Con ordinanza n. 3425/2013, del 30/08/2013, il Consiglio di Stato, sez. III, ha rigettato l’appello avverso il rigetto della richiesta di sospensione della dichiarazione dello stato di dissesto presentato dal Comune di Vibo Valentia, per tramite del suo legale, Avv. Giuseppe Pitaro.
Vibo Valentia sarà, pertanto, il primo comune capoluogo di provincia a fallire nel 2013 e il secondo per debiti dopo Detroit, seppur la differenza è sproporzionata (400 milioni di dollari, oltre ai 20 miliardi di obbligazioni, rispetto ai 15milioni di Vibo).
Il Comune dovrà dichiarare lo stato di dissesto, nonostante il fatto che la Cassa Depositi e Prestiti, in ottemperanza al dettato del D.L. 35/2013, Salva- imprese, gli avesse concesso un’anticipazione di cassa pari a quasi i tre quarti del suo debito complessivo.
Il Consiglio di Stato, con una decisione pesante, le cui conseguenze si ripercuoteranno sull’intera cittadinanza, ha ritenuto inappellabile il ritardo dell’approvazione del piano di riequilibrio da parte del Comune di Vibo, dovuto al fatto che nelle more della redazione del piano è entrato in vigore il d.l. 35/2013 e il conseguente obbligo per tutti gli Amministratori di Comuni e Provincie, dai bilanci in negativo, di richiedere l’anticipazione di cassa alla C.D.P. e di modificare l’eventuale piano di riequilibrio.
Il Consiglio di Stato ha interpretato la nota di diffida prefettizia al Comune a dichiarare lo stato di dissesto come “atto dovuto meramente esecutivo dell’accertamento compiuto dalla Sezione Controllo regionale della Corte dei Conti” , svuotando, pertanto, ogni ruolo di sindacabilità, nonostante le pronunce contrarie ed espansive della propria giurisdizione dei TAR.
Infatti, la diffida del Prefetto, atto finale del procedimento istruttorio affidato alla Corte dei Conti, costituisce in ogni caso, un atto amministrativo emanato sulla base del procedimento istruttorio avviato dalla sezione Regionale di Controllo, non giurisdizionale, della Corte dei Conti.
La deliberazione della sezione di controllo costituisce, comunque, atto presupposto della diffida prefettizia.
In tal senso il TAR Palermo si era già pronunciato affermando che : “L’attività dispiegata dalla Sezione Regionale di Controllo della Corte dei Conti, ancorché qualificata sotto generali profili dalla insindacabilità delle pronunce o determinazioni di controllo, in ragione della natura dello stesso quale funzione imparziale estranea all’apparato amministrativo, si inserisce comunque nel contesto della funzione amministrativa preordinata alla eventuale dichiarazione di dissesto ex art. 244 T.U.E.L. Il completamento e l’effettiva determinazione procedimentale affidati ad autorità amministrativa impediscono, invero, di qualificare come giurisdizionale e come assolutamente insindacabile l’attività resa nella specifica vicenda dalla predetta Sezione Regionale non potendosi concepire la relativa funzione come idonea per forza propria di per sé all’innovazione dell’universo giuridico disposta da organo in posizione terza e imparziale; è infatti propria della funzione giurisdizionale, la capacità dell’atto che ne sancisca il compimento alla piena realizzazione della modificazione, alla quale l’intera sequenza è preordinata; tali considerazioni consentono di affermare che la regola dell’insindacabilità degli atti di controllo non trova applicazione in relazione agli esiti della previa verifica delle condizioni e dei presupposti di esistenza del potere di controllo esercitato e, quindi, allorché si ponga la “ questione di interpretazione della norma vigente” alla stregua della quale tale verifica deve essere condotta. In tali casi, infatti, non vengono in rilievo le ragioni connesse alla natura del controllo quale funzione imparziale, idonee a giustificare la sottrazione degli atti al sindacato giurisdizionale e di conseguenza si rispandono i principi generali dell’ordinamento tra cui quello della tutela delle situazioni giuridiche nell’ordinario riparto delle competenza sancito dalla costituzione. In definitiva l’attività in questione assume valenza ENDOPROCEDIMENTALE ai fini della declaratoria di dissesto ed ISTRUTTORIA per gli eventuali giudizi di responsabilità” (TAR Palermo, decreto Presidenziale, n. 19/2013)
In senso opposto, ora, il Consiglio di Stato ha negato la propria giurisdizione sull’atto prefettizio ed ha statuito “che l’ineludibilità del dissesto non è intaccata dal fatto che nel frattempo il Comune abbia chiesto e ottenuto la “anticipazione di liquidità” di cui al sopravvenuto decreto legge n. 35/2013, art. 1, commi 13 e ss., in quanto tale anticipazione non elimina né sostituisce le misure di riequilibrio cui il Comune era ed è tenuto entro un termine perentorio.”
Nessuna deroga, dunque, è stata concessa dal Consiglio di Stato che ha continuato dicendo “ che d’altra parte la dichiarazione del dissesto non impedisce che l’anticipazione , una volta validamente concessa, rimanga acquisita al Comune”, dimenticando, però, il fatto che la massa passiva dell’ente, una volta dichiarato il dissesto finanziario, diviene di competenza della Commissione Straordinaria di Liquidazione che è abilitata a negoziare il debito al ribasso e che il d.l. 35/2013 prevede anticipazioni di liquidità, per i comuni in dissesto, limitate esclusivamente ai debiti certi, liquidi ed esigibili al 31/12/2012 e amministrati dagli organi ordinari e non dalla Commissione Liquidatrice.
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