Per la persona richiesta in consegna in attuazione di un mandato di arresto europeo esecutivo e detenuta in carcere, da quando decorre il termine di trenta giorni per proporre la rescissione del giudicato? Per restare sempre aggiornato sulle evoluzioni della giustizia penale: Come cambia il processo penale – Dall’abrograzione dell’abuso d’ufficio al decreto giustizia
Indice
- 1. Il fatto
- 2. La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione: per la persona richiesta in consegna in attuazione di un mandato di arresto europeo esecutivo e detenuta in carcere, il termine di trenta giorni per proporre la rescissione del giudicato decorre dal momento dell’avvenuta conoscenza della sentenza, per effetto del contenuto del mandato di arresto, o dalla consegna del condannato?
- 3. La soluzione adottata dalle Sezioni unite
- 4. Conclusioni: nel caso di persona richiesta in consegna in attuazione di un mandato di arresto europeo esecutivo e detenuta in carcere, il termine per proporre la rescissione del giudicato decorre dal momento della consegna del condannato
1. Il fatto
La Corte di Appello di Genova dichiarava inammissibile una richiesta di rescissione del giudicato presentata in relazione ad una sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale di Imperia, decisione poi confermata dalla Corte territoriale genovese, divenuta irrevocabile a seguito della declaratoria di inammissibilità del ricorso presentato avverso di essa.
In particolare, alla luce di quanto scaturito in codesto giudizio, l’istanza di rescissione in questione avrebbe dovuto reputarsi tardiva, essendo decorsi oltre trenta giorni dalla conoscenza del procedimento decorrenti non dalla data della notifica in Italia dell’ordine di carcerazione, ma dalla data della detenzione all’estero o, al più, dalla data in cui era stato prestato il consenso alla consegna e dunque non oltre la data del 9 marzo 2023, non essendo ravvisabili cause impeditive e non essendo rilevante lo stato di detenzione all’estero, a fronte del fatto che, in forza della Direttiva 2013/48/UE, il ricorrente aveva potuto fruire di un difensore.
Ciò posto, avverso questa decisione, l’istante proponeva ricorso in Cassazione tramite i suoi difensori.
Nel dettaglio, dopo aver dato conto delle ragioni per cui avrebbe dovuto reputarsi indebitamente dichiarata la latitanza e ravvisarsi l’incolpevole mancata conoscenza del procedimento, con un unico articolato motivo, denunciava la manifesta illogicità della motivazione e la violazione dell’art. 4-bis, par. 2, della dec. quadro 2002/584/GAI sul mandato d’arresto europeo, come modificata dalla dec. quadro 2009/299/GAI, anche in relazione agli artt. 47 e 48 C.D.F.U.E., agli artt. 11 e 117 Cost. e agli artt. 6 CEDU, 3, 24, 111 Cost., contestandosi all’uopo l’assunto secondo cui non sarebbe stato impedito alla presentazione dell’istanza e, comunque, avrebbe potuto avvalersi di difesa tecnica, al fine del deposito dell’istanza in Italia, dovendo rilevare nel caso di specie l’oggettiva difficoltà a redigere un atto in lingua italiana, implicante la conoscenza di istituti e requisiti di ammissibilità, anche rispetto al reperimento di un procuratore speciale alloglotta, incaricato di redigere e depositare l’istanza in Italia nel termine di trenta giorni, decorrenti al più dal 09 marzo 2023.
Quanto poi alla possibilità di avvalersi di un difensore in Italia, garantita dalla direttiva U.E. 2013/48, l’impugnante osservava come avrebbe dovuto considerarsi che tale difensore avrebbe avuto il compito di assistere il difensore operante nello Stato di esecuzione, al fine dell’effettivo esercizio dei diritti delle persone ricercate, di cui alla dec. quadro 2002/584/GAI, e dunque quale garanzia ulteriore nell’ambito della procedura attivata dall’emissione di un mandato di arresto europeo, fermo restando che, in ogni caso, vi era un orientamento in base al quale il termine per la proposizione dell’istanza di rescissione decorre dalla notifica del mandato di arresto europeo, si pone in contrasto con l’art. 4-bis della dec. quadro 2002/584/GAI, come modificata dalla dec. quadro 2009/299/GAI, in forza del quale nel caso di mandato di arresto europeo emesso a fini esecutivi l’interessato, che non abbia avuto notizia precedentemente della pendenza del processo penale, può chiedere la trasmissione della sentenza da eseguire, prima della consegna, fermo restando che la trasmissione non costituisce notifica ufficiale della sentenza e non fa decorrere i termini applicabili per la richiesta di un nuovo processo o per la presentazione di un ricorso in appello.
Orbene, per la difesa, benché tale parte dell’art. 4-bis non sia stata interamente trasposta nell’ordinamento interno, la stessa dovrebbe essere letta unitamente agli artt. 6, comma 1 -bis, 18-ter e 30 legge 22 aprile 2005, n. 69, da valutarsi anche alla luce dell’art. 2, par. 3, della dec. quadro 2009/299/GAI, che fa riferimento alla notifica che l’interessato riceverà dopo la consegna e all’informazione circa il diritto di ottenere un nuovo processo o di proporre impugnazione per un giudizio di appello, oltre che circa i termini entro cui potrà formulare la richiesta.
Quindi, su tali basi il ricorrente rilevava che il termine non avrebbe potuto decorrere prima della consegna, non diversamente da quanto previsto dall’art. 175, comma 2-bis cod. proc. pen. ai fini della richiesta di restituzione in termini, nel caso di soggetto che sia estradato in Italia, imponendosi dunque un’interpretazione delle norme in tema di rescissione coerente con tale quadro.
Di qui la richiesta di annullare il provvedimento impugnato o, in alternativa, di sollevare rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 del T.F.U.E. al fine di chiedere alla Corte di giustizia se l’art. 4-bis della dec. quadro 2002/584/GAI, nella parte in cui fa decorrere il termine per la presentazione di ricorso volto alla rinnovazione del processo dal momento della consegna del destinatario del mandato di arresto europeo, osti ad un’interpretazione dell’art. 629-bis, comma 2, cod. proc. pen., espressa dalla giurisprudenza di legittimità (in particolare da Sez. 4, n. 36560 del 22/09/2021), che fa decorrere il termine dalla notifica del mandato di arresto europeo avvenuta all’estero. Per restare sempre aggiornato sulle evoluzioni della giustizia penale: Come cambia il processo penale – Dall’abrograzione dell’abuso d’ufficio al decreto giustizia
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2. La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione: per la persona richiesta in consegna in attuazione di un mandato di arresto europeo esecutivo e detenuta in carcere, il termine di trenta giorni per proporre la rescissione del giudicato decorre dal momento dell’avvenuta conoscenza della sentenza, per effetto del contenuto del mandato di arresto, o dalla consegna del condannato?
La Sezione assegnataria del suddetto ricorso, vale a dire la Sesta Sezione penale, lo rimetteva alle Sezioni unite.
In particolare, nell’ordinanza di rimessione si segnalava l’esistenza di un contrasto potenziale in ordine alla decorrenza del termine per la presentazione di istanza di rescissione ai sensi dell’art. 629-bis cod. proc. pen. nel caso in cui il soggetto richiesto in consegna sia stato giudicato in absentia e arrestato all’estero in esecuzione di mandato di arresto europeo, essendo infatti controverso se il termine decorra dalla conoscenza della sentenza al momento dell’arresto, come affermato da un costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, ovvero dalla consegna del condannato, secondo quanto desumibile dall’art. 4-bis, par. 2, della dec. quadro 2002/584/GAI, come modificata dall’art. 2 della dec. quadro 2009/299/GAI del Consiglio dell’U.E., adottata il 26 febbraio 2009.
