Il consenso dell’avente diritto , con riferimento all’omicidio del consenziente: problematiche attuali relative alla pratica dell’eutanasia

Redazione 17/10/04
Silvia Amati – Avvocato in Roma

SOMMARIO

1. Operatività della scriminante in oggetto ; 2. Limiti in relazione alla disponibilità dei beni della integrità fisica e della vita ; 3. La fattispecie di cui all’art. 579 c.p. : efficacia del consenso della vittima nel delitto di omicidio ed incriminazione dell’aiuto al suicidio ; 4. Nozione di eutanasia ; 5. Diritto di morire e suo fondamento costituzionale ; 6. Considerazioni conclusive..

1. Operatività della scriminante in oggetto
“Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto col consenso della persona che può validamente disporne”.(1)
Con tale locuzione il nostro codice ha codificato l’antico principio “volenti non fit iniuria”, inserendolo tra le cd. scriminanti. Le scriminanti, esimenti o cause di esclusione del reato sono particolari “circostanze” in presenza delle quali un fatto, solitamente considerato reato, e quindi perseguito dall’Ordinamento, è autorizzato o consentito dalla legge stessa e pertanto perde il suo carattere antigiuridico : non si pone più in contrasto con l’Ordinamento, non è illecito.(2) Escludendo l’offesa le scriminanti rappresentano dei limiti alla tutela del bene giuridico : in loro presenza il bene non è più tutelato dalla norma ; vi sarà un’offesa in senso materiale, ma non una offesa in senso giuridico. Pertanto le scriminanti sono anche definite elementi negativi del fatto in quanto devono mancare perché il reato sussista.(3)
Esse operano oggettivamente, per il fatto della loro sola esistenza(4), realizzando, in via generale, un bilanciamento tra interessi contrapposti.(5)
Col consenso dell’avente diritto, tuttavia, non si ha tanto una contrapposizione tra interessi quanto, piuttosto, una rinuncia, da parte del titolare, alla conservazione del proprio bene. Tale esimente pone dunque il problema di individuare se, ed in quale misura, l’Ordinamento consente all’individuo di disporre dei propri beni, compresi quelli strettamente personali quali la vita e l’integrità psico-fisica.
Condizioni necessarie affinchè il consenso esplichi l’effetto di escludere la illiceità penale del fatto sono, dunque, la disponibilità del bene da parte del suo titolare e la validità del consenso. Il consenso è valido se la persona legittimata a consentire possiede la capacità di agire e se esprime il consenso con coscienza e con volontà immune da vizi. Pertanto non è valido il consenso estorto con violenza, dolo, errore(6) o nel caso in cui esista una discordanza tra volontà e dichiarazione, come nel caso di riserva mentale o consenso prestato ioci causa. La volontà di consentire deve perdurare fino al momento in cui il soggetto agente compie l’azione, anche se può essere sottoposto a condizioni e modalità.(7) Il consenso deve, inoltre, provenire da colui che è titolare dell’interesse leso, ossia dalla persona che subisce l’offesa che costituisce l’essenza del reato.
Con riguardo al consenso dell’avente diritto la questione più rilevante si pone in relazione alla individuazione dei beni rispetto ai quali l’Ordinamento permette al consenso di esplicare il suo effetto scriminante. Tali sono, come detto, i beni e i diritti di cui il soggetto titolare può liberamente disporre. Tuttavia “la distinzione tra beni disponibili e indisponibili non è sempre agevole, dovendosi essa desumere, in rapporto alle singole categorie di beni, dall’intero ordinamento e dalla sua natura personalistica”.(8)In primis vanno annoverati in tale categoria i diritti patrimoniali, rispetto ai quali non si pongono questioni particolari.
Per quanto riguarda i diritti personalissimi, si considerano disponibili i diritti alla inviolabilità dei segreti privati(di corrispondenza, professionale…) ; parzialmente disponibili i diritti alla integrità fisica, alla libertà personale, alla libertà sessuale, all’onore, alla dignità ; assolutamente indisponibile il diritto alla vita.(9) Sono anche indisponibili i diritti che fanno capo direttamente allo Stato(nei delitti contro la Personalità dello Stato, contro la Pubblica Amministrazione, contro l’amministrazione della giustizia…), quelli riferiti ad una collettività non personificata(delitti contro l’ordine pubblico, contro l’incolumità pubblica, la fede pubblica, il buon costume) e i diritti facenti capo alla famiglia. Tutelando il nucleo familiare lo Stato tende, infatti, a proteggere interessi della collettività.
2. Limiti in relazione alla disponibilità dei beni della integrità fisica e della vita
Facendo un passo indietro, il problema più rilevante e controverso, anche in relazione ai più recenti sviluppi della dottrina, si pone in relazione alla disponibilità dei beni della integrità fisica e della vita. L’art. 5 del cod. civ.(10) vieta atti di disposizione del proprio corpo che possano cagionare una diminuzione permanente della integrità fisica o che siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume.
