Considerazioni per liberazione anticipata dai domiciliari

Allegati

Cosa si deve considerare per la liberazione anticipata allorché la pena venga espiata agli arresti domiciliari.
(Riferimento normativo: L., 26 luglio 1975, art. 54)
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Corte di Cassazione -sez. I pen.- sentenza n. 25980 dell’8-02-2023

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Indice

1. La questione


Il Tribunale di sorveglianza di Catanzaro respingeva, nei confronti di una persona ristretta agli arresti domiciliari, il reclamo proposto avverso una ordinanza con la quale il Magistrato di sorveglianza di Cosenza aveva respinto la richiesta di concessione della liberazione anticipata.
In particolare, il Tribunale aveva condiviso la valutazione del primo giudice, che aveva ritenuto la pendenza di due procedimenti penali reputati di gravità tale da impedire la concessione del beneficio, siccome ritenuti sintomatici della mancata partecipazione del detenuto all’opera di rieducazione.
Ciò posto, avverso il provvedimento summenzionato era proposto ricorso per Cassazione in cui era formulato un unico motivo, vale a dire inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354, nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.


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2. La soluzione adottata dalla Cassazione


Il ricorso suesposto era ritenuto fondato.
In particolare, gli Ermellini, dopo avere fatto presente che l’art. 54 della legge n. 354 del 1975 subordina la concessione della liberazione anticipata alla prova che il condannato abbia tenuto regolare condotta e abbia partecipato all’opera di rieducazione, osservavano che, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, dal momento che, ai fini della concessione del beneficio, occorre avere riguardo non tanto ai risultati conseguiti all’esito del semestre in valutazione, quanto piuttosto alla disponibilità mostrata in concreto dal condannato, in tale arco temporale, verso la partecipazione all’opera di rieducazione perseguita dal trattamento, ne consegue che ciascun semestre in relazione ai quali esso viene richiesto deve essere oggetto di valutazione frazionata, anche se ciò non impedisce che taluni comportamenti in un certo semestre, purché gravi e sintomatici della mancata partecipazione all’opera di rieducazione, vengano negativamente a riverberarsi sulla valutazione degli altri (fra le altre, Sez. 1, n. 24449 del 12/1/2016; Sez. 1, n. 3092 del 7/11/2014; Sez. 1, n. 11597 del 28/2/2013).
Orbene, veniva inoltre richiamato anche quell’orientamento nomofilattico secondo cui nel procedimento di sorveglianza possono essere valutati anche fatti costituenti mere ipotesi di reato, senza la necessità di attendere la definizione del relativo procedimento penale, rilevando la sola valutazione della condotta del condannato, al fine di stabilire se lo stesso, a prescindere dall’accertamento giudiziale sulla sua responsabilità penale, sia meritevole dei benefici penitenziari richiesti (Sez. 1, n. 42571 del 19 aprile 2013; Sez. 1, n. 33089 del 10/05/2011; Sez. 1, n. 37345 del 27/09/2007), essendo stata in particolare posta in risalto la necessità che, quanto al fatto integrante gli estremi di reato, «il giudice ne valuti la pertinenza rispetto al trattamento rieducativo, in quanto espressione di un atteggiamento incompatibile con l’adesione allo stesso da parte del detenuto» (Sez. 1, n. 33848 del 30/04/2019).
Detto questo, sotto altro profilo, era poi sottolineato che non osta al negativo giudizio da parte del Magistrato e del Tribunale di sorveglianza la circostanza che l’episodio sia stato qualificato dal giudice della cautela di rilievo tale da non incidere sull’adeguatezza della misura, e ciò perché la valutazione del magistrato di sorveglianza in ordine alla partecipazione all’opera di rieducazione, rilevante ai fini della eventuale concessione del beneficio invocato, oltre ad avere un oggetto differente, costituisce oggetto di un apprezzamento del tutto autonomo, con l’unico limite dell’accertamento, da parte del giudice della cognizione, dell’insussistenza del fatto o della sua mancata commissione da parte del richiedente.
Tanto premesso, osservava il Collegio che – sulla scorta dei principi sopra richiamati – se nessun pregio, a suo avviso, poteva essere attribuito agli argomenti svolti nel ricorso in punto di asserita qualificazione del fatto, da parte del giudice della cautela, di rilievo tale da non incidere sull’adeguatezza della misura e quelle riguardanti la natura non definitiva delle pendenze giudiziarie,
tuttavia, in tema di liberazione anticipata, allorché la pena venga espiata agli arresti domiciliari e manchino, quindi, il trattamento rieducativo svolto in istituto e la correlativa partecipazione ad esso del detenuto, la valutazione demandata al giudice non si esaurisce nel controllo del rispetto delle prescrizioni imposte, ma richiede anche l’esame del comportamento complessivo del soggetto al fine di valutarne l’evoluzione della personalità (Sez. 1, n. 13412 del 19/02/2021), atteso che in tale caso assume rilevanza decisiva la valutazione della sua condotta sotto il profilo del modo con cui egli ha saputo trarre profitto dai margini di libertà offertigli.
Oltre a ciò, era altresì fatto presente come tale parametro di valutazione non si esaurisca nel controllo del rispetto delle prescrizioni imposte, ma investa l’esame del comportamento complessivo del soggetto in modo da trarre da esso ogni elemento che esprima, o neghi, l’evoluzione positiva della sua personalità (Sez. 1, n. 6259 del 07/11/1997).
L’indagine sulla partecipazione all’opera di reinserimento deve essere, dunque, compiuta con riferimento alla condotta serbata, all’osservanza degli obblighi ed all’espletamento dell’attività lavorativa, se consentita (Sez. 1, n. 89 del 11/01/1994; Sez. 1, n. 3514 del 23/09/1992), dovendosi trattare di una valutazione d’insieme, essendo illegittimo ogni automatismo (Sez. 1, n. 4603 del 26/09/1995), dovendo il diniego del beneficio essere sorretto, anche in caso di trasgressione, da una completa valutazione fattuale e psicologica dell’addebito, in modo che ne risulti l’incidenza negativa sulla partecipazione del condannato all’opera di rieducazione (Sez. 1, n. 51463 del 24/05/2017).
Orbene, valutata alla stregua di tali principi, la Suprema Corte riteneva come l’ordinanza impugnata si rivelasse viziata.
A fronte della rituale allegazione da parte della difesa di elementi di conoscenza (segnatamente, le dichiarazioni della madre del condannato raccolte in sede d’investigazioni difensive), asseritamente suscettibili d’incidere sulla valutazione dei fatti posti a fondamento della decisione reiettiva, per il Supremo Consesso, il Tribunale di sorveglianza aveva trascurato qualsiasi vaglio sugli stessi (in ipotesi anche al fine di escluderne la rilevanza) ed aveva, pertanto, omesso di compiere la doverosa rivalutazione delle condotte poste in essere dal condannato e di verificarne, alla luce dell’andamento complessivo della misura, la reale incidenza in termini di partecipazione all’opera di rieducazione.
La Corte di legittimità, dunque, alla luce di tali considerazioni, annullava la decisione impugnata, con rinvio, al giudice che l’aveva adottata per nuovo giudizio.

