Il contraddittorio preventivo rappresenta un elemento essenziale e imprescindibile del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa così come previsto dall’art. 12, c. 7, L. 212/2000: “dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento, pertanto, non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.
Tuttavia, in caso di inosservanza di tale termine, la norma non prevede alcuna espressa sanzione a carico dell’Ufficio ed infatti, sul punto si sono formate interpretazioni spesso contrastanti sulle possibili conseguenze tuttavia in parte risolte per gli accertamenti in seguito a verifica da una pronuncia delle Sez. Unite della Corte di Cassazione che con sentenza n. 18184 del 29 luglio 2013, ha dichiarato invalido l’atto emesso prima dei 60 gg., termine quest’ultimo posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale. Istituto, pertanto applicabile in tutte le ipotesi di accesso presso i locali del contribuente.
Ed ancora, i giudici dipanando i dubbi relativi all’applicabilità dell’istituto ai controlli a tavolino, hanno ribadito che incombe sugli uffici un generale obbligo di attivare sempre il contraddittorio preventivo rispetto all’adozione di un provvedimento che possa incidere negativamente sui diritti e sugli interessi del contribuente. In caso contrario l’atto è nullo. Si tratta di un principio applicabile a qualunque procedimento amministrativo tributario a prescindere dal nome dell’atto stesso. (Cass. Sez. Unite, 18 settembre 2014, n. 19667).
Ad un certo punto, invece, con la sentenza 24823/15, i giudici di legittimità sono giunti, a conclusioni totalmente differenti e hanno affermato che non esiste nel nostro ordinamento un diritto generalizzato al contraddittorio preventivo, salvo non sia espressamente previsto per legge. Si tratta, infatti, di un principio di derivazione comunitaria e pertanto applicabile solo ai tributi “armonizzati”, laddove avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purchè in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto.
Da ultimo con la recentissima ordinanza, del 26 maggio 2016, n. 10903, la Suprema Corte stabilisce che: <<Come evidenziato, invero, dalla stessa sentenza n. 24823/2015 delle Sezioni Unite, il dato testuale della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, univocamente tendente alla limitazione della garanzia del contraddittorio procedimentale alle sole “verifiche in loco”, è da ritenersi “non irragionevole”, in quanto giustificato dalla peculiarità stessa di tali verifiche, “caratterizzate dall’autoritativa intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca di elementi valutativi a lui sfavorevoli; peculiarità che giustifica, quale controbilanciamento, il contraddittorio al fine di correggere, adeguare e chiarire, nell’interesse del contribuente e della stessa Amministrazione, gli elementi acquisiti presso i locali aziendali; siffatta peculiarità, differenziando le due ipotesi di verifica (“in loco” o “a tavolino”), giustifica e rende non irragionevole il differente trattamento normativo delle stesse, con conseguente manifesta infondatezza della sollevata questione di costituzionalità con riferimento agli artt. 3 e 97 Cost.. Nè una questione di costituzionalità, sempre con riferimento all’art. 3 Cost. può porsi per la duplicità di trattamento giuridico tra “tributi armonizzati” e”tributi non armonizzati, atteso che, come anche in tal caso evidenziato dalla su menzionata sentenza n. 24823/2015, l’assimilazione tra i due trattamenti è preclusa in presenza di un quadro normativo univocamente interpretabile nel senso dell’inesistenza, in campo tributario, di una clausola generale di contraddittorio procedimentale.>>.
Sempre sulla stessa linea interpretativa, con altra sentenza recentissima in tema di verifiche fiscali Cass. civ. Sez. V, Sent., 27 maggio 2016, n. 10988, gli Ermellini stabiliscono che l’inosservanza dell’obbligo di notificare il detto avviso al contribuente e di concedergli il previsto termine dilatorio al fine di fornire le prove richieste (obbligo che non ammette equipollenti) determina – in applicazione dei principi affermati dalle sezioni unite nella sentenza n. 18184 del 2013 in relazione all’analoga disposizione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, – un vizio di legittimità dell’atto impositivo emesso in assenza dell’avviso o prima della scadenza del termine dilatorio: si tratta, anche in questo caso, di garantire il pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, con la conseguenza che la “sanzione” dell’invalidità dell’atto conclusivo del procedimento, pur non espressamente prevista, deriva ineludibilmente dal sistema ordinamentale, comunitario e nazionale, e, in particolare, dal rilievo che il vizio del procedimento si traduce, nella specie, in una divergenza dal modello normativo di particolare gravità, in considerazione della rilevanza della funzione cui la norma assolve e della forza impediente, rispetto al pieno svolgimento della funzione, che assume il fatto viziante.
I giudici di merito non pare si siano adeguati all’ultima pronuncia sentenza 24823/15, confermando che le garanzie previste dall’articolo 12 non vanno necessariamente circoscritte agli accessi presso la sede del contribuente poiché la locuzione “accessi, ispezioni e verifiche” può riguardare tutti i tipi di controllo e dunque anche quelli cosiddetti “a tavolino” (da ultimo Ctp di Reggio Emilia, sentenza 5/01/16). In tale contesto va poi segnalato che dovrà pronunciarsi anche la Consulta su richiesta della Ctr Toscana (ordinanza 736/1/15). Allo stato attuale esistono, così, due incredibili distinzioni, innanzitutto tra la tipologia di controllo adottata (se presso la sede o a tavolino) e poi se si tratti di un tributo armonizzato o meno.
Tutto ciò posto, è fondamentale evidenziare che ai fini del rispetto del termine sospensivo di 60 gg. dal rilascio del pvc prima dell’emanazione dell’avviso di accertamento, per data di emanazione dell’atto deve intendersi quella in cui lo stesso è stato sottoscritto dal funzionario munito del relativo potere, ossia in definitiva deve intendersi la data dell’atto medesimo, a prescindere da quella della sua notifica (Cass. n. 11088 del 28.05.2015).
Unica eccezione al menzionato obbligo dell’Amministrazione finanziaria di astenersi dal notificare l’avviso di accertamento prima dello spirare del termine di 60 gg. dalla chiusura delle operazioni di controllo, è quella prevista dall’ultimo periodo dello stesso 7° c. dell’art. 12 cit., il quale, appunto, statuisce che l’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza.
Va necessariamente evidenziato che la decadenza del potere di accertamento per il periodo d’imposta oggetto di rettifica non può rappresentare un motivo d’urgenza per derogare al termine dei 60 giorni, con la conseguenza che l’atto emesso prima di tale termine è illegittimo. (Cass. n. 9424 del 30 aprile 2014).
Lecce, 21 giugno 2016
AVV. MAURIZIO VILLANI
Avvocato Tributarista in Lecce
Patrocinante in Cassazione
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