il suo grado di persistenza, la sua pervasività e la sua intensità.
Volume consigliato
Guida alle buone prassi per la composizione del contenzioso familiare
Negli ultimi anni il principio di bigenitorialità rappresenta sempre più il principale punto di riferimento per tutti coloro che, a vario titolo, sono chiamati a confrontarsi con la crisi della famiglia conseguente alla separazione dei genitori. La fine dell’unione di coppia deve preservare la responsabilità genitoriale e l’accesso dei figli ad entrambi i genitori e ad entrambe le stirpi, nonni e famiglie di origine. Si promuove così la qualità della funzione genitoriale e la lealtà dei figli verso la famiglia e le sue storie generazionali; non esclusivamente verso l’uno o l’altro dei mondi genitoriali. Il percorso della separazione evolve in tempi non brevi e passa attraverso varie fasi. Riguarda l’aspetto mentale, sia sul piano cognitivo che emotivo, la relazione con l’altro e con i figli e la riorganizzazione del funzionamento della famiglia anche nella quotidianità. Può dare luogo a conflitto anche di elevata intensità con il rischio di pregiudizio di un adeguato esercizio della responsabilità genitoriale in una fase molto delicata della vita della famiglia.È dunque maturata negli operatori – sia provenienti dalla cultura psicosociale che giuridica – la convinzione che la tutela giurisdizionale dei diritti non sia il modo più appropriato e completo per la neutralizzazione del conflitto familiare, mai comunque di prima scelta. Legislatore, giudici ed avvocati sono dunque alla ricerca di modalità alternative al processo che consentano una gestione più costruttiva del conflitto familiare, utile a salvaguardare il più possibile l’unità genitoriale al di là della separazione della coppia.Queste modalità alternative si sono articolate in tempi recenti in una tipologia di buone prassi nella composizione del contenzioso familiare tra loro anche molto diverse: tutte utili allo scopo, ma ciascuna nell’appropriato contesto. Il presente manuale si offre agli operatori come prima guida di consultazione entro questo panorama così eterogeneo per consentire un’adeguata opportunità di informazione e scelta alle parti.Cesare BulgheroniAvvocato, è professore a contratto del corso di diritto dell’ADR e di quello di tecniche di gestione dei conflitti presso la LIUC, Università Cattaneo di Castellanza, nonché professore a contratto presso l’Università dell’Insubria a Como del corso di diritti religiosi e mediazione familiare e comunitaria. È mediatore civile, commerciale e familiare, formato al metodo della coordinazione genitoriale. Docente accreditato al Ministero di Giustizia per la formazione dei mediatori ai sensi del DM 180/10. Consigliere dell’Ordine Forense di Varese per oltre un decennio. Si occupa professionalmente di mediazione e gestione dei conflitti dal 1998. Mediatore presso l’Ordine Forense di Milano, Busto Arsizio e Varese. Autore di numerosi lavori in materia di mediazione civile e familiare. Ricercatore e critico dei sistemi di soluzione delle controversie alternativi al giudizio ha preso parte a numerosi convegni e gruppi di lavoro in tema di alternative dispute resolution.Paola VenturaAvvocato mediatrice familiare e civile; è formata alla Pratica Collaborativa, nonché al metodo della Coordinazione Genitoriale. All’interno dello Studio Legale LA SCALA S.T.A.P.A. (di cui è fondatrice), svolge attività professionale nell’ambito del diritto di famiglia, family office e quale esperta ADR in generale. Da oltre vent’anni si occupa di gestione del conflitto, di mediazione e A.D.R., sia come mediatore che come formatore. È docente accreditato al Ministero di Giustizia per la formazione dei mediatori ai sensi del DM 180/10. È membro del comitato scientifico dell’Associazione dei professionisti collaborativi – AIADC. Ha svolto attività di formazione per numerosi enti (Università e Associazioni Forensi) nell’ambito della mediazione civile e familiare, e, più in generale degli strumenti ADR.Marzia BrusaPsicologa Esperta in Psicologia Giuridica. Consulente Tecnico d’Ufficio per il Tribunale di Varese e Consulente Tecnico di Parte sul territorio nazionale. Formata al metodo della Coordinazione Genitoriale. Socio fondatore dell’Associazione Italiana Coordinatori Genitoriali e membro del Consiglio Direttivo. Ha esperienza decennale all’interno dei Servizi Tutela Minori, dove ha gestito casi di famiglie con minori su provvedimento dell’Autorità Giudiziaria in ambito civile e penale. È una delle socie fondatrici dello studio Teseo – Centro di Consulenza per la Famiglia, dove lavora in collaborazione ad altre figure professionali (sociali, psicologiche e legali) per la presa in carico integrata dei nuclei familiari in situazioni di crisi. All’interno dello Studio svolge attività clinica, oltre che di supervisione e formazione. Si occupa in particolare di percorsi di valutazione e sostegno alle capacità genitoriali e alla gestione della co-genitorialità in regime di separazione o divorzio.
