Conservazione a norma nel processo civile telematico

Redazione 09/07/15
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Alcune note sulla conservazione a norma nel processo civile telematico.

A cura di Glauco Riem – docente di diritto delle nuove tecnologie.

 

Si è recentemente sviluppato un dibattito dottrinale relativo al quadro normativo di riferimento in materia di conservazione a norma della documentazione originale elettronica prodotta nel processo civile telematico che, ultimo, è stato reso obbligatorio dalla legge 24 dicembre 2012 n. 228 sulle Disposizioni del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (c.d. legge di stabilità 2013), modificando il d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, (convertito nella legge n. 221/2012), che ha anche apportato modifiche all’art. 16 ed ha altresì introdotto l’art. 16 bis, sull’Obbligatorietà del deposito telematico degli atti processuali. Detto articolo è stato nuovamente modificato ed emendato dagli artt. 44 e 52 del decreto legge n. 90 del 24 giugno 2014 (G.U. Serie Generale n. 144) Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari, convertito nella legge n. 114, dell’11 agosto 2014. (G.U. n. 190 del 18 agosto 2014).

 

In punto la premessa maggiore che si deve, sin da subito evidenziare, è che: la creazione di atti e documenti elettronici originali, muniti cioè di sottoscrizione digitale implica di per sé stessa la necessaria conservazione di detti documenti secondo le norme, anche tecniche, (tutte dettate) di cui al Codice dell’amministrazione digitale.

 

Il d.Lgs 82/2005, le sue successive modificazioni ed i DPCM che ne hanno completato il quadro normativo (DPCM  22 febbraio 2013 – Regole tecniche sulle sottoscrizioni; DPCM  13 novembre 2014 – regole tecniche sulla formazione, trasmissione, copia, duplicazione, riproduzione e validazione temporale dei documenti informatici) indicano, introducono e regolamentano il sistema di conservazione di oggetti, (documenti informatici, documenti amministrativi informatici e fascicoli informatici con i metadati ad essi associati), predisposti per il versamento dal produttore secondo le modalità operative definite nel manuale di conservazione, dalla loro presa in carico fino alla conservazione nel tempo o all’eventuale scarto. Il sistema assicura la conservazione degli oggetti in esso conservati, mantenendone le caratteristiche di autenticità, integrità, affidabilità, leggibilità, reperibilità. In attuazione a quanto disposto negli articoli 44 e 44 bis del Codice, DigitPA ha predisposto ai sensi dell’articolo 71 del Codice medesimo, le regole tecniche in materia di sistema di conservazione dei documenti informatici previste dall’articolo 20, commi 3 e 5-bis, dall’articolo 23-ter, comma 4 e dall’articolo 43, commi 1 e 3 del Codice medesimo.

 

Il CAD, ex art. 44, indica i requisiti per la conservazione dei documenti informatici  affermando che:

1. Il sistema di conservazione dei documenti informatici assicura:

a) l’identificazione certa del soggetto che ha formato il documento e dell’amministrazione o dell’area organizzativa omogenea di riferimento di cui all’articolo 50, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445;

b) l’integrità del documento;

c) la leggibilità e l’agevole reperibilità dei documenti e delle informazioni identificative, inclusi i’ dati di registrazione e di classificazione originari;

d) il rispetto delle misure di sicurezza previste dagli articoli da 31 a 36 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dal disciplinare tecnico pubblicato in allegato B a tale decreto.

1-bis. Il sistema di conservazione dei documenti informatici è gestito da un responsabile che opera d’intesa con il responsabile del trattamento dei dati personali di cui all’articolo 29 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e, ove previsto, con il responsabile del servizio per la tenuta del protocollo informatico, della gestione dei flussi documentali e degli archivi di cui all’articolo 61 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, nella definizione e gestione delle attività di rispettiva competenza.

1-ter. Il responsabile della conservazione può chiedere la conservazione dei documenti informatici o la certificazione della conformità del relativo processo di conservazione a quanto stabilito dall’articolo 43 e dalle regole tecniche ivi previste, nonché dal comma 1 ad altri soggetti, pubblici o privati, che offrono idonee garanzie organizzative e tecnologiche.

 

Ancorché non sia stato espressamente indicato (ce ne sarebbe stato bisogno?), appare sicuramente necessario affermare che il vasto apparato normativo previsto dal CAD e dalle relative regole tecniche sulla conservazione a norma degli atti e documenti elettronici originali, sia sicuramente valido per ogni tipologia di conservazione documentale informatica. In merito, riteniamo, si dovrebbe ricorrere al procedimento analogico “mediante il quale l’interprete del diritto, qualora vi sia una lacuna (ovvero quando un caso o una materia non siano espressamente disciplinati), applica le norme previste per casi simili o materie analoghe (art. 12 disp. prel. c.c.).”