Si ricordi che, in relazione alla tutela dell’individuo, il nostro ordinamento ha accolto la concezione personalistica dei beni personali, secondo la quale l’uomo è considerato un bene a sé, un valore non strumentalizzabile, contrapposta alla concezione utilitaristica, secondo la quale l’uomo è un mezzo per il raggiungimento di finalità che trascendono la sua persona.(11) Pertanto la vita e l’integrità fisica sono tutelate quali valori in se stessi, in senso assoluto.(12)
In relazione alla tutela di tali beni intangibili sono state emanate, nel corso degli anni, una serie di leggi, quali la 644/75 sui prelievi di parti di cadavere a scopo di trapianto, la 458/67 sui trapianti del rene tra viventi, la 107/90 che disciplina la pratica trasfusionale, la 164/82 che, derogando al disposto dell’art. 5 c.c., ha consentito la rettificazione chirurgica del sesso naturale, la 578/93 con la quale si è identificato il decesso con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo.(132)
3. Fattispecie di cui all’art. 579 c.p. : efficacia del consenso della vittima nel delitto di omicidio ed incriminazione dell’aiuto al suicidio
Il problema più rilevante, tutt’ora dibattuto e ancora senza soluzione, si pone in relazione al cd. omicidio del consenziente, previsto dall’art. 579 c.p., per i suoi punti di contatto con la pratica dell’eutanasia attiva e passiva.
Tale ipotesi di reato, introdotta con il codice Rocco del 1930 e tuttora vigente nella sua originaria formulazione testuale, punisce, con pena meno severa rispetto all’omicidio doloso di cui all’art. 575 c.p., colui che cagiona la morte di un uomo col consenso di lui.(143) Il consenso, dunque, non scrimina, ma funge da attenuante : non esclude la punibilità, a causa della indisponibilità del bene vita nel nostro ordinamento, ma funge da elemento differenziatore ai fini della determinazione della pena rispetto alla ipotesi di omicidio doloso.(154) Tuttavia, secondo le regole generali, il consenso deve essere espresso da persona maggiore di età, capace di intendere e di volere e non deve essere stato estorto con violenza, minaccia, suggestione o carpito con inganno.(165) In mancanza di tali requisiti il soggetto agente è punito per omicidio doloso(art. 579, 3° comma c.p.).(176) Il dolo previsto per la sussistenza del reato è quello generico in quanto il soggetto agente deve essere consapevole del fatto che la vittima è consenziente. L’errore sulla esistenza del consenso è rilevante, ai sensi dell’art. 47 c.p., in quanto cade su un elemento essenziale del fatto.
4. Nozione di eutanasia
La fattispecie delittuosa in oggetto pone dei problemi in relazione alla eutanasia. Dal greco éu tànatos(morte dolce), sta oggi ad indicare la interruzione volontaria della vita di una persona malata, con o senza il suo consenso : si tratta della cd. eutanasia pietosa, intesa come “uccisione pietosa e liberatrice, ossia come morte arrecata allo scopo di far cessare una condizione umana angosciante e particolarmente dolorosa”.(187) L’eutanasia pietatis causapietosa, in campo medico, viene definita eutanasia terapeutica, in relazione all’impiego o all’omissione di mezzi terapeutici al fine di ottenere la morte del paziente.(198)
Nell’ambito dell’eutanasia terapeutica si distingue tra eutanasia commissiva, o attiva, ed eutanasia omissiva, o passiva. L’eutanasia attiva consiste nel provocare la morte della vittima mediante condotte attive ; l’eutanasia passiva consiste nel “cagionare” la morte mediante la omissione di pratiche terapeutiche che avrebbero potuto tenere in vita il malato.(2019)
Come lucidamente evidenziato dal Giunta, “l’eutanasia pietosa manca nel nostro ordinamento di una normativa specifica : di una normativa cioè che prenda in considerazione espressamente il fenomeno, tenendo conto delle circostanze e dei moventi eutanasici. Di conseguenza, nella sua forma cd. attiva, che è poi quella cui più propriamente si riferisce il termine, l’eutanasia pietosa ricade nella regolamentazione di norme generali ; di fattispecie, cioè, dettate indipendentemente dalle peculiarità del fenomeno in esame e in ragione, piuttosto, di esigenze di tutela ritagliate su fenomenologie criminologiche sensibilmente diverse.”(210)
Pertanto, per quanto riguarda la prima ipotesi(eutanasia attiva), se c’è il consenso della vittima, il soggetto agente è punito ai sensi dell’art. 579 c.p.. Se non c’è il consenso, perché il malato è in coma o comunque in stato di incapacità di intendere e di volere, l’agente è punito per omicidio doloso. Tuttavia la giurisprudenza prevalente ritiene che il consenso possa ritenersi presunto ove, per le particolari condizioni della vittima, si possa affermare che, se fosse stata cosciente, lo avrebbe prestato.(22) In tal caso il soggetto agente è punito per omicidio del consenziente. Può ritenersi sussistente l’attenuante di aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale(art. 62, n° 1 c.p.) ; tuttavia tale attenuante diviene in pratica inutilizzabile a causa della compresenza dell’aggravante della premeditazione, che impedisce l’applicazione delle diminuzioni di pena previste.(231)
