Considerazioni sul “caso” polacco

L’articolo descrive le diverse fasi del contrasto tra Unione Europea e Polonia, che si è incentrato sulla riforma del sistema giudiziario polacco fortemente voluta dal Governo polacco e che consta di interventi legislativi messi in atto a partire dal 2015.
La riforma ha destato le preoccupazioni della Commissione europea prima e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea dopo, a causa di disposizioni che non avrebbero garantito quella tutela giurisdizionale effettiva voluta dal Trattato sull’Unione Europea, minando la garanzia di inamovibilità dei giudici e osteggiando il primato del diritto dell’Unione Europea.
La Corte Costituzionale polacca, con una sentenza del 7 ottobre 2021 ha reso la situazione ancora più delicata, giungendo a considerare il Trattato incompatibile con i principi costituzionali polacchi.
Il braccio di ferro tra Polonia e UE diviene così motivo di riflessione sulla capacità dell’ordinamento sovranazionale europeo di far rispettare i principi liberamente accettati dagli Stati firmatari del Trattato.

Indice

1. Da Rousseau a Morawiecki

Devo dire che la tentazione di intitolare questo articolo “Considerazioni sul Governo della Polonia” è stata forte, sebbene sia consapevole che appropriarsi dei titoli altrui, specie per un Avvocato, sia come minimo discutibile. Eppure, la vicenda che ha visto l’Unione Europea e la Polonia l’una contro l’altra armata, mi ha fatto inevitabilmente pensare allo scritto di Rousseau.
E si potrebbe pensare a questo richiamo come a una pia suggestione, essendo passati quasi tre secoli dalla pubblicazione delle Considérations sur le gouvernement de Pologne ed essendosi prodotta una evidente inversione di tendenza dai tempi dello jus publicum europaeum con cui si confrontava Rousseau, che tentava di regolamentare le relazioni internazionali degli Stati-nazione, all’integrazione europea odierna, che si gioca sul filo, a volte sottile, delle cessioni di sovranità statale in vista del bene comune.
Quanto, e in che misura, tale inversione sia stata benefica, non è il caso di discuterlo in questa sede, se non altro perché dovrei partire da molto lontano e la trattazione si farebbe estremamente ampia.
Tornerei invece, brevemente, sulla suggestione rousseauiana, perché, nel suo saggio, Rousseau sostiene che l’amor patrio e quello della libertà avrebbero reso la Polonia capace di recuperare la propria indipendenza, dopo che un piccolo gruppo di nobili, i Confederati del Bar, aveva provato a resistere alle pressioni della Russia sulla politica polacca, purtroppo senza esito, perché la Polonia finì sotto il giogo della Russia, accompagnata da Austria e Prussia.
Ora, a parte le frizioni con la Russia (la storia si ripete), la Polonia, negli ultimi anni, parrebbe aver fatto ricorso proprio a un forte sentimento di identità nazionale al fine di opporre resistenza alle indebite ingerenze della Troika nell’amministrazione della giustizia polacca, come interpretata dal legislatore prima e dalla Corte Costituzionale polacca poi.
Mutatis mutandis, parrebbero rivivere gli impulsi del 1768.
Rimane da capire se le pretese del Governo polacco siano iscrivibili in una storia di difesa dell’identità e della sovranità nazionale contro ingerenze esterne o se questa vicenda non ci metta piuttosto di fronte, come temo, alla questione dei rapporti tra diritto comunitario e diritto nazionale quando in gioco vi sia l’osservanza del diritto dell’Unione Europea.  
Ma come siamo arrivati allo ‘strappo’ polacco?
Facciamo un po’ di cronistoria.