3. Conclusioni


La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito cosa si deve considerare per la liberazione anticipata allorché la pena venga espiata agli arresti domiciliari.
Si afferma difatti in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso orientamento nomofilattico, che, ove si verifichi una situazione di questo genere, la valutazione demandata al giudice non si esaurisce nel controllo del rispetto delle prescrizioni imposte, ma richiede anche l’esame del comportamento complessivo del soggetto al fine di valutarne l’evoluzione della personalità, fermo restando che tale parametro di valutazione non si esaurisce nel controllo del rispetto delle prescrizioni imposte, ma investa l’esame del comportamento complessivo del soggetto in modo da trarre da esso ogni elemento che esprima, o neghi, l’evoluzione positiva della sua personalità.
L’indagine sulla partecipazione all’opera di reinserimento deve essere, dunque, compiuta con riferimento alla condotta serbata, all’osservanza degli obblighi ed all’espletamento dell’attività lavorativa, se consentita, dovendosi trattare di una valutazione d’insieme, essendo illegittimo ogni automatismo, dovendo il diniego del beneficio essere sorretto, anche in caso di trasgressione, da una completa valutazione fattuale e psicologica dell’addebito, in modo che ne risulti l’incidenza negativa sulla partecipazione del condannato all’opera di rieducazione.
Tale provvedimento, quindi, ben può essere preso nella dovuta considerazione ove si debba appurare la ricorrenza delle condizioni di legge per potere conoscere la liberazione anticipata, laddove la persona richiedente sia sottoposta agli arresti domiciliari.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, pertanto, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il profilo giurisprudenziale, non può che essere che positivo.

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