Per quanto riguarda l’eutanasia passiva, il soggetto può essere considerato responsabile della morte ai sensi dell’art. 40 c.p.(che equipara il non impedire l’evento al cagionarlo volontariamente) solo ove sussista a suo carico un esplicito dovere giuridico di impedire l’evento morte. La dottrina prevalente ritiene tuttavia punibile la sola eutanasia passiva non consensuale.(242)
5. Diritto di morire e suo fondamento costituzionale
Per quanto riguarda l’eutanasia passiva consensuale occorre fare riferimento all’art. 32, 2° comma della Costituzione, secondo il quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario, se non per disposizione di legge. Da tale principio costituzionale si deduce che la scelta di sottoporsi o meno alle cure è un diritto di libertà della persona. Per cui non è possibile praticare una cura contro la volontà espressa del paziente, anche quando l’omissione della cura o la sua sospensione porti alla morte. Se dunque il malato esercita il suo diritto di non curarsi, il medico ha l’obbligo di sospendere le cure e l’eventuale persistenza dell’attività medica viene in tal caso condannata e definita accanimento terapeutico.(253) L’eutanasia passiva consensuale è dunque considerata lecita ed oggi comunemente ammessa. “L’ordinamento non solo non vieta, ma riconosce una libertà di morire, che può essere esercitata in vario modo : … anche con il rifiuto delle cure. Pur muovendo dall’opposta premessa, secondo cui il suicidio sarebbe contra ius, anche la dottrina maggioritaria perviene, del resto, alla conclusione dell’incoercibilità del vivere, facendo leva sul disposto dell’art. 32, comma 2, Cost.. Anche quando porta alla morte…il consapevole rifiuto delle cure integra il contenuto di un diritto costituzionalmente garantito, che discende dal divieto di trattamenti sanitari obbligatori “.(264)
Tuttavia va puntualizzato che il diritto di lasciarsi morire non coincide, secondo la dottrina prevalente, con il diritto di morire, ma si tratta del più limitato diritto di non curarsi, garantito dalla Costituzione.(275) Pertanto il diritto di disporre della propria vita è riconosciuto solo nel caso in cui la morte segua ad un processo causale estraneo alla volontà del soggetto e rispetto al quale si ammette il diritto di non resistere. La liceità della eutanasia passiva consensuale trova dunque fondamento nel riconoscimento che, “essendo svolta nell’interesse del paziente, l’attività terapeutica può essere da questi rifiutata(voluntas aegroti suprema lex) ; la malattia farà allora il suo corso e per il diritto la morte sarà opera della natura “.(268)
Tuttavia “non sempre c’è una terapia da rifiutare per poter morire e non sempre il rifiuto della terapia conduce a una morte rapida e indolore”.(297) Spesso diventa necessario porre fine ad atroci sofferenze. E’ stato sottolineato come l’attuale formulazione dell’art. 579 c.p. crei una discriminazione tra il malato terminale in grado di porre fine autonomamente alle sue sofferenze ed il malato terminale che, a causa delle sue condizioni psico-fisiche, non è in grado di farlo, necessitando così dell’aiuto di un terzo.(3028) ” La vita non può essere tutelata sempre e comunque ” e “non si può imporre la sofferenza”.(3129) Da taluni è stato perciò individuato, in base ai principi generali della Costituzione, il cd. diritto di morire con dignità.(320)
6. Considerazioni conclusive
In conclusione risulta evidente la necessità di introdurre una normativa specifica a disciplina della fattispecie in oggetto, ora lasciata alle soluzioni interpretative della giurisprudenza.(33) Il dibattito, che coinvolge sia l’opinione pubblica che gli operatori del diritto, non riguarda soltanto problematiche giuridiche, ma sottende ben più angosciosi interrogativi etico-filosofici. Da un lato si sottolinea il principio generale di indisponibilità della vita e dell’integrità personale ; dall’altro si afferma che “la laicità dello Stato non consente di vietare una condotta contra se per le sue valenze culturali, etiche o per le stesse finalità dell’agente ; per quanto biasimevoli, esse appartengono al foro interno della persona e alla sua insindacabilità. Ne segue che l’autoaggressione o è vietata in ragione delle precise e prevalenti istanze solidaristiche, o è destinata a restare lecita, ancorchè espressione dell’esecrabile esaltazione di una singola individualità”.(341) In base al principio di autodeterminazione dell’individuo si è affermato che nella eutanasia attiva su soggetto consenziente “entra in gioco la volontà di riappropriarsi della morte, prevedendola, gestendola razionalmente, organizzandola amministrativamente”.(352) L’eutanasia assume la valenza di un “suicidio razionale”.(363)
Angosciosi interrogativi nascono anche dal rapporto tra etica e sviluppo scientifico : “Più la scienza accelera, più l’etica è in affanno a tenerle il passo”.(374) Fino a che punto è eticamente giusto mantenere in vita, attraverso la imposizione di ulteriori attività terapeutiche, un individuo la cui vita biologica è esclusivo frutto della macchina ?
