Si legga anche:
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La responsabilità civile della P.A.: fondamento, natura, colpa
I fatti ad oggetto del giudizio
Il giudice di primo grado si è concentrato in particolare sul profilo dell’imputabilità a colpa dell’Amministrazione nel ritardo con il quale era stato concluso il procedimento finalizzato al rilascio dell’autorizzazione unica.
Il ricorrente si è limitata ad invocare la presunzione di colpevolezza fondata sul tempo decorso dalla presentazione dell’istanza alla conclusione del procedimento.
In realtà, il tribunale ha rammentato l’elaborazione giurisprudenziale che riconosce l’esistenza di una presunzione di colpevolezza in caso di ritardata emanazione del provvedimento richiesto rispetto ai termini previsti dalla legge, ma ha richiamato la giurisprudenza secondo cui tale presunzione “non può essere fondata soltanto sul dato oggettivo del procrastinarsi del procedimento amministrativo”, così Cons. Stato, sez. IV, 2 gennaio 2019, n. 20; V, 18 giugno 2018, n. 3730; IV, 10 giugno 2014, n. 2964. Il giudice di primo grado ha correttamente precisato che la presunzione può essere vinta dando la prova di fatti e condotte non imputabili all’amministrazione comportanti la dilatazione dei tempi procedimentali, per giungere, infine, a dire che l’Amministrazione aveva fornito siffatta prova allegando che v’erano state sin da subito necessità di integrazioni documentali all’istanza.
La sentenza
Per censurare la sentenza di primo grado l’appellante avrebbe dovuto dar prova del fatto che le circostanze riferite dal giudice di primo grado quali eventi comportanti l’allungamento dei tempi erano riconducibili ad illegittime richieste dell’amministrazione ovvero ad inutili aggravamenti procedimentali o, comunque, ad inerzia della stessa amministrazione regionale ovvero che le stesse non avevano inciso sui tempi del procedimento, come ritenuto dal giudice, dimodoché si potesse continuare a riferire alla sola colpa all’Amministrazione per la durata eccessiva del procedimento amministrativo.
Tuttavia, tale argomentazione non è sostenuta dall’appellante, pertanto, il giudice di appello non può esaminare la sentenza in tale ottica, in quanto viene genericamente ribadita l’esistenza di una presunzione di colpevolezza, e ritenuto sufficiente allegare il ritardo con il quale il provvedimento era stato adottato per dimostrare la colpa dell’amministrazione.
Pertanto, il Consiglio di Stato, sentenza n.7428 del 8/11/2021 giunge ad affermare che se anche il giudice di primo grado avesse prioritariamente vagliato la fondatezza dei vizi di legittimità – per verificare l’ingiustizia del danno lamentato – e, per ipotesi, li avesse detti fondati, in ogni caso, alla società non sarebbe stato riconosciuto il risarcimento del danno avendo l’amministrazione regionale dimostrato che il ritardo nella conclusione del procedimento non le era imputabile (e non avendo la società validamente contestato tale assunto né in primo grado né nel presente giudizio di appello).
Il danno da ritardo
Il danno da ritardo può concretizzarsi in due diverse ipotesi, a seconda che il pregiudizio derivi dal ritardo con cui la pubblica amministrazione ha emanato il provvedimento favorevole richiesto o dal fatto che l’amministrazione non emani alcun provvedimento ovvero emani in ritardo un provvedimento negativo, pur se legittimo.
Il danno da mero ritardo, si identifica come il danno derivante al privato dalla lesione dell’interesse procedimentale alla tempestiva definizione del procedimento nel termine previsto ai sensi dell’art. 2 della L. 241/1990, indipendentemente dalla lesione del bene finale della vita al cui conseguimento era rivolta l’istanza non tempestivamente riscontrata.
Sul punto si sono registrati due orientamenti. L’orientamento prevalente afferma che “il risarcimento del danno da ritardo non può essere avulso da una valutazione concernente l’effettiva spettanza del bene della vita anelato dal privato, con la conseguenza che il presupposto dell’ingiustizia del danno, richiesto ai fini del risarcimento, si ritiene integrato soltanto ove risulti soddisfatto l’interesse pretensivo fatto valere dal privato. Secondo altro orientamento talune disposizioni inducono a ritenere che il tempo assurga a bene della vita autonomo, la cui lesione è ex se rilevante ai fini risarcitori. Si pensi all’art. 2 bis della l. 241/1990 il quale avrebbe riguardo anche alla tutela del bene della vita costituito dal tempo dell’azione amministrativa, avente natura sostanziale, autonoma e distinta dalla correlata situazione di interesse legittimo, con conseguente risarcibilità del danno da mero ritardo. Nel primo caso il pregiudizio deriva dall’adozione tardiva del provvedimento richiesto; nella seconda ipotesi il danno promana dalla mera inerzia della p.a. o dalla tardiva adozione di un provvedimento che nega definitivamente il bene della vita richiesto dal privato.
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Giuseppe Cassano, Nicola Posteraro (a cura di) | 2019 Maggioli Editore
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