2. Polonia vs Unione Europea: cronaca di un divorzio annunciato

Il partito Diritto e giustizia (PiS) di Mateusz Morawiecki ha vinto le elezioni in Polonia nel 2015, mentre il paese versava in un clima di grande incertezza politica.
Tra le prime iniziative del PiS c’è stata la promozione di una serie di modifiche legislative volte a cambiare il sistema di nomina dei giudici della Corte Costituzionale, in modo da garantire la presenza di giudici filogovernativi nella composizione della Corte.
Nel 2016 viene approvata la legge sulla Procura e il Ministro della Giustizia diviene anche Procuratore Generale.
Sempre nel 2016, prime avvisaglie dello scontro: il Segretario generale del Consiglio d’Europa, chiede alla Commissione di Venezia di pronunciarsi sulle leggi polacche. La Commissione condanna in toto l’operato del Governo polacco, che trasforma, di fatto, i tribunali in instrumentum regni.
Ma Varsavia non molla.
Tra marzo e luglio del 2017 viene modificata la legge sui Tribunali ordinari.
Cito alcuni punti chiave: la Corte Suprema si arricchisce della presenza di membri onorari nominati dal Senato, nel cui curriculum non è necessario verificare la presenza di studi giuridici; invenzione di ricorsi straordinari avverso le sentenze passate in giudicato, anche su iniziativa del Ministro della Giustizia, novello Procuratore; abbassamento dell’età pensionabile dei giudici della Corte Suprema, che potranno congedarsi a 65 invece che a 70 anni.
Ci prova l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa a fermare i polacchi. Viene nuovamente investita la Commissione di Venezia, che non può che ribadire il suo precedente (negativo) giudizio.
Nessun risultato: il 20 dicembre 2017, fortemente voluta dal Governo, entra in vigore la legge sul Consiglio Nazionale della Magistratura.
In un clima di continui richiami da parte degli organi dell’Unione Europea, avanzata imperterrita del Governo e dei suoi sodali, i giudici di Varsavia provano a recuperare il posto di lavoro.
La legge del 2017 comportava il congedo di 27 magistrati su 72.
La legge consente però di richiedere una proroga, su cui si pronuncia il Presidente della Repubblica. Che però la nega, a suo insindacabile giudizio, a più della metà dei giudici che ne avevano fatto richiesta.
I giudici impugnano il diniego dinanzi alla Corte Suprema, che a sua volta chiede alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (in seguito, CGUE) di pronunciarsi sulla questione pregiudiziale circa la violazione o meno del principio della inamovibilità dei giudici come sancito dal Trattato sull’Unione Europea (in seguito, TUE) e dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (in seguito, TFUE).
Intanto, il Governo polacco continua a intervenire sul sistema giudiziario con una pesante ingerenza sulle nomine dei giudici e altri moti di riforma.
Il Consiglio Europeo prova a placare l’amor patrio del Governo polacco presentandogli, con una apposita procedura prevista dal TUE, alcune osservazioni, che vengono bellamente disattese.
La Commissione Europea, forse fiutando le intenzioni del Governo, attiva, in contemporanea, la procedura di infrazione prevista dal TFUE e chiede spiegazioni. Dopo quattro mesi, nessuna risposta dalla Polonia.
La Commissione presenta allora ricorso per inadempimento dinanzi alla CGUE per violazione del diritto di inamovibilità dei giudici (ingerenza del potere esecutivo nella formazione della Corte Suprema) e per abuso del potere discrezionale da parte del Presidente della Repubblica (per le stesse ragioni).
La CGUE si pronuncia il 24 giugno 2019 con sentenza di accoglimento del ricorso presentato dalla Commissione con riguardo alla violazione dell’art. 19, par. 1, co. 2, TUE, che vale la pena riportare:
“Gli Stati membri stabiliscono i rimedi giurisdizionali necessari per assicurare una tutela giurisdizionale effettiva nei settori disciplinati dal diritto dell’Unione”.
La disposizione, precisa la Corte, rientra tra i valori fondamentali menzionati dall’art. 2 TUE, che comprendono anche la difesa dello Stato di diritto.
La Repubblica di Polonia, argomenta la Corte, non assicura una tutela giurisdizionale effettiva in quanto i magistrati cessano di essere indipendenti se l’esercizio delle loro funzioni può essere menomato da pensionamenti anticipati e proroghe soggette al si volam del Presidente della Repubblica.
I giudici vengono reintegrati.
La CGUE aveva anche emesso, in via cautelare, una ordinanza di sospensione della legge polacca rispetto all’oggetto del ricorso.
Nonostante i richiami, le ordinanze e la sentenza, la riforma della giustizia prosegue sugli stessi binari e culmina nella legge sulla Corte Suprema, entrata in vigore a febbraio del 2020.
I giudici e l’opposizione la chiameranno “legge-bavaglio” per la forte limitazione dell’indipendenza dei giudici e per le restrizioni sul piano della libertà personale.
Dopo una lettera inviata al Governo perché presentasse le proprie ragioni in merito, puntualmente ignorata, la Commissione innesca nuovamente la procedura di infrazione [1]. Ancora una volta si lamenta il mancato rispetto del principio di indipendenza dei giudici e di prevalenza del diritto dell’Unione Europea.