Cesare Bulgheroni, Paola Ventura, Marzia Brusa | 2019 Maggioli Editore
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Le tipologie di conflitto
Si parla di conflitto persistente quando lo stesso si trascini in maniera esasperata nel tempo.
Un momento di crisi tra i genitori può capitare, ma se circoscritto e gestito con equilibrio, rispetto e modalità adeguate di interazione, può essere superato senza ripercussioni sui figli. Diversamente, la latenza può creare loro traumi, li può portare a sviluppare sintomi ansiosi, depressivi o aggressivi anche al di fuori del contesto famigliare.
Può succedere, poi, che la coppia non riesca a trovare un punto comune, sia in disaccordo su ogni aspetto che interessa la famiglia, o che trovato un punto di incontro, discuta nuovamente di aspetti che sembravano risolti, riproponendo sempre le stesse dinamiche.
È proprio in queste situazioni, che il conflitto si caratterizza come pervasivo: ogni comunicazione tra i genitori assume connotati conflittuali.
Per stabilire inoltre quale sia il grado di intensità del conflitto, è necessario osservare se i genitori abbiano la capacità di controllarsi e di evitare di far vivere ai figli situazioni provocatorie, manipolatorie o svalutanti: il conflitto è intenso quando è caratterizzato da aggressività.
Ciò che crea danno ai figli non è dunque il conflitto in senso stretto, ma piuttosto la modalità con cui esso viene gestito: la responsabilità del genitore nella crisi famigliare consta nella capacità dello stesso di superare la crisi nel più breve tempo possibile, avendo cura di proteggere i figli, di rassicurarli sulla permanenza degli affetti, di farsi carico di tutti i loro bisogni compresi quelli legati alla stima personale ed alla loro realizzazione, senza inglobarli nel conflitto.
In letteratura scientifica (Kleinsorge e Covitz 2012; Francescato 2006) sono infatti stati identificati otto fattori di rischio trauma per i minori i cui genitori stiano attraversando una crisi, che dovrebbero servire da campanello di allarme; essi sono:
1) Primo tra tutti, l’intensità e l’esposizione al conflitto. Si tratta di capire sino a che punto i genitori siano in grado di tenere distanti i figli dal conflitto
2) l’esclusione o denigrazione di un genitore: l’atteggiamento denigratorio e di esclusione del coniuge mina il diritto del figlio a mantenere rapporti affettivi con entrambi i genitori e lo espone allo schieramento, procurandogli nella maggior parte dei casi, disagio emotivo.
3) i problemi dei figli: nel momento in cui la famiglia attraversa il periodo critico, possono svilupparsi o peggiorare eventuali problematiche emotive e relazionali; se il minore è fragile, il rischio che la crisi separativa lo investa e ne danneggi lo sviluppo psicologico e talvolta fisico è maggiore.
4) i problemi dei genitori: difficoltà personali, disturbi psicologici pregressi, abuso di sostanze da parte di un genitore, diminuiscono o talvolta annullano la sua capacità di riconoscere i bisogni del figlio.