Nel dar conto del contenuto dell’art. 629-bis cod. proc. pen. la Sezione rimettente riproduceve dunque il testo della norma attualmente vigente, che al secondo comma, ai fini della decorrenza del termine di trenta giorni per la proposizione dell’istanza, fa riferimento al momento dell’avvenuta conoscenza della sentenza, rilevando, sulla base di specifici richiami giurisprudenziali, che, secondo un costante indirizzo, il termine decorre non dalla compiuta conoscenza degli atti del processo e della sentenza conclusiva, non richiesta dalla norma, ma dalla conoscenza del procedimento, dovendosi evitare che un termine previsto a pena di inammissibilità sia affidato a determinazioni prive della necessaria certezza, oltre ad osservarsi al contempo come sia stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 629-bis, comma 2, cod. proc. pen. per violazione degli artt. 24, comma 2, 111 e 117 Cost. in relazione all’art. 6 CEDU (Sez. 3, n. 29592 del 20/05/2021) e che l’art. 629-bis, diversamente dall’art. 175, comma 2-bis cod. proc. pen., non distingue ai fini della decorrenza tra soggetto presente in territorio italiano e soggetto che all’atto della cognizione della sentenza di condanna sia detenuto all’estero e richiesto in consegna nell’ambito dello svolgimento di procedura estradizionale o dell’esecuzione di mandato di arresto europeo.
Ebbene, in tale prospettiva viene attribuito rilievo alla conoscenza del procedimento determinata dal contenuto del mandato di arresto europeo (Sez. 4, n. 36560 del 22/09/2021; Sez. 2, n. 51285 del 24/11/2023; Sez. 5, n. 26260 del 23/06/2023; Sez 6, n. 19454 del 05/03/2023), oltre ad essere sottolineato che la disciplina de qua non è lesiva dei diritti dell’interessato, dovendosi peraltro escludere, secondo tale impostazione, la possibilità di applicare analogicamente l’art. 175, comma 2-b/s cod. proc. pen. in ragione dell’evidente scelta del legislatore di non prevedere una disciplina specifica per il condannato detenuto all’estero (in tal senso, Sez. 4, n. 26560 del 22/09/2021).
Pur tuttavia, il Collegio rimettente dissentiva dall’interpretazione espressa da questo indirizzo, che stimava contrastante con l’art. 4-bis, par. 2 della dec. quadro richiamata, secondo cui, qualora il M.A.E. sia emesso per l’esecuzione di pena o misura di sicurezza privativa della libertà alle condizioni di cui al par. 1, lett. d) e l’interessato non sia stato precedentemente informato ufficialmente dell’esistenza di un procedimento penale a suo carico, questi può, una volta informato del contenuto del mandato di arresto europeo, sollecitare la trasmissione di copia della sentenza. La richiesta, tuttavia, non ritarda né la procedura di consegna né la decisione di eseguire il mandato di arresto, in quanto la trasmissione è a fini informativi e “non costituisce notificazione ufficiale della sentenza né fa decorrere i termini applicabili per la richiesta di un nuovo processo o per la presentazione di un ricorso in appello”.
Si sottolineava dunque che, in base al diritto dell’Unione, la mera conoscenza della sentenza di condanna alla base del mandato di arresto europeo non determina la decorrenza del termine per la richiesta di un nuovo processo di merito, atteso che l’attivazione del rimedio restitutorio è differita al momento della consegna, allorché la persona è in condizioni di esercitare effettivamente il diritto di difesa.
Oltre a ciò, l’ordinanza di rimessione rilevava altresì che, nonostante le modifiche apportate alla legge n. 69 del 2005 dapprima dal D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 31 e poi dal D.Lgs. 02 febbraio 2021, n. 10, al fine di attuare la dec. quadro 2009/299/GAI, non è stato tuttavia recepito il par. 2 dell’art. 4-bis nella parte in cui esclude che la trasmissione della sentenza faccia decorrere il termine per attivare il rimedio restitutorio contro una sentenza pronunciata in assenza e, da qui, l’antinomia tra il diritto dell’Unione e l’art. 629-bis comma 2, cod. proc. pen. che sembra far decorrere il termine dalla conoscenza del procedimento, anche nel caso di destinatario del mandato di arresto europeo arrestato all’estero.
Detto questo, la Sezione rimettente escludeva per di più la sussistenza dei presupposti per sottoporre la questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia ai sensi dell’art. 267 T.F.U.E., attesa la chiarezza del contenuto precettivo dell’art. 4-bis, par. 2, e, pur rilevando che le norme contenute in una decisione quadro sono prive di efficacia diretta, sottolinea la necessità di un’interpretazione conforme, richiamando la vincolatività delle decisioni quadro in base al combinato disposto degli artt. 11 e 117 Cost., tale da imporre la formulazione di una questione di legittimità costituzionale, per contrasto con la norma interposta, ove non risulti possibile un’interpretazione conforme nei limiti consentiti dai testi delle norme (Corte cost. sent. n. 117 e 178 del 2023, n. 227 del 2010, n. 348 e 349 del 2007).
Secondo la Sezione rimettente, però, il contrasto potrebbe essere risolto in via interpretativa, in base al rilievo che la disposizione dettata dall’art. 629-bis, comma 2, cod. proc. pen. non regola la decorrenza del termine nel caso in cui la persona sia stata giudicata in assenza e arrestata all’estero in base a mandato di arresto europeo, nel senso che il silenzio in questione potrebbe essere colmato da un’interpretazione di sistema, basata su casi che presentano un’analoga ratio, e in particolare mediante l’applicazione analogica dell’art. 175, comma 1-bis, secondo periodo, cod. proc. pen., considerando che viene in rilievo una garanzia aggiuntiva, al fine di assicurare alla persona detenuta in territorio esteso la possibilità di esercitare pienamente le sue difese, una volta giunta nel territorio italiano, e che, anche tenendo conto delle differenze tra rescissione del giudicato e restituzione in termini, quella disposizione potrebbe essere assunta quale espressione di un principio generale, coerente con le affermazioni della Corte EDU e ribadito dal diritto dell’Unione, tanto più che l’istituto della rescissione è stato introdotto in ottemperanza di obblighi sovranazionali in un quadro di continuità rispetto alla restituzione in termini.
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3. La soluzione adottata dalle Sezioni unite
Le Sezioni unite – dopo avere delimitato la questione sottoposta al suo vaglio giudiziale (nei seguenti termini: “Se, per la persona richiesta in consegna in attuazione di un mandato di arresto europeo esecutivo e detenuta in carcere, il termine di trenta giorni per proporre la rescissione del giudicato decorra dal momento dell’avvenuta conoscenza della sentenza, per effetto del contenuto del mandato di arresto, o, in conformità all’art. 4-bis, par. 2, della decisione quadro 2002/584/GAI, dalla consegna del condannato”), e dopo essere giunti alla conclusione secondo cui la successione di norme in materia di rescissione è regolata dall’art. 89, comma 1, D.Lgs. n. 150 del 2022, in forza del quale in caso di istanza riguardante un procedimento, nel quale l’assenza è stata dichiarata in base alle norme previgenti e che debba considerarsi pendente, nel senso precedentemente indicato, deve in ogni caso applicarsi la disciplina in materia di rescissione immediatamente anteriore alla riforma, cioè quella introdotta dalla legge n. 103 del 2017, significando ciò che la norma processuale, a cui fare riferimento nel caso di specie, è l’art. 629-bis cod. proc. pen. nella formulazione vigente prima delle recenti modifiche, tenendosi contemporaneamente conto della concomitante formulazione dell’art. 175 cod. proc. pen. – evidenziavano come, quanto alla questione devoluta, dovesse innanzitutto ricordare che la materia dell’assenza e dei relativi rimedi preventivi e restitutori costituisce il risultato di un percorso riformatore originato dai rilievi formulati dalla Corte di Strasburgo (Grande Camera, Sejdovic c. Italia del 1 marzo 2006; Sejdovic c. Italia del 10 novembre 2004; Corte EDU, Somogyi c. Italia del 18 aprile 2004), che aveva, fra l’altro, ritenuto inidonea l’originaria disciplina dell’istituto della restituzione in termini, a fronte degli oneri probatori gravanti sull’imputato e del breve termine a disposizione, tanto più considerando le difficoltà che una persona detenuta in un Paese straniero avrebbe incontrato per contattare rapidamente un avvocato esperto in diritto italiano e per fornirgli elementi di fatto precisi e istruzioni dettagliate.
