La Consulta dichiara incostituzionale l’art. 2-quinquies del DL 151/2008

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La Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2-quinquies, comma 1, lettera a), del decreto-legge 2 ottobre 2008, n. 151: vediamo in che modo. Volume consigliato per approfondire: Formulario Annotato del Processo Penale dopo la Riforma Cartabia

Corte costituzionale -sentenza n. 122 del 21-05-2024

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Indice

1. La questione: l’incostituzionalità dell’art. 2-quinquies, comma 1, lettera a), del decreto-legge 2 ottobre 2008, n. 151


La Corte di Appello di Napoli sollevava, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2-quinquies, comma 1, lettera a), del decreto-legge 2 ottobre 2008, n. 151 (Misure urgenti in materia di prevenzione e accertamento di reati, di contrasto alla criminalità organizzata e all’immigrazione clandestina), inserito dalla legge di conversione 28 novembre 2008, n. 186, e successivamente modificato dall’art. 2, comma 21, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica).
In particolare, il giudice a quo reputava come la disposizione censurata fosse irragionevole in quanto essa, a suo avviso, poggerebbe su una massima d’esperienza che potrebbe essere agevolmente contraddetta e, per altro verso, rischierebbe di pregiudicare proprio coloro che coraggiosamente si siano dissociati dalle famiglie d’origine e per questo abbiano perso un congiunto, tenuto conto altresì del fatto che la finalità di evitare che le risorse pubbliche siano distolte a vantaggio di persone legate alla criminalità organizzata sarebbe già soddisfatta con il requisito dell’estraneità a tali ambienti.
Ciò posto, il giudice rimettente prospettava altresì un contrasto con l’art. 3 Cost. anche in riferimento alla violazione del principio di eguaglianza visto che la «rigida previsione» dettata dalla legge, peraltro applicabile solo ai superstiti e non al «soggetto direttamente danneggiato», per la Corte territoriale partenopea, implicherebbe «una vera e propria discriminazione fondata esclusivamente sull’origine familiare».
Nel precludere ogni prova contraria, la disposizione censurata, sempre per il giudice a quo, lederebbe oltre tutto il diritto di difesa tutelato dall’art. 24 Cost.. Volume consigliato per approfondire: Formulario Annotato del Processo Penale dopo la Riforma Cartabia

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2. La soluzione adottata dalla Consulta


