Continuazione tra reati ex art. 617 cod. proc. pen.: inapplicabile in caso di reiterazione

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La Corte di Cassazione, con sentenza n. 30612 del 25 luglio 2024, ha fornito chiarimenti in merito all’istituto della continuazione tra reati.

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Corte di Cassazione – Sez. I Pen. – Sent. n. 30612 del 25/07/2024

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Indice

1. I fatti

Il Tribunale di Matera, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza dell’imputato, finalizzata a ottenere il riconoscimento della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen., in relazione ai reati giudicati dalle due sentenze irrevocabili presupposte, ritenendo ostativa all’applicazione della disciplina invocata l’eterogeneità esecutiva che connotava le condotte illecite oggetto di vaglio e l’ampiezza dell’arco temporale nel quale tali comportamenti si erano concretizzati.
In particolare, i reati riguardavano il delitto di cui all’art. 648, secondo comma, cod. pen. e i delitti di cui agli artt. 95 d.P.R. 30 maggio 2022, n. 115, 476 e 482, cod. pen.
Avverso tale ordinanza è stato proposto ricorso per Cassazione deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento agli artt. 81, secondo comma, cod. pen. e 671 cod. proc. pen., conseguenti all’omesso riconoscimento della continuazione in sede esecutiva.
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2. Continuazione tra reati e reiterazione: l’analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione, nel dichiarare infondato il ricorso, osserva che consolidata giurisprudenza ha individuato gli elementi da cui desumere l’ideazione unitaria da parte del singolo agente di una pluralità di condotte illecite, affermando che “le violazioni dedotte ai fini dell’applicazione della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen. devono costituire parte integrante di un unico programma criminoso, che deve essere deliberato per conseguire un determinato fine, per il quale si richiede l’originaria progettazione di una serie ben individuata di reati, già concepiti nelle loro caratteristiche essenziali“.
L’unicità del programma criminoso, a sua volta, non deve essere assimilata a una concezione esistenziale fondata sulle attività illecite del condannato, perché in tal caso “la reiterazione della condotta criminosa è espressione di un programma di vita improntata al crimine e che dal crimine intende trarre sostentamento e, pertanto, penalizzata da istituti quali la recidiva, l’abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza a delinquere, secondo un diverso ed opposto parametro rispetto a quello sotteso all’istituto della continuazione, preordinato al favor rei“.
La Suprema Corte chiarisce che, in questa cornice, nel caso di specie ostavano all’applicazione della disciplina della continuazione le modalità con cui le condotte criminose sono state eseguite e l’ampiezza dell’arco temporale nel quale tali comportamenti si erano concretizzati.

3. La decisione della Cassazione

Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione ha osservato come le condotte delinquenziali del condannato erano connotate da eterogeneità ed esprimevano caratteristiche comportamentali incompatibili con la preordinazione criminosa invocata dal suo difensore.
Viene sottolineato, inoltre, che la reiterazione di condotte illecite non può essere espressione di un programma di vita improntato al crimine e che dallo stesso intende trarre sostentamento, analogamente a quanto riscontrabile con riferimento alla posizione del condannato, venendo disciplinata da istituti differenti dalla continuazione, quali la recidiva, l’abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza a delinquere, secondo un diverso e opposto parametro rispetto a quello sotteso all’istituto in esame che, viceversa, appare orientato a favorire il condannato.
Per questi motivi, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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