Tali rilievi e l’esigenza, espressamente richiamata, di armonizzare il sistema alla dec. quadro 2002/584/GAI sul mandato di arresto europeo, determinarono a loro volta una profonda modifica dell’art. 175 cod. proc. pen. per effetto del D.L. 21 febbraio 2005, n. 17, convertito con modificazioni dalla legge 22 aprile 2005, finché la legge n. 67 del 2014 introdusse l’istituto dell’assenza, in luogo della contumacia, e il rimedio restitutorio della rescissione, istituti che hanno poi formato oggetto di analisi in plurime sentenze delle Sezioni unite (Sez. U, n. 15498 del 26/11/2020; Sez. U, n. 23948 del 28/11/2019; Sez. U, n. 28912 del 28/02/2019).
Premesso ciò, gli Ermellini notavano, a questo punto della disamina, che l’assenza, nell’attuale assetto normativo, presuppone ai sensi dell’art. 420-bis cod. proc. pen. che il soggetto abbia ricevuto la notificazione del provvedimento di vocatio in iudicium e abbia espressamente rinunciato a comparire ovvero che il giudice ritenga provato (comma 2) che l’imputato abbia acquisito effettiva conoscenza della pendenza del processo e che l’assenza sia dovuta a scelta consapevole e volontaria, alla luce di quanto desumibile dall’apprezzamento di taluni indici, aventi rilievo sintomatico, seppur non presuntivo, costituiti dalle modalità della notifica, dagli atti compiuti prima dell’udienza, dalla nomina di un difensore di fiducia e da ogni altra circostanza rilevante, essendo inoltre specificamente contemplato (comma 3) il caso della declaratoria di latitanza e della volontaria sottrazione alla conoscenza della pendenza del processo.
Orbene, da ciò se ne faceva discendere che, in assenza di tali condizioni, si impone un tentativo di notifica personale all’imputato, fallito il quale deve essere pronunciata, ai sensi dell’art. 420-quater cod. proc. pen., sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo, sentenza peraltro revocabile qualora l’imputato venga rintracciato e possa essergli debitamente notificato il relativo avviso per un’udienza predefinita, entro un determinato lasso di tempo, fermo restando che, nel contempo, operano i meccanismi preventivi di ripristino di facoltà da cui l’imputato sia decaduto, ove lo stesso compaia nel corso del giudizio, prevedendosi all’art. 604, comma 5-bis, cod. proc. pen. la declaratoria di nullità della sentenza di primo grado ove risulti che l’assenza è avvenuta al di fuori dei presupposti previsti dall’art. 420-bis, comma 1, 2 e 3, cod. proc. pen., fermo restando che la nullità non può essere dichiarata, qualora risulti che l’imputato era a conoscenza della pendenza del processo e nelle condizioni di comparire in giudizio prima della pronuncia della sentenza impugnata.
D’altro canto, sempre ad avviso dei giudici di piazza Cavour, la declaratoria di assenza può intervenire anche solo in un grado di giudizio, pur quando il precedente sia stato celebrato in presenza, riproponendosi ai fini della declaratoria i medesimi canoni di giudizio (art. 598-ter, cod. proc. pen.), pur dovendosi considerare che, quanto ai rimedi restitutori, al parzialmente novellato istituto della rescissione si affianca ora il ripristinato istituto della restituzione in termini.
Chiarito ciò, la Suprema Corte faceva altresì presente che la rescissione è applicabile nel caso di soggetto condannato, nei cui confronti si sia proceduto in assenza, ove questi provi che sia stato dichiarato assente in mancanza dei presupposti di cui all’art. 420-bis cit. e che non abbia potuto proporre impugnazione nei termini senza sua colpa, tenuto conto che la rescissione de qua può essere chiesta entro trenta giorni dalla conoscenza della sentenza e, in caso di accoglimento, il giudice dispone la trasmissione degli atti al giudice della fase o del grado in cui si è verificata la nullità.
A ben guardare, dunque, per la Corte, l’istituto non è volto sic et simpliciter ad azzerare l’intero processo, ma a far rilevare la nullità insita nella dichiarazione di assenza al di fuori dei presupposti, con ripristino dalla fase o dal grado in cui la nullità si è verificata, ove l’imputato non sia stato in grado di intervenire tempestivamente e di presentare nei termini impugnazione.
In base all’art. 175, comma 2.1., cod. proc. pen. è invece prevista la restituzione in termini per proporre impugnazione da parte dell’imputato giudicato in assenza, nei casi di cui all’art. 420-bis, commi 2 e 3, cod. proc. pen.: il rimedio presuppone la prova della mancata conoscenza effettiva della pendenza del processo e dell’omessa proposizione dell’impugnazione non dovuta a colpa.
Il termine è di trenta giorni dalla conoscenza del provvedimento e decorre, nel caso di estradizione dall’estero, dalla data della consegna.
In sintesi, la rescissione opera, come incisivamente sottolineato dalla Corte costituzionale (sent. n. 192 del 2023), nei casi di assenza mal dichiarata, mentre la restituzione in termini si correla ad una dichiarazione di assenza normativamente consentita, a fronte della quale l’imputato provi la mancata conoscenza in ragione di situazioni specificamente deducibili.
In altri termini, deve ritenersi che l’istituto della rescissione sia stato introdotto per assicurare un rimedio restitutorio più efficace della mera restituzione in termini, alla luce di un’esigenza comune, che finisce per renderli complementari, anche se la restituzione in termini non è annoverabile tra i mezzi di impugnazione e non è dunque ammissibile la conversione di un rimedio nell’altro.
Ebbene, per la Corte di legittimità, tale complementarietà sembra trovare riscontro, alla luce della più recente riforma, anche nel comune riferimento, ai fini dell’attivazione del rimedio e della decorrenza del relativo termine, alla conoscenza della sentenza.
Ciò posto, con riguardo al tema che forma specificamente oggetto di analisi nel caso di specie, i giudici di legittimità ordinaria mettevano in risalto il fatto di come dovesse darsi conto di un orientamento largamente maggioritario, formatosi in relazione al previgente testo dell’art. 629-bis cod. proc. pen., in forza del quale la decorrenza del termine per la proposizione dell’istanza di rescissione decorre dalla conoscenza del procedimento, senza che nel caso di estradizione dall’estero assuma rilievo, diversamente da quanto previsto in materia di restituzione in termini, la data della consegna (Sez. 2, n. 51285 del 24/11/2023; Sez. 4 n. 48541 del 18/10/2023; Sez. 4, n. 31252 del 23/06/2023; Sez. 5, n. 26260 del 05/05/2023; Sez. 6, n. 19454 del 15/03/2023; Sez. 4, n. 4197 del 10/01/2023; Sez. 4, n. 36560 del 22/09/2021; Sez. 3, n. 29592 del 20/05/2021; Sez. 1, n. 32267 del 30/10/2020), essendosi, in particolare, inteso dare rilievo alla circostanza che, stando alla formulazione delle rispettive norme, la disciplina della restituzione in termini fa riferimento alla conoscenza del provvedimento, mentre quella della rescissione fa leva sulla conoscenza del procedimento, essendosi precisato che, ai fini della decorrenza del termine per la proposizione dell’istanza di rescissione, può prescindersi da una approfondita conoscenza della sentenza, essendosi aggiunto (Sez. 3, n. 29592 del 20/0562021) che, ove fosse necessaria una siffatta approfondita conoscenza, verrebbe meno la possibilità di individuare con certezza il dato temporale di riferimento, così come si è altresì osservato (così Sez. 1, n. 32267 del 30/10/2020) che “resta comunque ferma la possibilità per il condannato che ritenga, per la complessità della vicenda processuale, di non poter esercitare pienamente il diritto all’impugnazione straordinaria in un termine rivelatosi in concreto insufficiente, di chiedere una restituzione nello stesso, secondo quanto disposto dall’art. 175 cod. proc. pen.”.