 

Ciò significa che le stesse regole, normalmente e generalmente volute dal CAD, devono essere necessariamente applicate anche al processo civile telematico che consente appunto l’invio di atti e documenti informatici originali, secondo le modalità previste dalla normativa vigente sul deposito telematico obbligatorio, dalle regole tecniche e dalle sempre più diffuse prassi e convenzioni concordate tra l’Ufficio e l’Avvocatura (vedasi, per un approfondimento: G. Riem, A. Sirotti Gaudenzi ne Il processo civile telematico – come depositare gli atti – ed. Maggioli, luglio 2014.

 

La domanda che sorge subito è: tale produzione documentale in formato elettronico originale da chi e secondo quali norme, viene conservata dopo l’invio al sistema Polisweb che permette l’operatività del processo civile telematico?

 

Una riflessione semplicistica sembrerebbe postulare che la conservazione debba venir effettuata dal Ministero della Giustizia secondo le procedure del P.C.T. attualmente formalizzate. Tale ipotesi, riteniamo, non esime comunque il professionista che ne è, in senso tecnico, il produttore, dal fare altrettanto in virtù delle stesse regole sopra indicate e ciò per suo conto: ciascuno infatti deve conservare i documenti che produce secondo i principi archivistici (anche informatici) che ripartiscono l’archivio in corrente, di deposito e storico.

 

A titolo meramente esemplificativo attualmente allora, solo per motivi di contingente gestione, una sorta di “conservazione” viene effettuata dal Ministero della Giustizia che, oltre al fascicolo elettronico corrente dell’Ufficio, conserva i c.d. “fascicoli originali informatici ed i documenti” dei difensori delle parti. Ciò accadrà, riteniamo, sino all’esito delle controversie ma – una volta che queste si siano esaurite – come si procederà alla conservazione di tali atti e documenti anche ai fini civilistici ?

 

L’avvocato, si sa è esperto di molteplici branche del sapere, ma normalmente non è molto esperto di archivistica elettronica, di cui, si ritiene, dovrebbe principalmente occuparsi la segreteria.

 

Ci preme evidenziare che attualmente nella gestione della documentazione cartacea, la Cancelleria – all’esito della controversia – chiede ai professionisti di ritirare il fascicolo di parte e ciò nell’intento di non gravare/aggravare la gestione della conservazione documentale del Ministero già sufficientemente provata dai milioni di documenti da archiviare e conservare.

 

Allo stesso modo, siamo certi, accadrà, nel momento in cui, esaurita che sia la controversia informatizzata, ogni professionista si dovrà occupare della conservazione della propria documentazione elettronica originale, alla stregua appunto di quanto oggi accade con la conservazione cartacea: sussumere infatti su di sé obblighi di conservazione che spettano ad altri implica infatti responsabilità, gravosi impegni e costi non certamente sostenibili (a favore di terzi) dal sistema informatico della Giustizia.

 

Identicamente allora si dovrà ritenere che detta documentazione informatica originale debba essere conservata, anche ai fini civilistici, dal professionista che l’ha prodotta di talché, non essendo ogni avvocato esperto di questa materia, che implica adempimenti complessi se non abnormi,  sono sorte  società di conservazione documentale a norma, spesso improvvisate, a cui i Colleghi pericolosamente si affidano.

 

Il problema che qui segnaliamo sembra non sia ancora sufficientemente percepito e valutato, nemmeno dalla migliore dottrina che sui detti temi ha lanciato solo alcune “grida” di allarme, on line o mediante comunicazioni allo stesso ministro della Giustizia, senza per altro inquadrare sistematicamente il problema dell’applicazione del DPCM 13 novembre 2014 (G.U. 12 gennaio 2015 n. 8) che è, unitamente al d.Lgs 82/2005, la normativa di riferimento in punto conservazione a norma della documentazione informatica originale, non essendo possibile e/o credibile che il legislatore intenda dettarne una diversa per ogni diverso ambito di applicazione, nella specie relativamente al P.C.T..

 

Riteniamo allora che i Colleghi non devano essere lasciati soli nella gestione di tale problema, ma che invece si debba pensare necessariamente ad una soluzione unica ed unitaria per tutta l’Avvocatura come già è stato quando fu adottata la Business Key, ai fini della gestione dei sistemi di firma digitale, di talché oggi tale strumento, anche su nostra sommessa indicazione, è stato adottato dall’Avvocatura tutta.