Come drammaticamente posto in luce da un filosofo contemporaneo, ” con la nascita della scienza moderna la prospettiva degli antichi si capovolge perché, tradotta la natura in un laboratorio dove l’uomo sperimenta le sue intenzioni, l’agire intellettuale non è più il fine a cui il fare produttivo resta subordinato, ma il principio che sprigiona il fare produttivo da cui il retto agire non può prescindere. … per cui saranno buone tutte quelle azioni che affrancano l’uomo dalla sua impotenza nei confronti della natura. E siccome questo riscatto è reso possibile dalla tecnica, l’agire etico si appiattisce sul fare tecnico”. E ancora, “limitando l’agire a quello che nella cultura tecnologica si chiama button pushing, la tecnica sottrae all’etica il principio della responsabilità personale…e questo perché chi preme il bottone lo preme all’interno di un apparato, dove le azioni sono a tal punto integrate e reciprocamente condizionate che è difficile stabilire se chi compie un gesto è attivo o viene a sua volta azionato….all’agire la tecnica ha tolto il suo scopo, ossia quell’eidos, come lo chiamava Platone, che consente di distinguere l’ agire dal puro e semplice fare”.(385)
Sarebbe forse opportuno riappropriarsi dei valori tipici della cultura greca, per cui si distingueva tra scienza (epistéme) con cui si dirime il vero dal falso, e saggezza (phrònesis) con cui si dirimestingue il bene dal male. Scrive Aristotele : “Nel campo delle azioni e di ciò che è utile non c’è nulla di stabile, come nel campo della salute. Non c’è infatti una legge generale per i casi particolari, perché essi non rientrano in nessuna conoscenza tecnica e in nessuna regola fissa, ma spetta sempre a chi agisce tener conto di ciò che è opportuno, come avviene nell’arte della medicina”.(396)
Avv. Silvia Amati
amatisilvia@katamail.com

NOTE

(1) Così recita l’articolo 50 del codice penale. **(2)
“Il fatto scriminato è lecito sotto il profilo penale ed extrapenale, cioè per l’intero ordinamento giuridico, stante l’unitarietà dello stesso ; perciò non giuridicamente sanzionabile e non impedibile” : così in F. Mantovani, Diritto Penale, Parte generale, ed. CEDAM 1996, p. 249. **(3)
“Il fondamento tecnico-dogmatico consiste nella assenza di tipicità del fatto scriminato. Le scriminanti infatti costituiscono, sotto il profilo formale-descrittivo, elementi oggettivi negativi della fattispecie criminosa (che debbono cioè mancare perché il reato sussista)” : così in F. Mantovani, citato, p. 250. **(4)
Così recita il primo comma dell’art. 59 c.p., come introdotto dalla L. 19/90 : “Le circostanze che…escludono la pena sono valutate a favore dell’agente anche se da lui non conosciute, o da lui per errore ritenute inesistenti”. L’efficacia oggettiva delle scriminanti, che operano, dunque, qualunque sia l’opinione dell’agente in proposito, va spiegata, secondo l’Antolisei, “col valore in grande prevalenza oggettivo che l’ordinamento giuridico attuale attribuisce al reato, il quale non viene considerato come sintomo della personalità del reo, ma per quello che effettivamente è nella vita sociale(valore causale e non sintomatico del reato)” : F. Antolisei, Manuale di Diritto Penale, Parte generale, ed. Giuffrè, p. 240. **(5)
Due sono i modelli cui la dottrina fa riferimento per spiegare il fondamento sostanziale delle cause di giustificazione : modello monistico e modello pluralistico. Secondo il primo tutte le scriminanti andrebbero ricondotte ad uno stesso principio, individuabile, di volta in volta, nel criterio del mezzo adeguato per il raggiungimento di uno scopo approvato dall’ordinamento giuridico, o della prevalenza del vantaggio sul danno, o del bilanciamento tra beni in conflitto, o del giusto temperamento tra interesse e controinteresse. Secondo il modello pluralistico, dominante in dottrina, il fondamento politico-sostanziale della liceità del fatto è da individuare e ricondurre a principi diversi, quali quello dell’interesse mancante, dell’interesse prevalente o dell’interesse equivalente. Cfr. Fiandaca-Musco, Diritto penale, Parte generale, ed. Zanichelli, Bologna, p. 194, e F. Mantovani, cit. p. 249. Secondo tale ultimo Autore, “tutte le scriminanti postulano…un conflitto di interessi, il cui bilanciamento si risolve con la prevalenza dell’interesse, attuabile mediante l’adempimento del dovere o l’esercizio del diritto o ingiustamente aggredito nella legittima difesa o di valore superiore nello stato di necessità, o in base alla equivalenza degli interessi di pari valore in quest’ultima scriminante” , mentre per la scriminante del consenso dell’avente diritto, “con la rinuncia del titolare alla conservazione del proprio bene, viene meno lo stesso interesse da tutelare”.cfr. F. Mantovani, cit., p. 249. **(6)