Oltre a ciò, si è inoltre segnalato che i due istituti, pur apparentemente affini, sono ispirati da finalità diverse e che dunque la disciplina dell’uno non può rifluire su quella dell’altro, dovendosi dare rilievo, quanto alla mancata previsione per l’istanza di rescissione della decorrenza del termine dal momento della consegna dell’estradato, al principio “ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit” (Sez. 4, n. 36560 del 22/09/2021).
Orbene, per la Corte, a tale stregua non potrebbe ravvisarsi nella disciplina della rescissione una lacuna che possa essere colmata attraverso il riferimento a quella dettata per la restituzione in termini,
né potrebbe prospettarsi un profilo di illegittimità costituzionale in materia nella quale non sono ravvisabili scelte costituzionalmente obbligate (in tal senso, Sez. 4, n. 36560 del 22/09/2021; Sez. 3, n. 29592 del 20/05/2021), fermo restando che, in tale prospettiva, si è comunque ritenuto che la conoscenza del procedimento sia assicurata, ai fini della decorrenza del termine per l’istanza di rescissione, anche dalla acquisita conoscenza all’estero di un mandato di arresto europeo esecutivo, posto alla base di uno stato di restrizione funzionale alla successiva consegna (Sez. 4, n. 31252 del 23/06/2023; Sez. 4, n. 36560 del 22/09/2021; Sez. 3, n. 29592 del 20/05/2021; Sez. 1, n. 32267 del 30/10/2020).
Viceversa, l’opinione difforme trova riscontro nella sola ordinanza di rimessione della Sesta Sezione, nella quale è stata prospettata l’applicazione analogica della disposizione dettata per la restituzione in termini dall’art. 175, comma 2-bis cod. proc. pen. e, più in generale, si è ritenuto che tale disposizione costituisca espressione di un principio generale, il quale trova una conferma specifica nella dec. quadro 2002/584/GAI, come modificata dalla dec. quadro 2009/299/GAI, che ha introdotto l’art. 4-bis. In tale disposizione si definisce il regime dei casi di rifiuto facoltativo alla consegna in relazione a processi celebrati in absentia e al par. 2 si chiarisce che, nel caso in cui l’interessato chieda la trasmissione della sentenza sulla cui base è stato emesso il mandato di arresto esecutivo, tale trasmissione ha valore solo informativo e “non costituisce notificazione ufficiale della sentenza né fa decorrere i termini applicabili per la richiesta di un nuovo processo o per la presentazione di un ricorso in appello”.
Posto che in parte qua la disposizione contenuta nella decisione quadro non è stata direttamente trasposta nella legge attuativa in materia, si è rilevato che, ove il principio non risulti direttamente applicabile in via interpretativa, dovrebbe essere sollevata questione di legittimità costituzionale, volta all’adeguamento del sistema italiano in conformità al cogente diritto europeo.
Orbene, venendo dunque ad esaminare nel merito il tema devoluto, gli Ermellini in primo luogo prendevano atto della mancata espressa riproduzione, nella disciplina riferita all’istituto della rescissione, di una disposizione corrispondente a quella di cui all’art. 175, comma 2-bis cod. proc. pen., che in materia di restituzione in termini dà rilievo, ai fini della decorrenza del termine per l’attivazione del rimedio, alla consegna del soggetto nel caso di estradizione dall’estero, pur non dubitando che il riferimento all’estradizione di per sé includa anche l’ipotesi della consegna sulla base di mandato di arresto europeo esecutivo, giacché le relative disposizioni hanno disciplinato la medesima materia nell’ambito dell’Unione europea, restando sullo sfondo accordi e intese bilaterali o multilaterali, vigenti al momento dell’adozione della decisione quadro, quando essi contribuiscono ad una migliore e più efficace realizzazione delle finalità della decisione quadro e semplificano o agevolano ulteriormente la consegna delle persone ricercate (art. 1, comma 4-quater, legge n. 69 del 2005, come modificata dal D.Lgs. n. 10 del 2021), così come non poteva ignorarsi che la formulazione dell’art. 175, comma 2-bis fu introdotta dal D.L. n. 17 del 2005, che aveva il dichiarato scopo di assicurare l’armonizzazione con la disciplina sul mandato di arresto europeo, oltre a doversi convenire
che la disposizione contenuta nell’art. 4-bis, par. 2, della decisione quadro non è stata espressamente riprodotta nella disciplina attuativa, dettata dalla legge n. 69 del 2005 e dalle successive modifiche ad essa apportate.
Per il Supremo Consesso, a fronte di quanto appena esposto, si trattava, quindi, di verificare, alla luce del sistema interno e di quello europeo, se fosse o meno possibile giungere sul piano interpretativo a ritenere che in realtà fosse direttamente applicabile anche all’istituto della rescissione un analogo criterio ai fini della decorrenza del termine.
Ebbene, sulla base della valutazione diacronica degli istituti, che, nel caso di specie, come rilevato, conduceva la Corte a ritenere applicabile la disciplina anteriore alle modifiche introdotte dal D.Lgs. 150 del 2022, si prendeva atto di come non potesse direttamente assumersi quale diretto parametro di riferimento la disposizione dettata dall’art. 175, comma 2-bis cod. proc. pen., applicabile, prima delle ulteriori modifiche introdotte dal citato D.Lgs. n. 150, solo in relazione alla restituzione in termini per presentare opposizione a decreto penale e non in relazione all’ipotesi di condanna in absentia.
Tuttavia, si è sottolineato come sulla base dell’argomento storico possa dirsi che la rescissione sia stata introdotta per assicurare un rimedio restitutorio più efficace, destinato parimenti ad operare sul piano dell’effettività del diritto di difesa e degli strumenti a ciò preposti in caso di processo in absentia.
D’altro canto, la previsione della peculiare decorrenza dalla data della consegna era stata ispirata dai penetranti rilievi formulati dalla Corte di Strasburgo, essendo invero legati ad una stessa matrice la previsione di una facoltà svincolata da peculiari oneri probatori, l’ampliamento del termine e la garanzia della pienezza delle facoltà riconosciute dopo la consegna estradizionale.
In realtà, l’ampliamento del termine e la sua decorrenza costituivano due facce di una stessa medaglia, trattandosi su entrambi i versanti di garantire l’effettività del rimedio, a fronte di una conoscenza consapevole e direttamente operativa.
