Gli elementi costitutivi del reato di usura
Riflesso della diversa concezione della libertà economica da parte dello Stato e della collettività, l’usura (1), a prescindere da ogni valuta- zione sotto il profilo “morale” o “religioso” (2), non sempre è stata oggetto di un divieto espresso da una norma penale (3) e l’etimologia del termine ricorda come con il termine usurae (4), nel diritto romano, si intendesse il legittimo corrispettivo per l’utilizzo di una cosa mobile o denaro altrui: ciò fino a quando interessi troppo elevati non furono avvertiti come intollerabili da determinarne una limitazione come, ad esempio, fino alla riforma di Giustiniano, con le “usurae centesimae” fissate nell’1% mensile. Tralasciando di ripercorrere le alterne fasi sto- riche in cui l’usura è stata o meno oggetto di divieto (5), ci si limita a ricordare che, assente dal codice Zanardelli, la fattispecie veniva inse- rita nel codice Rocco. All’art. 644 c.p., si prevedeva la punizione di chiunque, approfittando dello stato di bisogno, si facesse promettere o dare interessi o altri vantaggi usurari in corrispettivo di una presta- zione di denaro o di altra cosa mobile (6). Sotto il profilo civilistico, la contrarietà all’ordinamento degli interessi usurari veniva sancita dall’art. 1815, secondo comma, cod. civ. il cui testo (fino all’entrata in vigore della legge 7 marzo 1996, n. 108) prevedeva la nullità parziale della clausola con la quale fossero stati previsti interessi usurari e la conversione entro il tasso legale (7).
Deputati a partire dal 1994 e concluso con la singolarità di una legge varata a Camere sciolte (9), con la legge 7 marzo 1996, n. 108, si è introdotto un sistema che avrebbe dovuto agevolare l’interprete (oltre che, ovviamente, l’Autorità giudiziaria) nel qualificare come “usurari” gli interessi pattuiti o corrisposti e, prima ancora, consentire, al sogget- to attivo, ossia, all’agente, di essere a conoscenza della superiorità dell’interesse preteso o fattosi corrispondere rispetto a quello massimo consentito dalla legge.
La fattispecie residuale di usura (a prescindere dal superamento del “tasso soglia”)
Il legislatore della legge 108/1996, nell’introdurre, come abbiamo visto, un meccanismo (che sarebbe dovuto essere) oggettivo e che avrebbe dovuto agevolare il confronto tra il tasso effettivamente fattosi promettere o applicato dall’usuraio e quello massimo consentito dalla legge, ha introdotto, nella seconda parte dell’art. 644 del codice penale, un’ulteriore fattispecie (residuale) di usura.
Dopo avere previsto che “La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari”, il terzo comma dell’art. 644 cod. pen. continua disponendo che “Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all’opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria”.
È evidente, dunque, che affinché sia integrato il delitto non sempre è indispensabile il superamento del tasso soglia potendo integrarsi ugualmente il reato qualora, in presenza di accertata difficoltà economica o finanziaria della vittima, l’agente si faccia promettere o dare interessi o altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio per operazioni similari, risultano comunque “sproporzionati” rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità o all’opera di mediazione.
È agevole comprendere che con tale previsione si è inteso, oltretutto, evitare che il divieto di interessi usurari potesse eludersi attraverso, ad esempio, la pretesa o corresponsione di interessi – apparentemente – inferiori al tasso soglia o di altri vantaggi congiuntamente, però, ad altre forme di corrispettivo o di utilità per l’usuraio. Si pensi, ad esempio, alla pretesa o corresponsione di interessi apparentemente leciti ed inferiori al tasso massimo consentito dalla legge e al rilascio di garanzie ipotecarie o di pegno su beni mobili o di procure a vendere.
Tale norma residuale si ritiene di fondamentale importanza, come vedremo, anche al fine di fornire un ulteriore elemento probatorio in casi in cui la difesa del banchiere o, comunque, del funzionario o della banca è fondata sull’errore – o meglio, sulla mancanza del dolo – a causa della mancata inclusione di commissioni, interessi moratori o altre voci di costo nelle Istruzioni della Banca d’Italia per la rilevazio- ne del TEGM.
È chiaro, infatti, che la prova delle condizioni di difficoltà economica o finanziaria della vittima congiuntamente a quella di interessi e altri vantaggi sproporzionati in considerazione delle con- crete modalità del fatto e del tasso medio per operazioni similari può essere utile a superare le difficoltà finora registratesi nel ritenere integrata la fattispecie del reato di usura.
Il sequestro penale di titoli rappresentativi di credito “usurario”
Il pericolo che la disponibilità di un titolo avente ad oggetto una pattuizione usuraria (si pensi ad un contratto di mutuo o di apertura di credito in conto corrente o di leasing o, ancora, a cambiali) possa aggravare le conseguenze del reato o agevolarne altri – pregiudicando magari il patrimonio della vittima o i suoi beni – può legittimare l’e- missione del sequestro preventivo, disciplinato, nel codice di procedura penale, nel libro IV, capo II, sotto il titolo II “misure cautelari reali” (92).
L’art. 321 cod. proc. pen., al primo comma, prevede tale misura “quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati (…)” .
Il sequestro – che non può essere richiesto né dalla persona offesa né dalla parte civile, le quali possono limitarsi a sollecitarne la richiesta – è disposto con decreto motivato del giudice competente a pronunciarsi nel merito ossia, prima dell’esercizio dell’azione penale, il giudice per le indagini preliminari sempre, però, su richiesta del pubblico ministero.
Laddove una determinata situazione di urgenza non possa consentire di attendere il decreto del giudice, l’art. 321, comma 3 bis, prevede la possibilità che al sequestro procedano, anche senza attendere il decreto del giudice, il pubblico ministero o gli ufficiali di polizia giudiziaria (93). In tali ipotesi, il pubblico ministero “(…) se non dispone la restituzione delle cose sequestrate, richiede al giudice la convalida e l’emissione del decreto previsto dal comma 1 entro quarantotto ore dal sequestro, se disposto dallo stesso pubblico ministero, o dalla ricezione del verbale, se il sequestro è stato eseguito di iniziativa dalla polizia giudiziaria”. In caso di inosservanza dei suddetti termini, la misura cautelare perde efficacia.
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