Incostituzionale il divieto di rilasciare nuove autorizzazioni per il servizio di NCC fino alla completa operatività del registro informatico nazionale delle imprese titolari di licenza taxi e di autorizzazione NCC, che ha consentito, per oltre un quinquennio, “all’autorità amministrativa di alzare una barriera all’ingresso dei nuovi operatori”, compromettendo “la possibilità di incrementare la già carente offerta degli autoservizi pubblici non di linea” (sentenza n. 137 del 19 luglio 2024).
Indice
1. La norma dichiarata incostituzionale
La Corte costituzionale, accogliendo le questioni che aveva sollevato davanti a sé, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’articolo 10-bis, comma 6, del decreto-legge n. 135/2018, recante “Disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione”, convertito, con modificazioni, nella legge n. 12/2019.
2. Il registro informatico
In via preliminare, la pronuncia ha puntualizzato che il decreto MIT n. 203/2024, dove si stabilisce la “piena operatività” del registro informatico a decorrere da 180 giorni dalla sua pubblicazione, non ha alcuna incidenza sul giudizio di cui alla pronuncia n. 137, dal momento che le censure sono state prospettate sulla disposizione legislativa in ragione della relativa “struttura”, a prescindere dalle evenienze di fatto, come anche dalle circostanze contingenti attinenti alla sua concreta operatività.
3. I rinvii
E ciò in quanto è proprio la configurazione della disposizione censurata che ha consentito all’autorità amministrativa di bloccare l’ingresso dei nuovi operatori nel mercato del NCC semplicemente rinviando, col succedersi dei decreti (ovvero con la loro emanazione e la loro successiva sospensione), la piena operatività del registro informatico, come del resto ha dimostrato la concreta vicenda storica.
4. Contrasto con la concorrenza
Al contempo la questione è stata ritenuta fondata con riferimento all’art. 41, primo e secondo comma, Costituzione: la norma censurata ha consentito e consente all’autorità amministrativa di erigere una indebita barriera all’entrata: il che preclude la concorrenza per il mercato, in contrasto con la libertà garantita dal primo comma dell’art. 41 Cost. (sentenze n. 8/2024, n. 171 e n. 117/2022 e n. 7/2021), in un settore già da tempo caratterizzato, come più volte ha rimarcato l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (da ultimo, mediante segnalazione del 3 novembre 2023), “da una inadeguata apertura all’ingresso di nuovi soggetti” (sentenza n. 8/2024). Per l’effetto, è restata inascoltata la preoccupazione di detta AGCM preordinata a evidenziare che “l’ampliamento dell’offerta dei servizi pubblici non di linea risponde all’esigenza di far fronte ad una domanda elevata e ampiamente insoddisfatta, soprattutto nelle aree metropolitane, di regola caratterizzate da maggiore densità di traffico e dall’incapacità del trasporto pubblico di linea e del servizio taxi a coprire interamente i bisogni di mobilità della popolazione”.
5. Pregiudizi alla libertà di circolazione
La norma censurata ha, in definitiva, cagionato, in modo sproporzionato, un grave pregiudizio all’interesse della cittadinanza e dell’intera collettività. I servizi di autotrasporto non di linea, infatti, concorrono a dare effettività alla libertà di circolazione, che è la condizione per l’esercizio di altri diritti, per cui la forte carenza dell’offerta, che colloca l’Italia fra i Paesi europei meno attrezzati al riguardo, generata dal potere conformativo pubblico ha indebitamente compromesso non solo il benessere del consumatore, bensì qualcosa di più ampio, che attiene all’effettività nel godimento di alcuni diritti costituzionali, oltre che all’interesse allo sviluppo economico del Paese.
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