La sostituzione di un rimedio con un altro, operata dalla legge n. 67 del 2014, dunque, per le Sezioni unite, non valeva ad escludere quella determinata matrice dell’originaria previsione, peraltro coerente anche con la ratio che è alla base dell’istituto della rescissione, potendo, anzi, rimarcarsi come fosse più coerente con la disciplina della rescissione l’attribuzione di rilevanza al momento della consegna, posto che, al di là del riferimento al provvedimento o al procedimento, si trattava comunque di assicurare una difesa pienamente operativa, connotata semmai, nel caso della rescissione, da oneri di allegazione, comunque più incisivi rispetto alla mera allegazione della mancata conoscenza, di per sé sufficiente, ove non debitamente contrastata, a legittimare la restituzione in termini in base alla formulazione della norma introdotta per il processo contumaciale dal D.L. n. 17 del 2005, convertito con modificazioni dalla legge n. 60 del 2005.
Quanto poi al diverso parametro costituito, rispettivamente, dal provvedimento o dal procedimento, su cui, invero, maggiormente si è soffermata la giurisprudenza che ha analizzato il tema, la Suprema Corte reputava come potesse agevolmente rilevarsi che, rispetto al profilo della pienezza operativa ed effettiva della conoscenza, quel diverso oggetto non può assumere rilievo decisivo, pur non potendo lo stesso essere nemmeno sopravvalutato, dovendosi considerare che la conoscenza del procedimento non può implicare una cognizione del tutto generica della celebrazione di un processo, ma postula l’acquisizione di un’informazione specifica in ordine ad un processo definito con sentenza irrevocabile su un tema di accusa.
Nel sistema processuale costituisce del resto ius receptum che il termine “procedimento” debba assumere un significato pregnante, ove non riferibile alla mera fase delle indagini preliminari, sottendendo un contenuto più complesso che implica il riferimento alla formulazione di un’accusa, cristallizzata nel provvedimento di vocatio in iudicium e confermata da una decisione (in tal senso Sez. 6, n. 19454 del 15/03/2023, nonché Sez. 3, n. 37132 del 22/05/2019, alla luce dell’analisi formulata da Sez. U, n. 23948 del 28/11/2019), né ciò può comportare problemi nell’individuazione di una data certa di decorrenza, esigenza correttamente avvertita dalla giurisprudenza che ha posto in evidenza la difficoltà di correlare quella decorrenza ad una conoscenza approfondita della sentenza di condanna, che costituirebbe parametro labile e non suscettibile di assicurare certezze (Sez. 3, n. 29592 del 20/05/2021), essendo a tal riguardo sufficiente rilevare che, ai fini dell’attivazione del rimedio restitutorio, non viene in rilievo una conoscenza approfondita della sentenza di condanna e che, semmai, proprio per tale ragione il rimedio deve essere assistito almeno dalla pienezza operativa delle facoltà connesse alla conoscenza dei dati estrinseci essenziali sopra posti in luce (accusa confermata da una decisione), profilo che consente di correlare il dispiegarsi delle facoltà difensive al momento della consegna del soggetto originariamente detenuto all’estero.
Se tutto ciò, quindi, attesta la mancanza di ragioni per escludere la rilevanza del momento della consegna ai fini dell’attivazione della rescissione, anche nell’ottica della valutazione diacronica degli istituti, ciò tanto più deve essere riconosciuto alla luce di una valutazione sincronica degli stessi, consentita dalla disciplina introdotta dal D.Lgs. 150 del 2022, che ha fatto rivivere la restituzione in termini, affiancandola alla rescissione, tanto più se si considera che la nitida rappresentazione di due istituti, che, originariamente ispirati dalla finalità di assicurare un rimedio compensativo, sono stati poi parallelamente disciplinati, consente di rilevarne oggi la piena complementarietà, pur non potendosi inquadrare la restituzione in termini nell’ambito dei mezzi di impugnazione.
D’altro canto, tali istituti sono accomunati ora dal riferimento al momento della conoscenza della sentenza, coerente anche con la fisionomia assunta, in base alla riforma, dall’istituto della rescissione, che è compatibile con un effetto ripristinatorio parziale, con regressione alla fase o al grado.
A fronte di ciò, per la Corte, la circostanza che il riferimento alla data della consegna sia stato riprodotto solo nel riformulato art. 175, comma 2-bis, e non anche nell’art. 629-bis del codice di rito, non può dirsi il frutto di una scelta consapevole ad excludendum, non essendo ravvisabile ai fini in esame una diversa ratio, consentendo ciò, in realtà, di rilevare come, contrariamente a quanto più volte affermato, una siffatta diversa ratio non sussistesse ab origine, in quanto non si trattava di dare rilievo tanto all’oggetto della conoscenza, quanto invece all’effettiva operatività della stessa, cioè alla pienezza del dispiegamento delle capacità difensive, connesse alla conoscenza e costituenti una componente essenziale di essa.
In tale prospettiva veniva pertanto rimarcato come la stessa giurisprudenza di legittimità abbia interpretato il riferimento alla data della consegna come espressione di una garanzia aggiuntiva, correlata alle facoltà difensive del soggetto (in tal senso Sez. 5, n. 8464 del 24/01/2020, e Sez. 4, n. 4904 del 27/11/2014, richiamate anche nell’ordinanza di rimessione), facoltà che dunque non possono strettamente correlarsi all’oggetto della conoscenza, bensì al significato che la stessa può assumere a fini difensivi, né, in senso contrario, potrebbe valorizzarsi la possibilità di avvalersi aggiuntivamente, all’occorrenza, della restituzione in termini di cui all’art. 175, comma 1, cod. proc. pen., secondo quanto prospettato da una parte della giurisprudenza (Sez. 1, n. 32267 del 30/10/2020) posto che lo stato di detenzione all’estero costituisce di per sé un ostacolo, di cui è stata riconosciuta in via generale la rilevanza (si richiama la sentenza della Grande Camera, Sejdovic c. Italia del 1 marzo 2006) e che non può dunque essere considerato alla stregua di qualunque eventuale e imprevedibile fattore impeditivo.
Per la Cassazione, può, del resto, rimarcarsi come la stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 192 del 2023, all’esito dell’ampia disamina che l’ha condotta ad individuare un aggiuntivo caso di assenza legittimamente riconoscibile, abbia dato conto della complementarietà degli istituti e dunque della possibilità di ricorso, in caso di processo in absentìa, anche al rimedio compensativo della restituzione in termini, segnalando (punto 15.2. del “Considerato in diritto”) che nel caso di estradizione dall’estero il termine decorre “dalla data della consegna (la quale presuppone la conoscenza personale della sentenza in esecuzione)”, rilievo che vale a sottolineare come la conoscenza e la consegna debbano essere valutate congiuntamente, quale effettivo presupposto operativo.
Ebbene, ad avviso delle Sezioni unite, se tali rilievi paiono legittimati dall’analisi della disciplina dei due istituti, gli stessi possono dirsi imposti, ove si allarghi lo sguardo al diritto europeo di riferimento, essendo noto al riguardo che la disciplina del mandato di arresto europeo è stata introdotta nel presupposto della libera circolazione delle decisioni giudiziarie, fondato sull’idea del loro riconoscimento reciproco e su un elevato livello di fiducia tra gli Stati membri, all’interno di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia dell’Unione, con riguardo al rispetto dei diritti fondamentali riconosciuti dal diritto dell’Unione (cfr. Corte giustizia, 18/04/2023, E.D.L.), essendo stata la disciplina de qua ad una decisione quadro, fonte contemplata dall’art. 32 T.U.E. e vincolante quanto ai risultati, ma senza che alle singole norme possa riconoscersi efficacia diretta.
