La mancata previsione di un corrispettivo non può assumere un valore in sé dirimente nell’ambito del giudizio di vessatorietà, il quale deve essere, invece, condotto a ben più largo spettro, specie ove ci si confronti con una fattispecie di squilibrio presunto. Lo ha stabilito la VI Sezione del Consiglio di Stato nella sentenza dell’11 febbraio 2025, n. 1125. Il “Formulario commentato del nuovo processo civile – Aggiornato ai correttivi Cartabia e mediazione” di Lucilla Nigro offre un supporto pratico e operativo per affrontare ogni fase del contenzioso civile
Indice
- 1. La vessatorietà delle clausole accertata da AGCM
- 2. Per il giudice la vessatorietà prescinde dalla gratuità
- 2. Secondo Apple la gratuità del servizio vince la presunzione di vessatorietà
- 3. Il giudizio di vessatorietà deve essere condotto a largo spettro
- 4. Lo squilibrio tra professionista e consumatore
- 5. Non rileva la durata indeterminata del servizio
1. La vessatorietà delle clausole accertata da AGCM
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato aveva accertato la vessatorietà di talune clausole predisposte da Apple e contenute nelle condizioni generali del contratto relativo al servizio iCloud, offerto in versione free per consentire di archiviare contenuti personali sui server della predetta società e di accedere a essi da tutti i devices compatibili in loro dotazione. L’Autorità aveva ritenuto che siano idonee a creare uno squilibrio tra i diritti delle controparti contrattuali le clausole del contratto iCloud relative:
- al diritto di Apple di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali del servizio;
- al servizio di back up;
- alle limitazioni di responsabilità e le esclusioni di garanzia contrattuali.
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2. Per il giudice la vessatorietà prescinde dalla gratuità
Apple ha impugnato dinanzi al T.A.R. chiedendo l’annullamento il suddetto provvedimento. Anche l’appello è stato ritenuto infondato. Apple, tra gli altri motivi, ha lamentato che relativamente alla clausola in tema di modifiche unilaterali al contratto, il T.A.R. ha motivato la pronuncia di rigetto con riguardo al caso di servizio iCloud a titolo gratuito sulla base del solo argomento che la natura gratuita del servizio “non implica l’esclusione dell’applicazione della disciplina delle clausole vessatorie” e che l’offerta del servizio gratuito è sorretta da “un interesse economico” del professionista. Detta statuizione sarebbe errata sotto una pluralità di aspetti in quanto il T.A.R. e l’A.G.C.M. avrebbero omesso di considerare la gratuità del servizio tra gli elementi da considerare e di cui “tenere conto” nell’ambito della valutazione richiesta dalla legge onde determinare se sussista o meno nella specie un “significativo squilibrio”.
2. Secondo Apple la gratuità del servizio vince la presunzione di vessatorietà
Per Apple il carattere free del servizio consentirebbe di vincere la presunzione di vessatorietà posta dall’art. 33 del Codice del consumo attraverso la valutazione di altri elementi, incluso il rapporto qualità/prezzo del servizio espresso nelle altre clausole dello stesso contratto, come richiesto dall’art. 34, comma 1. Ciò poiché, nel caso del servizio iCloud free offerto da Apple, tale rapporto sarebbe nel senso che il sacrificio/prezzo richiesto all’utente è pari a zero, mentre al contempo lo stesso gode della fruizione di un servizio di alta qualità sicché l’ipotetica bilancia di valutazione del rapporto contrattuale sarebbe visibilmente squilibrata a vantaggio dell’utente, indipendentemente dalle ragioni che hanno indotto Apple a fornire il servizio gratuitamente. È stato osservato che il considerando 20 della Direttiva 93/13/CE include proprio il rapporto qualità/prezzo tra i parametri di valutazione della vessatorietà della clausola.
La difesa di Apple deduce anche che il T.A.R. avrebbe mancato di prendere in considerazione il profilo relativo alla durata indeterminata del servizio gratuito.
3. Il giudizio di vessatorietà deve essere condotto a largo spettro
Nel rigettare il gravame, il Consiglio di Stato ha osservato che, quanto all’ipotesi di servizio iCloud prestato in modo gratuito, lo squilibrio che ha a mente l’art. 33 è di tipo “normativo” (tra “diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”) e non squisitamente “economico”. Ne discende che la mancata previsione di un corrispettivo non può assumere un valore in sé dirimente nell’ambito del giudizio di vessatorietà, il quale deve essere, invece, condotto a ben più largo spettro, specie ove, come accade nel caso di specie, ci si confronti con una fattispecie di squilibrio presunto.
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4. Lo squilibrio tra professionista e consumatore
In relazione alla vicenda, per i giudici non si può obliterare, da un lato, che la prestazione del servizio a titolo gratuito da parte di Apple risulta legata a un interesse giuridicamente apprezzabile e a matrice imprenditoriale (cioè, la fidelizzazione del cliente ai prodotti a suo marchio nonché la possibilità di condurre politiche di marketing del tipo “freemium”). Da altra parte, è innegabile la sussistenza di un interesse parimenti apprezzabile del consumatore a conservare un determinato regime giuridico che impatta su un servizio di sua utilità. In questa ottica, per gli stessi giudici, non ci si può esimere dall’osservare che la portata dello ius variandi disegnata dalla clausola in questione è amplissima (praticamente illimitata) e slegata dalla sussistenza di presupposti predeterminati (acausale). Ciò determina uno squilibrio profondo tra la posizione del professionista (alla cui piena disponibilità è rimesso il frammento del regolamento contrattuale relativo al servizio di che trattasi) e quella del consumatore (che versa in condizione di soggezione rispetto alle decisioni di controparte). Il rapporto qualità-prezzo (che sarebbe in tesi favorevole al consumatore in ragione della gratuità) non tiene a mente la circostanza che sul piano della “qualità” del servizio assume rilievo anche la stabilità delle condizioni a cui è reso il servizio (condizioni da cui dipende, in misura non trascurabile, la soddisfazione dell’interesse personale del consumatore).
5. Non rileva la durata indeterminata del servizio
Non è dirimente la durata indeterminata del servizio reso a titolo gratuito. Il secondo capoverso del paragrafo 2, lett. b), dell’Allegato alla Direttiva 93/13/CE si pone in termini neutri (“la lettera j) non si oppone…”) rispetto al giudizio di vessatorietà e non si attaglia alla clausola che viene in rilievo posto che quest’ultima:
- stabilisce sì un termine di preavviso della durata, non manifestamente irragionevole, di trenta giorni ma prevede anche deroghe assai ampie allo stesso;
- riconosce al consumatore un diritto di recesso ma questo non ha portata generale, risultando comunque limitato all’ipotesi di “modifiche materiali sfavorevoli al Servizio o ai termini di utilizzo dello stesso”.
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