5) la comunicazione e coerenza educativa familiare: quando le scelte educative sono incoerenti, quando si passa da uno stile educativo rigido, al lassismo o viceversa, perché si è assorti nel reinvestire su di sé o si teme di perdere il controllo sulla vita dei figli, questi ultimi perdono il riferimento educativo stabile e ne restano emotivamente scombussolati.
6) l’isolamento sociale: la mancanza di socialità, di fonti di supporto esterne alla famiglia in conflitto, favorisce l’isolamento aumentando la sofferenza ed il coinvolgimento nella crisi.
7) i problemi economici: la stabilità economica infonde una tranquillità concreta, che il conflitto potrebbe minare costringendo la famiglia ad un drastico cambiamento dello stile di vita, con l’insorgere di forti insicurezze nei figli
8) l’affidamento e collocamento: la mancanza di un punto d’incontro circa tempi e modalità di frequentazione del genitore non collocatario può ingenerare nel figlio la sensazione di essere trattato come un oggetto, di non sentirsi apprezzato.
La conflittualità può portare effettivamente i genitori ad occuparsi meno dei figli ed a concentrarsi di più sui propri bisogni ingenerando nei minori la paura di essere o sentirsi abbandonati o l’ansia di essere inglobati in questa crisi senza possibilità di uscita, con i danni evolutivi che spesso ne possono derivare.
È per questo, che dei genitori competenti dovrebbero gestire la crisi senza perdere di vista i bisogni dei figli, non ultimi quelli legati alla considerazione di sé ed alla realizzazione personale, evitando, che le loro ansie o malesseri prendano il sopravvento sul nucleo già in separazione; solo così, saranno in grado di fissare un equilibrio famigliare solido, dando nuovamente stabilità ai figli.
La ctu in ambito familiare
Nelle procedure giudiziali, nelle quali sia richiesto all’Autorità giudiziaria di decidere sulla miglior condizione di affidamento dei minori, sulla loro collocazione, sulla decadenza o responsabilità genitoriale e, non sia possibile desumere elementi sufficienti di valutazione dalle risultanze degli atti e dalle dichiarazioni delle parti, il Giudice valuta la necessità di farsi assistere da uno o più consulenti di specifica competenza tecnica[1].
Come condivisibile, tuttavia, molti psicologi sottolineano l’incongruità della ormai troppo frequente disposizione della CTU nella sfera del diritto di famiglia per la statuizione dei tempi di frequentazione, di collocamento, di affidamento, atteso che tale ambito non rientra tra le questioni di tipo psicologico e psichiatrico, bensì giuridico.
La disposizione di una consulenza tecnica d’ufficio in ambito separativo dovrebbe, infatti, essere disposta in presenza di specifiche gravi ed evidenti problematiche; per tutto il resto, conflittualità inclusa, il giurista dovrebbe essere del tutto autonomo.
Peraltro, le corpose relazioni peritali, dense di esami psicologici spesso inutili e fuorvianti, espongono i soggetti esaminati ad una privazione del diritto alla privacy poiché ogni dettaglio, ogni sfumatura della loro personalità viene resa nota al giudice, ai CTP, agli avvocati che spesso strumentalizzano queste informazioni per il buon esito della causa.
Ne deriva che tale strumento, se abusato, aumenta a dismisura la conflittualità nelle dinamiche interne alle coppie già di per sé conflittuali, instaurando un meccanismo di competizione su chi abbia ottenuto il miglior risultato ai test, e spostando così il focus dal primario interesse dei figli.
Sempre più spesso, infatti, nelle crisi separative vi è tra i coniugi eccessivo coinvolgimento nelle dinamiche relazionali negative ed oppositive; è perciò necessario, in questi casi, rivolgersi ad un professionista esterno ed imparziale, che analizzati tutti fattori suesposti, sia in grado di canalizzare l’energia sprigionata dal conflitto in qualcosa di costruttivo e positivo.
Tra le varie alternative a disposizione delle parti, figurano così le a.d.r., strumenti di risoluzione alternativa delle controversie, sulle quali molto si discute in questo ultimi anni, in termini di efficacia e validità.
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Note
[1] (L.54/2006; Cass.Civ.Sez I n.11687;Cass. Civ.Sez.I, N.5097)
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