Come afferma F. Giunta, è principio generale dell’ordinamento che “il consenso non può più considerarsi libero quando il processo formativo della volontà di chi lo esprime è condizionato dall’altrui violenza o inganno” : F. Giunta, Diritto di Morire e Diritto penale, I termini di una relazione problematica, Relazione svolta al Convegno Internazionale di Studi sul tema :”Una norma giuridica per la bioetica(Siena, 9-11 giugno 1994), p. 81. **(7)
In tal senso la Suprema Corte secondo la quale il consenso, serio, esplicito e non equivoco, deve perdurare “sino al momento in cui il colpevole commette il fatto”, Cass. 25-7-1991, n. 8128. **(8)
Sono parole di F. Mantovani, in op. cit., p. 261. **(9)
cfr. F. Mantovani, cit., p. 262. **(10)
L’art. 5 del codice civile così recita : “Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume”. Secondo l’Antolisei, “da tale disposizione si desume che nel diritto odierno l’uomo non è illimitatamente dominus membrorum suorum.L’integrità fisica è considerata essenziale affinchè l’individuo possa adempiere i suoi doveri verso la famiglia e la società. In conseguenza sono proibite le alterazioni del corpo che diminuiscono in modo notevole il valore sociale dell’uomo, impedendogli o rendendogli difficile di fare quanto gli impone l’ordinamento dello Stato, e la disponibilità è circoscritta a quegli atti che non producono una menomazione permanente dell’integrità fisica o che non sono altrimenti contrari alla legge(es. art 642 c.p.), all’ordine pubblico o al buon costume”. F. Antolisei, cit., p. 256. Nello stesso senso la Relazione ministeriale al Progetto definitivo del Codice Civile, n. 26, afferma che, negando uno spazio negoziale agli atti di disposizione che determinano una diminuzione permanente dell’integrità fisica, la norma garantisce ad un tempo l’integrità fisica quale “condizione essenziale perché l’uomo possa adempiere ai suoi doveri verso la società e la famiglia”. Dal punto di vista civilistico, gli atti di disposizione del proprio corpo hanno natura negoziale, tuttavia, in caso di inadempimento, non sono soggetti ad esecuzione forzata in forma specifica. Sul punto cfr. F. Gazzoni, Manuale di Diritto Privato, Napoli 1996, p. 169. Puntualizza il Giunta che, “come confermano anche i lavori preparatori, l’art. 5 c.c. è stato introdotto per un’esigenza di natura negoziale, quale quella di riconoscere uno spazio di liceità alla libera contrattazione mediante atti di disposizione del proprio corpo, evitando ad un tempo che, dietro compenso, si potesse compromettere permanentemente la propria integrità fisica a favore di terzi”. Pertanto il divieto posto dall’art. 5 c.c. riguarda espressamente solo gli atti che comportano una diminuzione permanente della propria integrità fisica, mentre tace in relazione agli atti di disposizione del bene vita. In conseguenza, per usare le parole del Giunta, “proprio per il fatto di disciplinare atti di disposizione del proprio corpo aventi natura negoziale, la norma in oggetto non può essere invocata per vietare comportamenti che non vengono compiuti a vantaggio di terzi”. Cfr. F. Giunta, cit., p. 87. In argomento cfr. A. De Cupis, I diritti della personalità, in Trattato di Diritto Civile e commerciale diretto da A. Cicu, F. Messineo, Milano, 1982, vol. IV, p. 129-130 ; id., O. De Pietro, Il consenso dell’avente diritto e il consenso del paziente, Napoli, 1988, p. 603, il quale nega espressamente che l’art. 5 c.c. disciplini l’intera materia degli atti di disposizione del proprio corpo. **(11)
Sul punto cfr. F. Giunta, Eutanasia pietosa e trapianti quali atti di disposizione della vita e del proprio corpo, in Diritto Penale e Processo, n. 4/1999, p. 403 ; id., F.C.Palazzo, Persona(delitti contro), in Enc. Dir., vol. XXXIII, 1983, p. 297, secondo il quale il principio personalistico è una “linfa circolante nell’intero ordinamento” ; id., F. Giunta, Diritto di Morire e Diritto Penale, cit., p. 111, secondo il quale, in relazione al principio personalistico “viene in rilievo, anzitutto, l’art. 2 della Costituzione, là dove garantisce l’inviolabilità dei diritti dell’uomo, anche nei confronti dello Stato, e l’art. 3, comma 2, che assegna allo Stato il compito di farsi strumento per assicurare il pieno sviluppo della persona umana. In secondo luogo, il principio personalistico trova conferme più specifiche, ma non meno importanti, nella consacrazione dei diritti e delle libertà attinenti alla persona umana(si pensi, tra gli altri, agli artt. 13-19 e 21, che assegnano a tali diritti e libertà una posizione di assoluto rilievo anche dal punto di vista della topografia costituzionale). Vengono ancora in rilievo l’art. 32, comma 2,…. e gli artt. 41, comma 2, e 27, comma 3, posti a salvaguardia della dignità dell’uomo. Infine, il principio personalistico viene desunto dalle disposizioni che, in stretto collegamento