1. La massima (autorale)
La decadenza dalla carica, intesa quale misura sanzionatoria, non può riguardare il deliberato astensionismo di un consigliere comunale che venga esercitato in un contesto di dialettica politica di documentata conflittualità, tra maggioranza ed opposizione.
2. La vicenda
Ai sensi dello statuto (comunale), due consiglieri comunali sono dichiarati decaduti, per mancata (e, assseritamente, ingiustificata) partecipazione a tre sedute consecutive.
Gli interessati impugnano – davanti al Tar – la delibera di decadenza, non essendosi considerato che le assenze erano motivate da deliberato e preannunciato astensionismo dovuto a ragioni politiche.
Il Tar bresciano:
-accoglie l’azione impugnatoria, evidenziando che “l’astensionismo deliberato e preannunciato, ancorché superiore al periodo previsto ai fini della decadenza, deve […] considerarsi uno strumento di lotta politico-amministrativa a disposizione delle forze di opposizione per far valere il proprio dissenso a fronte di atteggiamenti ritenuti non partecipativi, dialettici e democratici delle forze di maggioranza”;
-respinge la domanda di risarcimento del danno (svolta nell’assunto della impossibilità di svolgere attività amministrativa e di partecipare ad alcune decisioni consiliari, oltre che a titolo di danno all’immagine).
La statuizione di rigetto (della domanda di risarcimento del danno) e la compensazione delle spese di giudizio sono impugnate dai consiglieri comunali.
Il Comune resiste (anche) con appello incidentale contro la statuizione della sentenza di primo grado, concernente l’illegittimità del provvedimento di decadenza, sostenendo che la carica di consigliere comunale non attribuisce uno status, ma una funzione, che deve essere svolta attraverso l’esercizio del diritto di voto, sia pure dissenziente.
Il Consiglio di Stato respinge, preliminarmente, l’appello incidentale.
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Ad avviso del Collegio, l’art. 43, c. 4, del TUEL, nel disporre che “lo statuto stabilisce i casi di decadenza per la mancata partecipazione alle sedute e le relative procedure, garantendo il diritto del consigliere a far valere le cause giustificative”, rimette – sì – all’autonomia riconosciuta all’ente locale la disciplina delle ipotesi di decadenza, ma, contemporaneamente, garantisce al consigliere comunale la possibilità di esprimere le proprie giustificazioni. Ribadendo il proprio indirizzo, in base al quale le circostanze da cui consegue la decadenza del consigliere comunale vanno interpretate restrittivamente e con estremo rigore, data la limitazione che essa comporta all’esercizio di un munus publicum, considerando dunque che gli aspetti garantistici della procedura devono essere valutati attentamente, anche al fine di evitare un uso distorto dell’istituto come strumento di discriminazione delle minoranze, il Consiglio di Stato sottolinea che le assenze danno luogo a decadenza dalla carica qualora la giustificazione addotta dall’interessato sia relegata alla sfera mentale soggettiva di colui che la adduce, sì da impedire qualsiasi accertamento sulla fondatezza, serietà e rilevanza dei motivi, ovvero, più in generale, quando dimostrano con ragionevole evidenza un atteggiamento di disinteresse per motivi futili od inadeguati rispetto agli impegni con l’incarico pubblico elettivo; non anche quando – come si verifica nel caso sottoposto a giudizio – queste siano il frutto di un deliberato astensionismo, esercitato in un contesto di dialettica politica tra maggioranza ed opposizione di documentata conflittualità.
Il giudice d’appello rigetta anche il ricorso principale, confermando sia il capo – della sentenza di primo grado – relativo alla compensazione delle spese, che il rigetto della domanda di risarcimento del danno.
Quanto alla compensazione delle spese, si osserva che l’art. 92, c. 2, c.p.c.. contempla come ipotesi di compensazione – tra l’altro – la soccombenza reciproca; e, nel caso deciso, non si può ritenere che la domanda di risarcimento de danno sia meramente accessoria rispetto alla domanda di annullamento.