La Corte costituzionale reputava le questioni suesposte fondate.
In particolare, il Giudice delle leggi, prima di enunciare nel dettaglio le ragioni che l’avevano indotto ad addivenire a siffatto esito decisorio, osservava innanzitutto che il legislatore, con la legge 20 ottobre 1990, n. 302 (Norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata), ha riconosciuto un’elargizione, oggi determinata nell’ammontare complessivo di euro 200.000,00 (art. 4), ai superstiti di chi perda la vita per effetto di ferite o lesioni riportate in conseguenza dello svolgersi di atti di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico o di fatti delittuosi commessi per il perseguimento delle finalità delle associazioni mafiose.
L’importo è stato così ridefinito, per gli eventi successivi al primo gennaio 2003, dall’art. 2, comma 1, del decreto-legge 28 novembre 2003, n. 337 (Disposizioni urgenti in favore delle vittime militari e civili di attentati terroristici all’estero), convertito, con modificazioni, nella legge 24 dicembre 2003, n. 369, fermo restando che di tali provvidenze beneficiano i «componenti la famiglia» (art. 4, comma 1, della legge n. 302 del 1990) e, dopo i fratelli e le sorelle conviventi a carico, i «soggetti non parenti né affini, né legati da rapporto di coniugio, che risultino conviventi a carico della persona deceduta negli ultimi tre anni precedenti l’evento» e i «conviventi more uxorio» (art. 4, comma 2, della legge n. 302 del 1990).
Ad ogni modo, il coniuge di cittadinanza italiana o il convivente more uxorio e i parenti a carico entro il secondo grado di cittadinanza italiana possono optare per un assegno vitalizio personale, non reversibile, di ammontare diversamente graduato in ragione del numero dei beneficiari (art. 5 della legge n. 302 del 1990).
Concluso questo excursus normativo, i giudici di legittimità costituzionale facevano presente come le elargizioni e l’assegno vitalizio attuino la solidarietà della Repubblica per le persone colpite negli affetti più cari da episodi di mafia o terrorismo, rilevando al contempo che la finalità solidaristica che permea tali provvidenze è avvalorata dai criteri di attribuzione, svincolati «dalle condizioni economiche e dall’età del soggetto leso o dei soggetti beneficiari e dal diritto al risarcimento del danno agli stessi spettante nei confronti dei responsabili dei fatti delittuosi» (art. 10, comma 1, della legge n. 302 del 1990).
Spetta dunque, per la Corte, alla discrezionalità del legislatore il compito di individuare criteri selettivi appropriati, al fine di salvaguardare un impiego oculato delle risorse pubbliche, nel rispetto dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza, pietra angolare di quel patto tra lo Stato e i cittadini che le misure di sostegno intervengono a rinsaldare, fermo restando che, da un lato, la connotazione solidaristica delle prestazioni, pur se estranee alla garanzia delle condizioni minime di sussistenza, impone scelte rispettose della parità di trattamento e coerenti con la ratio ispiratrice della disciplina di favore prevista dalla legge, dall’altro, nella delimitazione della platea dei beneficiari, il legislatore ben può enucleare presunzioni assolute di indegnità, purché siano corroborate da massime d’esperienza plausibili e rispecchino l’id quod plerumque accidit.
Orbene, per la Consulta, da tali criteri si discosta, per molteplici ragioni, la disposizione censurata.
Difatti, sebbene la disciplina dettata dal d.l. n. 151 del 2008, come convertito, si prefigga di evitare che le limitate risorse dello Stato siano sviate dal sostegno delle vittime della mafia e del terrorismo e avvantaggino, per vie indirette, le stesse associazioni criminali che intendono contrastare e, dunque, la scelta legislativa, di prescrivere le verifiche più approfondite nell’attribuzione delle provvidenze, si correla a una finalità legittima e trae origine dalla considerazione che, nei circuiti criminali e nelle famiglie che attorno ad essi gravitano, sono capillari i legami di mutuo sostegno, di connivenza o di tacita condivisione, per la Corte costituzionale, la finalità de qua, pur legittima, è perseguita, tuttavia, con mezzi sproporzionati.
Nel dettaglio, ad avviso del Giudice delle leggi, la sproporzione in questione si apprezza sotto un duplice versante.
Anzitutto, la legge già prescrive requisiti tassativi e stringenti di meritevolezza.
L’art. 1, comma 2, lettera b), della legge n. 302 del 1990 sancisce il presupposto della totale estraneità della vittima diretta agli ambienti criminali.
L’art. 9-bis della legge n. 302 del 1990, introdotto dall’art. 1, comma 259, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), puntualizza che le condizioni di estraneità alla commissione degli atti terroristici o criminali e agli ambienti delinquenziali «sono richieste, per la concessione dei benefici previsti dalla presente legge, nei confronti di tutti i soggetti destinatari» e, dunque, non soltanto delle vittime dirette.
Al fine di fugare ogni dubbio e di scongiurare il rischio di interpretazioni elusive, il legislatore, con l’art. 2-quinquies, comma 1, lettera b), del d.l. n. 151 del 2008, come convertito, dopo aver introdotto la disposizione censurata nel presente giudizio, ha scelto di subordinare il riconoscimento delle provvidenze ai superstiti alla condizione che «il beneficiario risulti essere del tutto estraneo ad ambienti e rapporti delinquenziali, ovvero risulti, al tempo dell’evento, già dissociato dagli ambienti e dai rapporti delinquenziali cui partecipava».
È dunque immanente al sistema la necessità di una verifica rigorosa della radicale estraneità al contesto criminale, tenuto conto altresì del fatto l’estraneità non si esaurisce nella mera condizione di incensurato o, in negativo, nella mancanza di affiliazione alle consorterie criminali, ma postula, in positivo e in senso più pregnante, la prova di una condotta di vita antitetica al codice di comportamento delle organizzazioni malavitose.
Su chi rivendica elargizioni o assegni vitalizi grava quindi l’onere di dimostrare in modo persuasivo l’estraneità, che assurge a elemento costitutivo del diritto, e la carenza di una prova adeguata, per la Corte, ridonda a danno di chi reclama le provvidenze, fermo restando che, da una parte, l’assetto delineato dalla legge è già presidiato da accorgimenti e da cautele, che convergono nella necessità di una disamina accurata e conducono, ove permangano dubbi, al rigetto delle domande per difetto di prova dei presupposti normativi, dall’altra, l’esigenza di indirizzare la solidarietà dello Stato verso le persone meritevoli è già assicurata in modo efficace dalla prescrizione di una penetrante verifica giudiziale delle condizioni tipizzate dalla legge e dal rigoroso onere probatorio imposto al beneficiario.
Chiarita tale prima criticità di ordine costituzionale, in secondo luogo, la Consulta rilevava come la presunzione fosse viziata da un’irragionevolezza intrinseca.
La legge conferisce rilievo a rapporti di parentela e di affinità fino al quarto grado, che includono una vasta categoria di persone e si caratterizzano per una diversa, talvolta più tenue, intensità del vincolo familiare.
Anche da un punto di vista oggettivo, la presunzione assoluta censurata contempla requisiti di particolare ampiezza: è sufficiente che il parente o l’affine entro il quarto grado sia sottoposto a un procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione o che a tale misura sia già in concreto assoggettato o che, in alternativa, sia coinvolto in un procedimento penale per uno dei delitti di cui all’art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale.
Tale catalogo, che si è arricchito nel volgere degli anni, annovera fattispecie incriminatrici contraddistinte da un disvalore eterogeneo e disancorate da un comune riferimento al contesto della criminalità terroristica o mafiosa.
La latitudine del meccanismo presuntivo consente, pertanto, per la Corte costituzionale, di ipotizzare in modo agevole che, al rapporto di parentela o di affinità fino al quarto grado, possa non corrispondere alcuna contiguità al circuito criminale.
Nel tempo presente, invero, anche i vincoli familiari si allentano e non è infrequente che si diradino i rapporti di prossimità che possono dare consistenza, anche in una cerchia più estesa di parenti e affini, alla presunzione assoluta sottoposta all’esame della Consulta nel caso di specie.
Ebbene, per i giudici di legittimità costituzionale, a tale profilo di irragionevolezza, che smentisce la rispondenza della presunzione a un solido fondamento empirico, si associa un ulteriore elemento di palese contraddittorietà.
La condizione ostativa, nella sua assolutezza, in effetti, pregiudica proprio coloro che si siano dissociati dal contesto familiare e, per tale scelta di vita, abbiano sperimentato l’isolamento e perdite dolorose.
Così strutturata, la presunzione assoluta si configura quindi, per la Corte, come uno stigma per l’appartenenza a un determinato nucleo familiare, anche quando non se ne condividano valori e stili di vita.
Del resto, sempre ad avviso della Consulta, la presunzione assoluta vìola anche il diritto di agire e difendersi in giudizio (art. 24 Cost.), impedendo di dimostrare al soggetto interessato, con tutte le garanzie del giusto processo, di meritare appieno i benefici che lo Stato accorda.
In effetti, è la dialettica del processo, con il dispiegarsi del contraddittorio, che consente di ricostruire in maniera completa la storia personale e familiare delle parti e di delineare, al di là di rigidi e penalizzanti meccanismi presuntivi, la specificità di ogni vicenda.
In un giudizio che coinvolge le vite dei singoli e gli stessi valori fondamentali della convivenza civile, emerge difatti nitida la necessità di un accertamento esaustivo, che dissipi le ombre e le incertezze e restituisca alla collettività un quadro circostanziato, senza imbrigliare nella rigidità delle presunzioni assolute la ricchezza, multiforme e contraddittoria, del reale.
Sarà dunque il ponderato apprezzamento del giudice a riscontrare, con il metro esigente che la normativa impone, la meritevolezza di chi richiede i benefici, alla stregua delle condizioni fissate, in termini generali, dall’art. 2-quinquies, comma 1, lettera b), del d.l. n. 151 del 2008, come convertito, fermo restando che, nell’apprezzamento in concreto che il giudice è chiamato a compiere, i vincoli di parentela o di affinità richiedono un vaglio ancor più incisivo sull’assenza di ogni contatto con ambienti delinquenziali, sulla scelta di recidere i legami con la famiglia di appartenenza, su quell’estraneità che presuppone, in termini più netti e radicali, una condotta di vita incompatibile con le logiche e le gerarchie di valori invalse nel mondo criminale.
La Corte costituzionale, di conseguenza, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 2-quinquies, comma 1, lettera a), del decreto-legge 2 ottobre 2008, n. 151 (Misure urgenti in materia di prevenzione e accertamento di reati, di contrasto alla criminalità organizzata e all’immigrazione clandestina), inserito dalla legge di conversione 28 novembre 2008, n. 186, e successivamente modificato dall’art. 2, comma 21, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), limitatamente alle parole «parente o affine entro il quarto grado».