con il disposto dell’art. 3, comma 2, impongono allo Stato specifici compiti positivi per il pieno sviluppo della persona umana in materia di lavoro(artt. 4, 35, 37), di cultura e ricerca scientifica(art.9), di assistenza processuale(art.24), di famiglia(art.29), di salute(art.32), di scuola(art.34), di assistenza sociale(art.38) e di attività economica(art. 41, comma 1). In argomento v. F. Mantovani, I trapianti e la sperimentazione umana nel diritto italiano e straniero, Padova 1974, p. 37. **(12) Si ricordi che l’art. 2 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, resa esecutiva con l. 848/55, e dunque essa stessa legge dello Stato, stabilisce espressamente che il diritto alla vita è tutelato dalla legge. **(13)
“Talchè il concetto di morte deve ritenersi oggi un elemento normativo della fattispecie penale” : sono parole di F. Giunta, Diritto di morire e Diritto Penale, cit., p. 102. Sulla necessaria unitarietà della nozione di morte v. U.G. Nannini, Quale unità del concetto di morte ? Una prospettiva giuridica, in Bioetica, 1993, p. 261. **(14)
Non in tutti gli ordinamenti giuridici, tuttavia, il consenso della vittima opera quale attenuante nel delitto di omicidio : nell’ordinamento francese, ad esempio, non esiste alcuna previsione specifica in tema di omicidio del consenziente ed il codice penale francese punisce il fatto come omiocidio volontario. E’ prevista l’attenuante della nobiltà del movente, con reclusione in ogni caso non inferiore a 5 anni. Si ricordi che l’art. 20 del codice di deontologia medica francese dispone che “Il medico deve adoperarsi per alleviare le sofferenze del malato e non ha il diritto di provocarne deliberatamente la morte”. **(15)
Quanto al rapporto tra art. 50 c.p. e art. 5 c.c., in relazione alla ratio patrimoniale di tale ultima disposizione e alla difficoltà di un suo raccordo con la natura non negoziale del consenso scriminante, afferma il Giunta che”il disposto dell’art. 5 può rilevare in materia penale solo nei limiti della sua non incompatibilità logica con i caratteri e le finalità dell’intervento penalistico. Così, non si potrà ritenere che i limiti posti dall’art. 5 c.c. alla libera disposizione del proprio corpo invalidino il consenso scriminante solo quando l’atto di disposizione ha natura patrimoniale ed è compiuto a favore di terzi. Per questa via si giungerebbe oltretutto all’inammissibile conseguenza che i delitti contro l’integrità fisica avrebbero un ambito operativo diverso a seconda che l’aggressione al bene tutelato abbia o meno un’origine negoziale. Per converso, lo spirito dell’art. 5 c.c. può e deve essere rispettato in materia penale là dove circoscrive la disciplina dell’art. 50 c.p. ai soli casi in cui la diminuzione permanente dell’integrità fisica si riconnette ad atti di disposizione che, concretandosi in una rinuncia al bene dell’integrità, lo espongono all’altrui azione offensiva o pericolosa. Sulla base di questi rilievi risulta dunque confermata la mancanza di appigli legislativi in grado di suffragare l’asserita illiceità del suicidio. In combinato disposto con gli art. 579 e 580 c.p., con l’art. 5 c.c., non solo non smentisce, ma anzi conferma che il vincolo alla disponibilità della vita e dell’integrità opera solo nei confronti delle aggressioni manu alius, non anche nelle ipotesi di autoaggressione, che si pongono in uno spazio di azione non regolato dal diritto e dunque consentito” : F.Giunta, Diritto di morire e Diritto penale, cit., p. 88. Sul punto anche F. Giunta, Illiceità e colpevolezza nella responsabilità colposa, Padova, 1993, p. 314. **(16)
cfr. nota n. 6. **(17)
Così recita l’art. 579, comma 3 c.p. : “Si applicano le disposizioni relative all’omicidio se il fatto è commesso : 1)contro una persona minore degli anni diciotto ; 2)contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti ; 3)contro una persona ilcui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno.” A tal proposito la Suprema Corte, con sentenza 22.02.1990, n. 2501, ha puntualizzato che “la speciale configurazione data all’omicidio del consenziente e la sua sussunzione in autonoma e tipica ipotesi di reato, nella quale sono previste pene edittali minori rispetto al comune omicidio volontario, sono fondamentalmente derivate dalla considerazione che, sebbene ivi figuri legislativamente consacrata l’indisponibilità del bene della vita pure da parte del titolare del relativo diritto, tuttavia alla configurazione della fattispecie partecipa proprio il consenso della persona offesa che, negli altri casi, scrimina la condotta dell’autore(art. 50 c.p.). Ciò trova conferma nella configurazione del terzo comma dell’art. 579 c.p., nel quale si ripristina la ravvisabilità delle disposizioni relative all’omicidio(artt. 575-577 c.p.), ogni qualvolta la manifestazione di volontà del consenziente debba ritenersi viziata in conseguenza di presunzione legale o di accertamenti di fatto.” **(18)