 

A parte quanto stabilito dall’art. 2961 del c.c., che indica in tre anni dalla definizione della pratica, l’obbligo di conservazione dei documenti, l’art 2220 c.c., in punto conservazione delle scritture contabili, indica invece in dieci anni l’obbligo di conservazione dei documenti comunque attinenti all’attività del professionista e ciò naturalmente ai fini fiscali. Ed allora molti Colleghi conservano in archivio (cartaceo) la pratica per i dieci anni e ciò, anche per costante indicazione della giurisprudenza tributaria, unitamente ai c.d. fascicoli di causa ed alla relativa documentazione contabile; allo stesso modo – dall’entrata in vigore del processo civile telematico – si dovrà procedere oggi con gli atti e la documentazione originale informatica che dovrà/potrà essere poi esibita solo secondo le regole ad hoc dettate dalle diverse norme, anche fiscali, in materia di conservazione documentale a norma.

 

Le garanzie di autenticità, integrità, affidabilità, leggibilità, reperibilità, immodificabilità, provenienza e paternità ed aggiungiamo della certezza del tempo in cui è creato un atto o documento, onde attribuirne la garanzia  di “opponibilità ai terzi”, non è sicuramente res che possa essere gestita in proprio da ogni singolo professionista ancorché organizzato in studi professionali strutturati a ciò.

 

Occuparsi della conservazione a norma o sostitutiva che dir si voglia, non solo non è agevole per la qualità e quantità di adempimenti, di apparecchiature e delle conoscenze tecniche e giuridiche necessarie, ma anche per l’impegno costante a cui ci si deve sub-mettere per adempiere correttamente alle norme tutte (già esistenti e – a nostro prudente avviso – obbligatoriamente da praticare sin da subito) del CAD in materia di conservazione documentale informatica originale.

 

Allora, ma questa sottolineo è solo una mia opinione, si rende necessario organizzare una serie di incontri e convegni in merito, quantomeno per rendere edotti i Colleghi sul problema e comunque per aprire un dibattito e trovare soluzioni ragionevoli sia di costo (per nulla secondario) che di unitarietà di gestione.

 

Per un inevitabile coordinamento e collaborazione a detti seminari e convegni dovranno sicuramente partecipare i responsabili degli Uffici giudiziari e dell’Amministrazione della giustizia che sono sottoposti alle stesse regole e quindi agli stessi adempimenti e che, anzi, hanno l’obbligo di archiviare e conservare i documenti elettronici originali con le modalità previste dalle norme in materia e dal Codice dell’amministrazione digitale perché il non farlo verrebbe assimilato al mancato adempimento alle regole archivistiche generali cui anche l’ente (Giustizia) è sottoposto; la detta Amministrazione gestisce infatti il proprio archivio, che è l’insieme dei documenti prodotti e/o acquisiti come strumento e risultato delle proprie attività e funzioni e che sono in stretta connessione logica e formale fra loro secondo anche il c.d. principio del “vincolo archivistico”.

 

In merito ci preme poi sottolineare la molteplice serie di forme e supporti in cui si sostanziano oggi i “documenti”; in merito, ricordiamo comunque che il CAD distinguendo fra documento analogico ed informatico definisce il primo come la “rappresentazione non informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti” ed il secondo “come la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”.

 

Il legislatore premettendo il non, alla prima definizione, sembra volersi liberare della distinzioni che sul documento analogico venivano postulate ad esempio dall’art. 1. sub lettera b) della Delibera n. 11 del 19 febbraio 2004 del CNIPA ove, non semplicemente, si affermava che tale documento era: il documento formato utilizzando una grandezza fisica che assume valori continui, come le tracce su carta (esempio: documenti cartacei), come le immagini sul film (esempio: pellicole mediche, microfiche, microfilm), come le magnetizzazioni su nastro (esempio: cassette e nastri magnetici audio e video). Si distingue in documento originale e copia.

 

Analogici o informatici che dir si vogliano comunque si tratta di documenti tout court e come tali essi sono sottoposti alle regole tutte stabilite nel nostro ordinamento giuridico secondo quanto ivi previsto e sottoposti alla vigilanza della Sopraintendenza archivistica che autorizza gli enti allo scarto secondo i principi di cui all’art. 21, comma 5, del d.Lgs 42/2004 ed invece dalle Commissioni di sorveglianza per gli archivi delle amministrazioni statali (tribunali, questure, prefetture, ecc.) nominate ex DPR 8 gennaio 2001, n.37

È il caso di ricordare che, in via analogica, la cancellazione di documenti originali elettronici nella pubblica amministrazione è una forma di scarto non autorizzata di documenti dell’archivio punita con l’arresto da sei mesi ad un anno e con l’ammenda da 775 a 38,734,50 euro (art.169, comma 1, del d.Lgs 42/2004).

 

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