In relazione al danno (sub specie di danno all’immagine, per l’accusa di assenteismo, di danno per non avere potuto vigilare ed intervenire nell’attività consiliare, caratterizzata in quell’epoca da importanti iniziative, non condivise dagli appellanti, nonché di danno per la perdita di voti delle liste di appartenenza in occasione delle elezioni del 2004), asseritamente connesso alla disposta decadenza dalla carica di consigliere comunale, si statuisce: a) quanto al danno all’immagine, difetta la prova del nesso eziologico: più precisamente, il danno all’immagine non è un danno-evento, e cioè in re ipsa, ma deve essere oggetto di allegazione e di prova; b) quanto al danno da mancata partecipazione a decisioni amministrative importanti, i consiglieri comunali non sono titolari del bene della vita che affermano pregiudicato, perché il danno, ove configurabile, è dell’Amministrazione.
3. Alcuni precedenti (giurisprudenziali)
Cons. di Stato, V, 29 novembre 2004, n. 7761 (cit. in motivazione): Spetta al Consigliere nei confronti del quale è instaurato il procedimento di decadenza per prolungate assenze dalle sedute consiliari, di fornire ragionevoli giustificazioni dell’assenza; in tale ambito non può essere ricondotta la c.d. protesta politica, dichiarata soltanto a posteriori, in quanto la connotazione di protesta politica può essere assunta soltanto da comportamenti che siano resi pubblici (o esternati al Consiglio) in concomitanza alla estrema manifestazione di dissenso, di cui la diserzione delle sedute costituisce espressione, in caso diverso restando relegata nella sfera mentale soggettiva di colui che la adduce, così da impedire qualsiasi accertamento sulla fondatezza, serietà e rilevanza del motivo.
Cons. di Stato, V, 9 ottobre 2007, n. 5277 (cit. in motivazione): E’ giustificata l’assenza dalla seduta del consiglio comunale, motivata dal contemporaneo svolgimento del (la seduta del) consiglio di amministrazione di una società partecipata, di cui pure il consigliere comunale è componente [il Collegio rigetta le prospettazioni del comune – ricorrente – tendenti a valorizzare, da un lato, la precedenza ‘temporale’ della convocazione del consiglio comunale, dall’altro, la recessività della partecipazione al consiglio di amministrazione, rispetto all’impegno istituzionale dell’ente; il primo profilo è irrilevante, posto che “la preventiva conoscenza che entrambe le sedute cadevano allo stesso giorno ed alla stessa ora configura l’onere di rendere noto che l’impegno non può essere assolto, in osservanza di precetti di lealtà e correttezza”, ma “l’omissione di tale comportamento, ancorché riprovevole, non è … tale da considerare l’assenza non giustificata, data la veridicità della circostanza e la serietà della ragione dell’assenza”; in relazione al secondo, il Collegio rimarca “l’analoga rilevanza istituzionale delle funzioni svolte in seno al comune e alla comunità montana, in rappresentanza della quale egli (…l’interessato ..) partecipava al consiglio di amministrazione della società”: non essendo “possibile stabilire un criterio di priorità per valutare, nella scelta fra comportamenti incompatibili ratione temporis, quale dei due sia più doveroso”, “la prevalenza dell’interesse da soddisfare” costituisce “una scelta insindacabile del ricorrente fra due impegni della medesima natura e questo giustifica i motivi del suo comportamento di fronte al comune che non può desumerne il disinteresse per l’attività di consigliere e ritenere l’assenza ingiustificata”].
Cons. di Stato, V, 20 febbraio 2017, n. 743 (cit. in motivazione): “…Con riferimento a tale ultimo criterio […decadenza dalla carica di consigliere comunale per assenza ingiustificata, qualora la giustificazione addotta dall’ interessato sia talmente relegata alla sfera mentale soggettiva di colui che la adduce (come nel caso della protesta politica non altrimenti e non prima esternata), da impedire qualsiasi accertamento sulla fondatezza, serietà e rilevanza del motivo…ndA] e alla sua applicazione alla terza assenza del ricorrente, occorre notare che tale assenza sarebbe stata volta – a detta del ricorrente – a far mancare il numero legale: obiettivo di indubbio contenuto e rilievo politico, di corrente uso nelle assemblee parlamentari e non, e, per sua natura, non preannunciabile pubblicamente, pena la sua stessa vanificazione. Occorre pertanto specificare il suddetto criterio con la precisazione che, qualora l’assenza sia motivata da un obiettivo politico (far venire meno il numero legale) che presuppone il segreto e quindi la sorpresa, in tal caso affinché il motivo dell’assenza possa essere considerato giustificato, è necessario – anche al fine di evitare facili aggiramenti della norma – che l’assente adduca, successivamente, un elemento di prova precostituito in ordine alla motivazione politica della sua assenza, altrimenti da considerare non giustificata…”
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