Sono parole di G. Iadecola, Eutanasia : Problematichei giuridicihe e medico-legali, Padova 1991, p. 3. **(19)
Per usare ancora le parole di tale autore, “è proprio intorno all’eutanasia pietosa e terapeutica – di recente efficacemente definita come intervento intenzionalmente programmato per interrompere in maniera diretta e primaria una vita, quando questa si trovi in particolari condizioni di sofferenza o di inguaribilità o di prossimità alla morte – che è venuta storicamente formandosi quella che può dirsi l’autentica ed effettiva problematica dell’eutanasia” : G. Iadecola, op. cit., p. 4. M. Adamo, Il problema giuridico e medico-legale dell’eutanasia, Arch. Pen. 1950, I, p. 378, riferisce che in Russia, nel 1922, fu praticata ufficialmente l’eutanasia su 117 bambini colpiti da malattia incurabile per aver mangiato carne infetta. La Krasnaja Gazeta del 7 giugno 1922 informò che tale decisione, presa dalle Autorità Sovietiche, era stata ispirata da un sentimento di umanità riguardo a quei bambini condannati a morire fra atroci sofferenze. Il concettto di uccisione pietosa è tuttavia sorto nel Medio Evo e si è affermato nel Rinascimento. Tommaso Moro lo sviluppò nell’Utopia(lib. II, 5) :”Quando un’utopista è colto da una malattia non solo incurabile ma piena di dolori acuti e di angosce continue, i magistrati ed i sacerdoti debbono esortarlo ad abbandonare questa terra. Essi gli devono dimostrare come, non essendo più utile a questo mondo, ha torto se prolunga una malattia pestilenziale e dolorosa, per la quale egli riesce di peso a se stesso ed insopportabile agli altri”. E’ stato però il filosofo Bacone, nel XVII secolo, ad introdurre il termine eutanasia nel significato di eutanasia pietatis causa. Si ricordi che, al contrario, il giuramento di Ippocrate così recita : “Non prescriverò mai a nessuno un medicamento che possa provocare la morte e lo rifiuterò a quanti me lo chiedessero ; non consiglierò mai nessuno di usare veleni e non somministrerò mai a nessuna donna rimedi per farla abortire”. **(20)
L’eutanasia passiva è anche definita ortoeutanasia o paraeutanasia per distinguerla dalla distanasia, che consiste nell’impiegare tutti i mezzi terapeutici possibili per mantenere in vita un soggetto agonizzante(cd. accanimento terapeutico). Per un approfondimento delle distinzioni in ambito di eutanasia cfr. G. Iadecola, op. cit., p. 1 e seg. ; F. D’Agostino, Bioetica, Nella prospettiva della filosofia del diritto, G. Giappichelli, Torino 1998, p. 223 e seg. ; A. : Liberati, L’eutanasia, in Diritti della personalità e biotecnologie, ed. Melissa 1999, p. 113. **(21)
F. Giunta, op. cit., p. 77. In argomento, ovvero sulla inadeguatezza della normativa vigente, vedasi in dottrina : F. Stella, Il problema giuridico dell’eutanasia : l’interruzione e l’abbandono delle cure mediche, in Riv. it. med. Leg., 1984, p. 1008 ; id., F. Tabanelli, Eutanasia attiva e passiva : opportunità di una riconsiderazione delle disposizioni del codice penale in materia, in Critica pen., 1989, p. 48 e seg.. In ogni caso oggi l’eutanasia, non solo è considerata reato in tutte le legislazioni moderne, ma è anche ritenuta tale dalla dottrina penalistica nella quasi totalità. Al massimo, le poche voci discordanti la considerano non punibile, in analogia con la non punibilità prevista per il reato commesso per legittima difesa o in stato di necessità. Nella dottrina italiana erano su tali posizioni G. Del Vecchio, Morte benefica. L’eutanasia, UTET, Torino, 1928, F. Grispigni, Il consenso dell’offeso, Roma, 1924 e Ferri, L’omicidio-suicidio, UTET, Torini, 1935. Tali posizioni sono oggi decisamente superate dalla quasi totalità della dottrina. **(22) Ex pluribus, v. Corte d’Assise di Roma 1984, su G. merito, 86, 144, secondo cui :”Nonostante le risultanze di una perizia che, sulla base di indagini strettamente clinico-psichiatriche, abbia concluso che la vittima di un omicidio era affetta da insufficienza mentale di grado grave e tale da non poter esprimere il consenso alla propria uccisione, il giudice può, in base ad altri elementi ed in particolare ai pregressi rapporti di natura affettiva ed educativa fra la vittima e l’autore del reato, ritenere sussistente un implicito consenso al fatto criminoso.” **(23)