In particolare, con l’art. 4-bis, introdotto dalla dec. quadro 2009/299/GAI, è stato disciplinato un motivo di rifiuto facoltativo della consegna, in relazione alla celebrazione di un processo in absentia mentre, accanto alle ipotesi in cui il soggetto sia stato citato personalmente o abbia conferito mandato difensivo o ancora abbia ricevuto la notifica dopo la decisione, avendo rinunciato ad opporsi o a richiedere un nuovo processo, è stato previsto al par. 1, lett. d), il caso del soggetto che non abbia ricevuto personalmente la notifica della decisione, ma che: ” i) riceverà personalmente e senza indugio la notifica dopo la consegna e sarà espressamente informato del diritto a un nuovo processo o ad un ricorso in appello cui l’interessato ha il diritto di partecipare e che consente di riesaminare il merito della causa, comprese le nuove prove, e può condurre alla riforma della decisione originaria; e ii) sarà informato del termine entro cui deve richiedere un nuovo processo o presentare ricorso in appello, come stabilito nel mandato di arresto europeo pertinente”.
Proprio in relazione a tale ipotesi è tra l’altro previsto dal par. 2 dell’art. 4-bis che l’interessato ha facoltà di chiedere che gli venga trasmessa la sentenza, fermo restando che tale trasmissione ha solo valore informativo e non fa decorrere i termini per la richiesta di un nuovo processo o per la presentazione di un ricorso in appello, ma tale norma non è stata specificamente trasposta nell’ordinamento italiano dalla legge di attuazione della decisione quadro.
Per gli Ermellini, oltre a quanto sin qui enunciato, deve inoltre ribadirsi che le norme della decisione quadro non hanno effetto diretto nell’ordinamento italiano, anche se la disciplina complessiva è vincolante quanto ai fini perseguiti.
In particolare, proprio in ragione di tale peculiare cogenza, s’impone un’interpretazione del diritto interno conforme alle decisioni quadro, quand’anche non trasposte (Corte giustizia, 16/06/2005, Pupino): tale operazione ermeneutica implica che il giudice prenda in considerazione il diritto nazionale nel suo complesso, anche nelle interazioni tra le sue disposizioni, per valutare come l’applicazione del diritto interno possa condurre ad un risultato conforme a quello perseguito dalla decisione quadro.
Ebbene, l’interpretazione conforme, che deve essere praticata anche in materia di mandato di arresto europeo alla luce della dec. quadro 2002/584/GAI (Corte giustizia U.E., 29/06/2017, Poplawski), include l’obbligo di innovare, se del caso, una giurisprudenza consolidata, se la stessa si basa su un’interpretazione del diritto nazionale incompatibile con il diritto dell’Unione (Corte giustizia, 21/12/2023, R.Q.; Corte giustizia, Grande Sezione, 24/06/2019, Poplawski; Corte giustizia, Grande Sezione, 19/04/2016, Dansk Industri), con il limite di non poter giungere per tale via a risultati in malam partem in ragione delle disposizioni di una decisione quadro, indipendentemente da una legge adottata per la sua attuazione, e di non poter addivenire ad interpretazioni contra legem.
D’altro canto, a fronte di una disposizione del diritto europeo priva di effetti diretti -self executing- nell’ordinamento interno, fermo l’obbligo di interpretazione conforme, ove possibile, non può tuttavia procedersi alla disapplicazione della disposizione contrastante e alla sua sostituzione con la norma europea: tuttavia, in caso di ineliminabile contrasto, per la Corte, dovrebbe pur sempre darsi rilievo alla vincolatività del diritto europeo, anche nel caso di decisione quadro, che, come riconosciuto dalla Corte costituzionale, assumerebbe rilievo agli effetti degli artt. 11 e 117 Cost., al fine di far riconoscere l’obbligo di adeguamento gravante sugli Stati membri e di eliminare la norma interna contrastante, fermo restando che tale assetto, nel rapporto tra fonti multilivello, è stato nel corso del tempo delineato e affinato dalla Corte costituzionale: si considerino dapprima Corte Cost., sent. n. 170 del 1984, e di seguito Corte cost., sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, riferite all’obbligo di conformazione all’ordinamento comunitario e agli obblighi internazionali, con specifico riferimento ai rapporti con le disposizioni della CEDU, nonché le successive sentenze, con le quali è stato esaminato il tema dei rapporti con le varie fonti del diritto europeo, compresa la decisione quadro sul mandato di arresto, in particolare sent. n. 227 del 2010, fino alle più recenti sentenze n. 177 e n. 178 del 2023.
Ebbene, in tale prospettiva, è stato sottolineato come il giudice interno possa avvalersi, all’occorrenza, dello strumento del rinvio pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267 T.F.U.E., che può essere, tuttavia, attivato dalla stessa Corte costituzionale, ove sia ravvisata una pregiudiziale questione interpretativa del diritto europeo, influente sulla decisione (fra l’altro Corte cost., sent. n. 117 e n. 112 del 2019).
Del resto, l’ordinanza di rimessione ha prospettato, da un lato, la possibilità di un’interpretazione conforme e, dall’altro, l’eventuale necessità di sollevare questione di illegittimità costituzionale, al fine di conformare l’ordinamento interno sul punto indicato, ma è stato però obiettato che, nel caso di specie, il parametro assunto quale base del ragionamento, cioè l’art. 4-bis della decisione quadro, non sarebbe rilevante, in quanto inerente alla materia del mandato di arresto europeo e non alla disciplina dei rimedi restitutori, che è rimessa alla discrezionalità del legislatore nel quadro e nel rispetto dei principi desumibili dalla Costituzione, oltre che dal diritto europeo.
D’altronde, deve aggiungersi, nella medesima prospettiva, che in una circostanza (Sez. 4, n. 31252 del 23/06/2023) è stata ritenuta inconferente ai fini in esame la disciplina dettata dalla decisione quadro, come rifluita nelle disposizioni dettate dagli artt. 6,18-ter e 30 della legge n. 69 del 2005, da ultimo modificata dal D.Lgs. n. 10 del 2021, che definiscono il contenuto obbligatorio del mandato di arresto europeo, sia passivo che attivo, dovendosi a questo riguardo precisato che l’art. 6 riproduce nelle sue diverse scansioni il contenuto dell’art. 4-bis par. 1, prevedendo inoltre che in caso di insufficienza delle indicazioni fornite possono essere chieste informazioni integrative.
Inoltre, se l’art. 18-ter disciplina la materia delle decisioni in absentia, richiamando, ai fini della previsione di un motivo di rifiuto di consegna, le indicazioni di cui all’art. 6 comma 1-bis, e contemplando inoltre la facoltà del consegnando di richiedere la trasmissione della copia della sentenza che non gli sia stata notificata in precedenza, dal canto suo, l’art. 30, dettato per il mandato attivo, stabilisce che quest’ultimo deve contenere le informazioni richieste nel modello di mandato annesso alla decisione quadro, come modificata dall’art. 2 par. 3 della dec. quadro 2009/299/GAI, che riproduce i contenuti già indicati, anche riferiti al caso del processo in absentia, essendo per l’appunto
proprio questa parte quella che potrebbe, se del caso, assumere rilevanza la mancata trasposizione dell’art. 4-bis, par. 2 della dec. quadro 2002/584/GAI, come modificata dalla dec. quadro 2009/299/GAI.
Va tuttavia rimarcato che i riferimenti al contenuto del mandato di arresto europeo, se non valgono di per sé a disciplinare un rimedio restitutorio, implicano tuttavia che anche lo Stato italiano assume l’impegno di garantire un regime incentrato sulla possibilità di fruire di un siffatto rimedio, all’esito della consegna, ciò anche quando assuma il ruolo di Stato di emissione.
Ed allora è agevole per la Corte rilevare che l’intera disciplina sul mandato di arresto europeo, pur non finalizzata ad armonizzare i rimedi restitutori, ne postula tuttavia l’applicazione all’esito della avvenuta consegna, in tal senso assumendo rilievo interpretativo la correlazione tra il par. 1, lett. d), e il par. 2 dell’art. 4-bis, e dunque presuppone la necessità del coordinamento tra le diverse discipline, certamente influendo sull’interpretazione della loro operatività, come definite dai singoli Stati membri.