La riforma pone a dura prova l’effettività della tutela giurisdizionale, per diverse ragioni, che proverò a riassumere.
I giudici polacchi devono stare attenti a ciò che decidono, pena la rimozione a opera del Parlamento. Il rischio aumenta se vengono rimesse alla CGUE questioni pregiudiziali.
È precluso ai giudici polacchi sollevare questioni di competenza sui casi loro sottoposti.
I giudici polacchi devono dichiarare l’eventuale appartenenza ad associazioni non facenti parte dell’ambito giudiziario e confessare se frequentano i social, e, in caso affermativo, rivelare se agiscono sotto le mentite spoglie del nickname.
Viene istituita una Sezione del controllo straordinario e degli Affari pubblici presso la Corte Suprema che, di fatto, impedisce l’applicazione del diritto dell’Unione Europea e men che mai permette il rinvio alla CGUE per delibare su questioni pregiudiziali.
Ma non è tutto. La Corte Costituzionale polacca con una sentenza del 7 ottobre 2021 ha ulteriormente messo il dito nella piaga.
E dal momento che il contenuto di questo pronunciamento non proviene da un magistrato di provincia, credo sia una buona idea approfondire un poco la cosa.
La Costituzione polacca consente a tutti coloro che si ritengono lesi nell’esercizio delle libertà fondamentali, di ricorrere alla Corte per richiedere un giudizio sul provvedimento che avrebbe occasionato la lesione.
Quindi, essendo riconosciuto a tutti tale diritto, il Primo Ministro polacco Mateusz Morawiecki pensa bene di sottoporre alla Corte la questione dei rapporti tra Costituzione polacca e diritto dell’Unione Europea in quanto fonte primaria.
Per approfondimenti a riguardo, si consiglia il Compendio di diritto dell’Unione Europea, il quale vuole offrire una risposta all’esigenza di disporre di un testo di rapida consultazione in cui reperire le principali fonti.
Sostanzialmente il ragionamento della Corte è la continuazione della politica polacca con altri mezzi.
Il TUE, sostiene la Corte, è incompatibile con la Costituzione polacca quando afferma che:
“Con il presente trattato, le ALTE PARTI CONTRAENTI istituiscono tra loro un’UNIONE EUROPEA, in appresso denominata “Unione”, alla quale gli Stati membri attribuiscono competenze per conseguire i loro obiettivi comuni (l’art. 1, co. 1)”.
E che:
“Il presente trattato segna una nuova tappa nel processo di creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni siano prese nel modo più trasparente possibile e il più vicino possibile ai cittadini (l’art. 1, co. 2)”.
Il lettore comprende bene che si tratta di disposizioni altamente lesive della sovranità nazionale!
Ma la Corte polacca non ignora che prendersela con le dichiarazioni di principio è come sparare sulla Croce Rossa, così dà la colpa di tutto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che favorisce il diritto sovranazionale a discapito di quello nazionale, fino al punto di mettere sotto scacco il primato della Costituzione polacca.
La pietra dello scandalo, per citare quella che mi pare maggiormente ‘ingombrante’, è quella del cd. controllo diffuso da parte del giudice. Riduco all’osso: quando un giudice nazionale riscontra una incompatibilità tra una norma interna e una dell’Unione può disapplicare quella nazionale in favore di quella dell’Unione.
Purtroppo, gli acuti giudici della Corte ‘dimenticano’ altre disposizioni della loro stessa Carta costituzionale, che pongono principi di indipendenza dei giudici e di recezione dei Trattati internazionali [2].
A tacere del biasimo unanime proveniente dalle istituzioni tutte dell’Unione e della multa comminata dalla CGUE con ordinanza del 27 ottobre 2021 alla Polonia (1 milione di euro al giorno, ridotto ad aprile del 2023 a 500.000 euro) per ‘assicurarsi’ che la Polonia sospendesse le disposizioni incriminate della riforma, la CGUE ha emesso un’altra sentenza, su ricorso presentato dalla Commissione, il 05.06.23, che conferma la precedente decisione della Corte, sentenziando che “la Repubblica di Polonia è venuta meno agli obblighi a essa incombenti in forza dell’articolo 19, paragrafo 1, secondo comma, TUE” (tutela giurisdizionale effettiva), oltre che al principio di prevalenza del diritto dell’Unione.
Sotto accusa, in particolare, la Sezione disciplinare presso la Corte Suprema, che può avviare procedimenti penali contro i giudici, in caso di condotte poco ‘patriottiche’, specie se rivolte a eccitare il controllo della CGUE [3].
 Ora, questa vicenda, se da un lato, pone stringenti questioni geopolitiche, che meriterebbero una trattazione a parte (il famigerato Gruppo di Visagrad è tutt’altro che da sottovalutare) pongono non meno urgenti interrogativi di diritto internazionale.
Quando degli Stati decidono liberamente di formare un’unione per raggiungere degli scopi comuni e firmano un Trattato che non è una dichiarazione d’intenti, ma una fonte di diritto per gli Stati contraenti, e che prevede tutta una serie di organi deputati a dare attuazione a quel Trattato, è legittimo domandarsi se quegli organi abbiano fatto tutto quanto in loro potere per rendere efficaci le disposizioni, accettate liberamente (anche dai polacchi) dai firmatari, dal momento che chi non è (più) d’accordo può abbandonare la barca, Regno Unito docet.