Sul punto afferma il Giunta che”l’omicidio pietatis causa commesso senza il consenso del paziente, se da un lato può risultare attenuato in virtù del rilievo che l’art. 62 n. 1 c.p. riconosce ai motivi di particolare valore morale o sociale, dall’altro lato risulterà con ogni probabilità aggravato dalla premeditazione(artt. 576, comma 1, e 577, comma 1, n. 3, c.p.). Cosicchè, quell’intervallo temporale tra la deliberazione dell’azione e la sua realizzazione, che è connaturale al travaglio di una scelta in ogno caso difficile, nel nostro sistema può far trasmigrare il fatto addirittura tra le ipotesi punite con l’ergastolo.” Cfr. F. Giunta, op. cit., p. 78. Sul punto la dottrina è controversa. Per l’applicabilità dell’attenuante in oggetto(ipotesi questa prevalente in dottrina), già affermata nei lavori preparatori(Relazione ministeriale al progetto definitivo, II, p. 374, n. 661) v. F. Antolisei, Manuale di diritto penale, parte speciale, vol. I, Milano 1994 ; contra G. Maggiore, Diritto penale, parte speciale, vol. II, p. 631 ; id.,1 e A. Liberati, op. cit., p. 117. LSul punto la giurisprudenza propende per la tesi negativa : “Per il riconoscimento dell’attenuante dei motivi di particolare valore morale o sociale non è sufficiente che i motivi del reato siano genericamente apprezzabili o positivamente valutabili da un punto di vista etico o sociale. I motivi considerati dall’art. 62, n. 1 cod. pen. devono corrispondere a finalità, principi, criteri i quali ricevano l’incondizionata approvazione della società in cui agisce chi tiene la condotta criminosa ed in quel determinato momento storico, appunto per il loro valore morale o sociale particolarmente elevato, in modo da sminuire l’antisocialità dell’azione criminale e da riscuotere il generale consenso della collettività. In tema di eutanasia, le discussioni tuttora esistenti sulla sua condivisibilità sono sintomatiche della mancanza di un generale suo attuale apprezzamento positivo, risultando anzi larghe fasce di contrasto nella società italiana contemporanea ; ciò esclude che ricorra quella generale valutazione positiva da un punto di vista etico-morale che condiziona la qualificazione del motivo come di particolare valore morale e sociale”(Cass. 22.02.1990, n. 2501). **(24)
Per le ipotesi in cui il consenso sia stato prestato ma sia invalido, a causa delle condizioni psico-fisiche della vittima, cfr. F. Giunta, op. cit., p. 81 e seg. ; G. Iadecola, Il medico e la legge penale, Padova 1993, p. 120 ; G. Giusti, L’eutanasia. Diritto di vivere-diritto di morire, Padova 1982, p. 79. In giurisprudenza v. Cass. Pen. 23.02.53, in G. compl. Cass. Pen., 53, I, 136. **(25)
Cfr. nota n. 19. **(26)
Cfr. F. Giunta, op. cit., p. 89-90. **(27)
Sul punto P. Perlingeri, Il diritto alla salute quale diritto della personalità, in Rass. Dir. Civ., 1982, p. 1045, il quale nega che nel nostro ordinamento esista un vero diritto di ammalarsi e di lasciarsi morire, in considerazione del fatto che la Costituzione adotta il principio personalistico e dunque considera la persona “come un valore da preservare e da realizzare anche nel rispetto di se stessi “. **(28)
Cfr. F. Giunta, op. cit., p. 90. **(29)
Così D. Neri, Eutanasia. Valori, scelte morali, dignità delle persone, Bari 1995, p. 152. **(30)
Cfr. F. Giunta, op. cit., p. 124. Sul punto ricorda D. Neri, op. cit., che il premio Nobel per la fisica Percy Bridgman, suicidatosi con un colpo di pistola, nello stadio terminale di un cancro, lasciò un messaggio in cui rimproverava la società di averlo costretto ad agire da solo. “Probabilmente – aggiungeva Percy – questo è l’ultimo momento in cui sono in grado di farlo da me”. **(31)
Sono parole di S. Rodotà, pronunciate durante una puntata della trasmissione “RAI [e] Educational”, RAI 3, luglio 2000. Sul punto cfr. M. Vacchiano, Eutanasia e diritto a non soffrire, “Quaderni della Giustizia”, 64, 1986, p. 38, secondo il quale, se non esiste un diritto a morire in senso stretto, esiste comunque un diritto a non soffrire. **(32)
Cfr. A. Liberati, L’eutanasia, in Diritti della personalità e biotecnologie, ed. Melissa 1999, p. 119. **(33) Si ricordi che, in data 19.12.1984, il deputato L. Fortuna(più altri) presentò una proposta di legge intitolata “Norme sulla tutela della dignità della vita e disciplina dell’eutanasia passiva” con la quale si proponeva di rendere non punibile l’eutanasia passiva. Per una analisi di tale proposta di legge, v. G. Iadecola, Eutanasia : Problematiche giuridiche…, op.cit., p. 58. **(34)
Cfr. F. Giunta, op. cit., p. 116. V. anche F. Giunta, Eutanasia pietosa e trapianti quali atti di disposizione della vita e del proprio corpo, in Diritto penale e processo, n. 4/1999, p. 407. **(35)
Così Sono parole di F. D’Agostino, op. cit., p. 235. **(36)
L’espressione è di M. Mori, Su alcuni problemi concernenti l’eutanasia, in Transizione, 3, 1985, p. 86. **(37)
Cfr. A. Polito, La clonazione, le paure e la scienza, su “La Repubblica” del 17 agosto 2000, p. 15. **(38)
Cfr. U. Galimberti, Psiche e techne, L’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli 1999, p. 459-460 e p. 609. **(39)
Cfr. Aristotele, Etica a Nicomaco, Libro II, 2, 1104a, 4-10.

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