Orbene, per i giudici di piazza Cavour, in tale opera di coordinamento, si tratta di stabilire allora se possano rinvenirsi ulteriori indici idonei a consentire una sicura interpretazione del diritto vigente, coerente con le indicazioni del diritto europeo, i quali paiono invero rinvenibili nella Direttiva 2016/343/UE sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, cui anche il Procuratore generale riconosce la diretta interferenza con la materia in esame, pur rilevando la mancanza di indicazioni circa la decorrenza del termine per avvalersi di un rimedio restitutorio, dovendosi al riguardo richiamare gli artt. 8 e 9 di tale Direttiva, che delineano nitidamente il quadro delle garanzie connesse alla celebrazione di un processo in absentia, la cui legittimità non può dirsi a priori esclusa, nella prospettiva del doveroso bilanciamento tra l’esigenza di assicurare il diritto di difesa e quella di consentire l’accertamento di fatti penalmente rilevanti.
Ebbene, prendevano atto gli Ermellini che l’art. 8, par. 4, stabilisce che “qualora gli Stati prevedano la possibilità di svolgimento di processi in assenza dell’indagato o imputato, ma non sia possibile soddisfare le condizioni di cui al par. 2 del presente articolo, perché l’imputato non può essere rintracciato nonostante i ragionevoli sforzi profusi, gli Stati membri possono consentire comunque l’adozione di una decisione e l’esecuzione della stessa. In tal caso gli Stati membri garantiscono che gli imputati e indagati, una volta informati della decisione, in particolare quando sono arrestati, siano informati anche della possibilità di impugnare la decisione e del diritto a un nuovo processo o ad un altro mezzo di ricorso giurisdizionale, in conformità dell’art. 9”, che, a sua volta stabilisce che “gli Stati membri assicurano che laddove gli imputati o indagati non siano stati presenti al processo e non siano soddisfatte le condizioni di cui all’art. 8, paragrafo 2, questi abbiano diritto ad un nuovo processo che consenta di riesaminare il merito della causa, incluso l’esame di nuove prove, e possa condurre alla riforma della decisione giudiziaria. In tale contesto gli Stati membri assicurano che tali indagati o imputati abbiano il diritto di presenziare, di partecipare in modo efficace in conformità delle procedure previste dal diritto nazionale e di esercitare i diritti della difesa”.
In definitiva, per la Cassazione, tali disposizioni implicano che, qualora nonostante le ricerche e i tentativi seriamente effettuati non risulti possibile assicurare la sicura conoscenza da parte dell’imputato della celebrazione del processo, lo stesso può svolgersi, ma deve essere assicurato che gli imputati siano informati della decisione, in particolare quando siano arrestati, e della possibilità di impugnare la decisione o di ottenere un nuovo processo che consenta una piena rivalutazione del merito anche sulla base di nuove prove.
Ebbene, a fronte di ciò, Corte Giustizia, 17/12/2020, ha affermato che la Direttiva non può essere invocata per impedire la consegna in forza di un mandato di arresto europeo, posto che i motivi di rifiuto sono esaustivamente delineati nella relativa decisione quadro.
Nondimeno, secondo la Corte di Giustizia, “occorre tuttavia rilevare che l’impossibilità di invocare la direttiva 2016/343 per impedire l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo, al di fuori dei motivi di non esecuzione previsti dalla decisione quadro 2002/584, non incide affatto sull’obbligo assoluto dello Stato membro emittente di rispettare, nell’ambito del suo ordinamento giuridico, l’insieme delle disposizioni del diritto dell’Unione, compresa la direttiva 2016/343”.
D’altro canto, Corte Giustizia, 19/05/2022, ha ancor più incisivamente affermato (par. 27 e 28) che “l’articolo 9 della direttiva 2016/343 dispone che gli Stati membri assicurano che, laddove un tale processo si svolga, pur non essendo soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 8, paragrafo 2, di tale direttiva, l’interessato abbia diritto “a un nuovo processo o a un altro mezzo di ricorso giurisdizionale, che consenta di riesaminare il merito della causa… e possa condurre alla riforma della decisione originaria”.
In particolare, come precisato dall’articolo 8, paragrafo 4, di detta direttiva, è necessario, in tal caso, che l’interessato venga informato, al momento in cui gli è notificata la decisione contumaciale, tanto in merito al diritto a un nuovo processo quanto alla possibilità di contestare tale decisione. Poiché l’articolo 8, paragrafo 4, e l’articolo 9 della direttiva 2016/343 enunciano in modo incondizionato e sufficientemente preciso l’ambito di applicazione e la portata del diritto a un nuovo processo, tali disposizioni devono essere considerate come aventi efficacia diretta.
Pertanto, chiunque abbia diritto a un nuovo processo può opporre tale diritto allo Stato membro interessato, dinanzi ai giudici nazionali, sia quando tale Stato membro abbia omesso di trasporre tale direttiva nell’ordinamento giuridico nazionale entro i termini impartitigli, sia quando l’abbia recepita in modo non corretto (v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, C-585/16, EU:C:2018:584, punti 98 e 99)”.
Orbene, ad avviso dei giudici di legittimità ordinaria, il quadro che, su tali basi, viene a ricomporsi postula dunque che il diritto al rimedio restitutorio non influenzi direttamente la consegna in esecuzione di un mandato di arresto europeo, ma ciò in ragione del fatto che il diritto al rimedio restitutorio è comunque ineludibile ed è garantito da disposizioni che hanno efficacia diretta e prevalente nell’ordinamento italiano, in forza delle quali il rimedio è assicurato previa idonea notifica della decisione e adeguata informazione in ordine al rimedio disponibile, fornita all’interessato tratto in arresto, evidentemente sulla base di atti esecutivi interni, successivi alla consegna.
Ma, a tale stregua, per il Supremo Consesso, può trarsi sicura conferma del fatto che, da un lato, in presenza dei presupposti delineati, il diritto al rimedio restitutorio deve essere assicurato e che, dall’altro, alla base della fruizione di esso deve esservi una piena conoscenza, la quale nel caso di esecuzione di un mandato di arresto europeo può essere apprezzata solo all’esito della consegna, senza che possa al riguardo assumere rilievo dirimente, proprio perché strumentale solo alla consegna, la conoscenza acquisita dall’interessato sulla base dello stesso mandato di arresto, conoscenza che, non essendo ancora connotata da pienezza operativa, non può dirsi idonea ad assicurare l’esercizio dell’ineludibile diritto al rimedio riparatorio.