3. Il presente assente Consiglio Europeo

La procedura attivata dalla Commissione nei confronti del Governo polacco si fonda sul TFUE ed è volta a cercare una soluzione a casi specifici, ma utilizzarla per richiamare l’attenzione sul rispetto dei Principi dell’UE, non porta da nessuna parte, in quanto se è vero che le violazioni specifiche del diritto dell’Unione sono riconducibili ai principi fatti propri dai trattati, è anche vero che appellarsi ai valori (apparentemente) condivisi, quando hai un Governo che manipola e controlla organi costituzionale e mezzi di comunicazione, serve a poco. È triste ma vero che ha ottenuto più successo la comminazione della multa milionaria (a livello percettivo, almeno) che l’appello a riconsiderare i fondamenti di una riforma giudiziaria inaccettabilmente politicizzata.
Voglio ricordare una importante presa di posizione della CGUE, senza mettere capo a una disquisizione di diritto internazionale, ma per mettere in rilievo che non basta constatare e cercare un dialogo con chi viola i patti, occorre agire con gli strumenti coercitivi previsti da quei patti.
La presa di posizione è la seguente:
“La Corte rileva che, a differenza dei comuni trattati internazionali, il Trattato C.E.E. ha istituito un proprio ordinamento giuridico, integrato nell’ordinamento giuridico degli Stati membri all’atto dell’entrata in vigore del Trattato [4]“.
Chiedo qui l’attenzione del lettore per un istante.
Che cosa sta dicendo qui la Corte?
La comunità degli Stati europei non ha fondato una organizzazione internazionale sul tipo dell’ONU, che stabilisce dei principi dichiarativi e poi lascia la loro attuazione agli Stati di buona volontà.
Con la C.E.E. prima e l’U.E. dopo, gli Stati contraenti hanno accettato un ordinamento sovranazionale, simile a una federazione.
E tale ordinamento sovranazionale è parte integrante dell’ordinamento dei singoli Stati.
Cosa vuol dire questo?
Che qui non abbiamo un’entità astratta, che, pur dotata di organi e procedure proprie, possa prendere decisioni, emettere sentenze e sperare poi che gli Stati facciano la loro parte (e mi pare ovvio dalla vicenda qui riassunta, che gli Stati, la loro parte, possano anche non farla).
Qui abbiamo delle norme che si applicano negli Stati facenti parte dell’unione come le norme interne degli Stati stessi (gli esperti parlano di fonti del diritto, ma ci siamo capiti).
Ora, cosa fa uno Stato quando le sue leggi non vengono rispettate?
Può perfezionare le disposizioni disattese per favorirne l’osservanza.
Può migliorare le procedure che presiedono alla loro applicazione.
Può predisporre opportune ‘tavole rotonde’ per mettere a confronto le ragioni contrapposte.
E, nei casi estremi, punire.
Ora, tenendo conto della specificità dell’ordinamento dell’UE, se la Corte di Giustizia non riesce sempre a imporre il rispetto dei principi condivisi (e le multe non vengono pagate), è evidente che bisogna agire su un altro fronte.
I trattati non contemplano l’espulsione dei Paesi membri recalcitranti all’applicazione delle norme sovranazionali di diritto europeo.
E se mi è concesso, direi anche che è un bene che non ci sia questa possibilità: gli stessi timori suscitati dai fatti di Varsavia si riproporrebbero per possibili prese di posizione da parte di Bruxelles.
Mi pare molto più adiacente ai principi dell’Unione lasciare liberi gli Stati di decidere se vogliono continuare a far parte o meno della compagine europea, con la consapevolezza che, in un caso o nell’altro, ci sono delle responsabilità di cui farsi carico.
Cosa fare, dunque, se la Commissione e la Corte di Giustizia parlano al vento?
Esiste un organo che si chiama Consiglio Europeo che, da Trattato, può proporre il voto su questioni riguardanti la tenuta dell’ordinamento europeo.
È vero che il Consiglio ha a disposizione l’art.7 del TUE che prevede la constatazione dell’esistenza di una violazione grave e persistente, previa approvazione del Parlamento.