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3. Conclusione


Fermo restando che, come è noto, l’art. 2-quinquies, comma 1, lettera a), del decreto-legge 2 ottobre 2008, n. 151, convertito nella legge, 28 novembre 2008, n. 186, dispone che, ferme “le condizioni stabilite dall’articolo 4 della legge 20 ottobre 1990, n. 302, e successive modificazioni, i benefici previsti per i superstiti sono concessi a condizione che: a) il beneficiario non risulti coniuge, convivente, parente o affine entro il quarto grado di soggetti nei cui confronti risulti in corso un procedimento per l’applicazione o sia applicata una misura di prevenzione di cui alla legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni, ovvero di soggetti nei cui confronti risulti in corso un procedimento penale per uno dei delitti di cui all’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale”, per effetto di tale pronuncia, cade la condizione ostativa, richiamata da questo comma, ai fini dei benefici previsti per i superstiti, nei confronti  del parente o dell’affine entro il quarto grado del beneficiario di soggetti nei cui confronti risulti in corso un procedimento per l’applicazione o sia applicata una misura di prevenzione di cui alla legge 31 maggio 1965, n. 575, e successive modificazioni.
Quindi, alla luce di tale pronunciamento, colui, che può usufruire dei benefici riconosciuti dalla normativa soprarichiamata dalla stessa Corte costituzionale nella decisione qui in commento per i superstiti, non perde siffatta prerogativa solo perché un suo parente o un suo affine entro il quarto grado sia sottoposto ad una misura di prevenzione tra quelle attualmente prevedute dalla legge 31 maggio 1965, n. 575.
Questa, dunque, rappresenta la novità che connota la decisione in esame.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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