Ciò posto, le conclusioni sinora illustrate inducevano la Corte di legittimità a richiamare i seguenti parametri argomentativi: 1) l’argomento storico che consente di ricostruire l’esigenza alla base dell’originaria formulazione dell’art. 175 cod. proc. pen.; 2) l’analisi dei rimedi restitutori che, pur configurati diacronicamente in termini diversi, si inseriscono nel medesimo filone di garanzie e sottendono dunque la medesima finalità, peraltro di seguito ampiamente suffragata dalla loro sostanziale complementarietà, desumibile dalla sincronica coesistenza, come delineata dalle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 150 del 2022; 3) l’inquadramento degli istituti alla luce del diritto europeo; 4) la centralità del diritto di difesa e dell’ineludibile diritto al rimedio restitutorio in favore del soggetto condannato in absentia che non abbia avuto una sicura informazione in merito alla celebrazione del processo, tenuto conto che tali argomenti consentono, in primo luogo, di giungere ad una piana armonizzazione delle fonti del diritto europeo, nel senso che le disposizioni sulla consegna, se non ineriscono direttamente alla disciplina dei rimedi restitutori, devono nondimeno essere interpretate in modo che il diritto al rimedio restitutorio non ne risulti pregiudicato; e, in secondo luogo, di individuare la necessità di un raccordo tra le fonti europee nonché tra esse e la disciplina interna dei rimedi restitutori e, in tale prospettiva, l’art. 4-bis della dec. quadro 2002/584/GAI, valorizzato dall’ordinanza di rimessione, costituisce nel suo complesso un parametro di riferimento al fine di stabilire quel raccordo, parametro che assume rilievo sul piano interpretativo – a conferma delle indicazioni già rivenienti dalle disposizioni concernenti il contenuto necessario del mandato di arresto europeo, corrispondentemente trasposte dagli artt. 6,18-ter e 30 legge n. 69 del 2005 -, senza la necessità di presupporne una diretta efficacia o di fondare su di esso una questione di legittimità costituzionale, in quanto del tutto coerente con la fonte più specificamente valorizzabile in questa sede, costituita dalla Direttiva 2016/343/UE; le relative norme, lette alla luce della citata sentenza della Corte di Giustizia I.R., hanno ai fini in esame efficacia diretta, self executing, e delineano inequivocamente il diritto ad uno strumento riparatorio, che, in piena sintonia con il citato art. 4-bis, deve poter essere esercitato all’esito della consegna, alla quale soltanto può correlarsi la conoscenza necessaria, perché di quel diritto possa riconoscersi la piena effettività.
Ebbene, per la Corte di legittimità, ciò non postula un’applicazione analogica dell’art. 175, comma 2-bis cod. proc. pen., ma un inquadramento sistematico dell’intera materia e della disciplina interna, dettata dall’art. 629-bis cod. proc. pen., letta alla luce delle disposizioni cogenti del diritto europeo, che conduce a ritenere, quale criterio di essenza del diritto al rimedio restitutorio, che lo stesso, in caso di esecuzione di un mandato di arresto europeo, debba poter essere fruito all’esito della consegna. Soltanto all’esito della stessa possono decorrere i termini correlati alla conoscenza, sia che essa abbia ad oggetto il procedimento sia che debba essere riferita al provvedimento dato che, solo dopo la consegna la conoscenza può assumere concreto significato operativo in funzione del pieno esercizio del diritto di difesa, senza che possa al riguardo influire l’ulteriore Direttiva 2013/48/UE, che assicura fra l’altro la possibilità di nomina di un difensore, ma non vale in alcun modo a dirimere il tema della rilevanza della consegna ai fini dell’esercizio del rimedio restitutorio.
Del resto, veniva oltre tutto rimarcato come il legislatore italiano, consapevole della cogenza delle disposizioni dettate dagli artt. 8 e 9 della Direttiva 2016/343/UE, abbia di recente modificato l’art. 656 cod. proc. pen. inserendo con l’art. 2, comma 1, lett. cc), D.Lgs. 19 marzo 2024, n. 31, la previsione dell’avviso al condannato che “se il processo si È svolto in sua assenza, nel termine di trenta giorni dalla conoscenza della sentenza può’ chiedere, in presenza dei relativi presupposti, la restituzione nel termine per proporre impugnazione o la rescissione del giudicato”, e ciò si pone pienamente in linea con la specifica qualificazione della conoscenza, che è alla base dell’esercizio del relativo diritto, rilevandosi al contempo come l’operazione interpretativa fin qui condotta si collochi all’interno del sistema, essendo essa volta ad esplicitare il contenuto e la portata di una disposizione, nei limiti di tolleranza ed elasticità dell’enunciato, cioè del significato testuale della disposizione, in coerenza con il procedimento ermeneutico delineato dall’art. 12 delle preleggi e con il principio desumibile dall’art. 101 Cost., secondo cui il giudice è soggetto alla legge, deducendosi al contempo come di tale canone si fosse fatta carico altresì la giurisprudenza di legittimità in materia penale, essendosi ribadita la primaria rilevanza dell’art. 12 preleggi e del percorso interpretativo disegnato da tale norma (Sez. U, n. 32938 del 19/01/2023; Sez. U, n. 38810 del 13/06/2022; Sez. U, n. 1626, del 24/09/2020).
Orbene, nel caso di specie, l’esito interpretativo risulta, invero, per il Supremo Consesso, coerente con il dato letterale, che non contiene di per sé inequivoci indici preclusivi, e con un inquadramento sistematico e teleologico della disposizione in materia di rescissione, in quanto è volto ad attribuirle non un significato che non le è proprio, bensì il pregnante e più esteso significato che le pertiene in funzione del riconoscimento di un diritto difensivo, che deve essere ineludibilmente tutelato alla luce di tutte le indicazioni rivenienti dalla disciplina interna e dal diritto europeo in materia di rimedi restitutori, che assume rilievo direttamente vincolante, potendosi per contro ritenere, coerentemente con l’esaminato argomento storico, che il riferimento contenuto nell’art. 175, comma 2-bis cod. proc. pen. alla decorrenza del termine dalla consegna, in caso di estradizione dall’estero, costituisca mera esplicitazione di un significato che deve intendersi comunque insito nella nozione di conoscenza piena e direttamente operativa, quale imposto dal complessivo quadro esaminato, fermo restando che correlativamente tale risultato può essere raggiunto senza la necessità di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 629-bis, cod. proc. pen., nella precedente e, in via conseguenziale, nella attuale formulazione, proprio in ragione della compatibilità del testo con la più lata interpretazione prospettata, peraltro ineludibile alla luce del complessivo assetto normativo, in funzione dell’effettività del diritto di difesa, garantita dalla Costituzione, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dalla CEDU, così come non vi è necessità di un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia U.E. ai sensi dell’art. 267 T.F.U.E., in quanto sui profili valorizzati in questa pronuncia la Corte di giustizia si è già espressamente pronunciata, non risultando residue incertezze in ordine al significato attribuibile ai fini in esame alle disposizioni contenute nella dec. quadro 2002/584/GAI.
Le Sezioni unite, di conseguenza, alla stregua delle considerazioni sin qui esposte, enunciavano il seguente principio di diritto: “Nel caso di persona richiesta in consegna in attuazione di un mandato di arresto europeo esecutivo e detenuta in carcere, il termine per proporre la rescissione del giudicato decorre dal momento della consegna del condannato”.
4. Conclusioni: nel caso di persona richiesta in consegna in attuazione di un mandato di arresto europeo esecutivo e detenuta in carcere, il termine per proporre la rescissione del giudicato decorre dal momento della consegna del condannato
Nel comporre il contrasto giurisprudenziale riguardante se, per la persona richiesta in consegna in attuazione di un mandato di arresto europeo esecutivo e detenuta in carcere, il termine di trenta giorni, per proporre la rescissione del giudicato, decorra dal momento dell’avvenuta conoscenza della sentenza, per effetto del contenuto del mandato di arresto, o, in conformità all’art. 4-bis, par. 2, della decisione quadro 2002/584/GAI, dalla consegna del condannato, le Sezioni unite compongono tale contrasto, prediligendo la consegna del condannato, anziché l’avvenuta conoscenza della sentenza, quale termine iniziale da doversi prendere in considerazione a partire del quale decorrono i trenta giorni per potere proporre la richiesta di rescissione del giudicato.
Difatti, come appena visto, codeste Sezioni unite hanno per l’appunto risolto codesto contrasto, postulando che, nel caso di persona richiesta in consegna in attuazione di un mandato di arresto europeo esecutivo e detenuta in carcere, il termine per proporre la rescissione del giudicato decorre dal momento della consegna del condannato.
Dunque, a tale consegna deve farsi riferimento, laddove si intenda proporre codesta rescissione ove si verifichi una situazione di questo genere.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, poiché fa chiarezza su tale tematica procedurale sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere positivo.
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