Il problema è che per intervenire in questo senso, il Consiglio deve deliberare all’unanimità…
Immagino siamo d’accordo tutti nel riconoscere che i Confederati di Visagrad non andrebbero mai contro se stessi.
E allora la domanda è: come mai il Consiglio, organo esecutivo dello ‘Stato Europeo’ non rimette al voto di maggioranza le questioni relative all’osservanza delle sue leggi, specie se alla inosservanza si aggiunge una condotta addirittura contraria alle leggi stesse?
Probabilmente, le ragioni sono politiche più che relative al funzionamento dell’organo esecutivo, specie in un clima di tensioni al confine con la Russia, che vedono la Polonia implicata non solamente per ovvie ragioni territoriali e in presenza di insorgenti nazionalismi nella stessa area geografica (dà molto da pensare anche l’Ungheria).
Tuttavia, se è vero che il diritto è politica, non si può nemmeno pensare che la politica possa surclassare il diritto.
Il caso polacco diviene così occasione di riflessione per la tenuta del sistema-Europa e per valutarne le carenze operative.
Come ha sottolineato Federico Casolari nel suo Leale cooperazione tra stati membri e Unione Europea:
il principio di leale cooperazione esprime anche quella che può definirsi la “fidelité communautaire” (Gemeinschaftstreue o Unionstreue), un’esigenza, cioè, di lealtà che non deriva da fattori originariamente esogeni, in quanto riconducibili agli altri livelli normativi coi quali l’ordinamento UE si coordina (quello internazionale, da un lato, e quelli nazionali, dall’altro). Si tratta, al contrario, di una esigenza che è connaturata all’ordinamento sovranazionale, nel senso che risulta strettamente connessa a quelli che ne rappresentano i tratti distintivi [5].
Non si tratta dunque solo di rispettare i patti o di stabilire i giusti raccordi tra ordinamenti nazionali e ordinamento europeo, ma di prendere coscienza che l’ordinamento europeo è l’ordinamento nazionale. E viceversa.
E questo comporta, conseguentemente, una presa di posizione sull’attuazione dei suoi principi, anche se questo significa adottare procedure poco ecumenniche.
Mi sarebbe piaciuto concludere questo articolo rivedendo nel caso polacco una riproposizione aggiornata dell’opposizione dei Confederati del Bar all’oppressione ‘straniera’, ma dovrò limitarmi ad auspicare che il Governo di Polonia dia al suo amor patrio una direzione migliore.
Nel frattempo, a novembre del 2023, la Commissione europea ha dato il via libera per il RRF (piano di ripresa e resilienza) della Polonia, per aiutare il paese a fare a meno dei combustibili russi.
Sembra che abbia giovato il ritorno di Donald Tusk, a quanto pare di vedute più ragionevoli rispetto al predecessore.
La Commissione ha inviato la bellezza di 60 miliardi, a patto che si ponga rimedio ai guasti provocati dalla Corte Suprema polacca, resasi protagonista di parte del delirio giuridico che ho cercato di raccontare.
Vedremo.

Note

  1. [1]

    Importante anche il ruolo assunto dall’Assemblea Parlamentare per il Consiglio d’Europa, su cui si può vedere, anche per una dettagliata ricostruzione della vicenda, l’articolo di Silvia Moretti, “La riforma del sistema giudiziario polacco e le risposte del Consiglio d’Europa: un quadro dal 2015 ad oggi”

  2. [2]

    Rimando, per una dotta e nutrita argomentazione sulla pronuncia, all’articolo del Prof. Giacomo Di Federico, “Il Tribunale costituzionale polacco si pronuncia sul primato (della Costituzione polacca): et nunc quo vadis?”, «AISDUE», 13.10.2021

  3. [3]

    Per una rapida disamina dei contenuti della sentenza, v. https://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2023-06/cp230089it.pdf

  4. [4]

    CGUE, sentenza del 15 luglio 1964, Costa c. E.N.E.L.

  5. [5]

    Federico Casolari Leale cooperazione tra stati membri e Unione Europea. studio sulla partecipazione all’Unione al tempo delle crisi, Napoli, Editoriale Scientifica, 2020, p.21.

Avv. Savino Mauro

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