Contraddittorio procedimentale e informazione antimafia

Nancy Ferrara 09/09/22
Nel nostro ordinamento si è dibattuto sull’opportunità di instaurare un contraddittorio con l’interessato nell’ambito del procedimento finalizzato all’emissione dell’informazione antimafia e ciò in ossequio alle previsioni dell’art. 7 della l. n. 241 del 1990 e del principio generale garantito dall’art. 6, par. 3, del TUE.

     Indice

  1. I principi comunitari
  2. Gli orientamenti giurisprudenziali
  3. Ipotesi di ammissione del contradditorio procedimentale

1. I principi comunitari

La Corte di Giustizia UE, nel § 28 dell’Ordinanza del 26 maggio 2020 in C-17/20, ha affermato il principio secondo cui il rispetto dei diritti di difesa, quale principio generale del diritto dell’Unione, trova applicazione quando l’amministrazione intende adottare nei confronti di una persona un atto che le arrechi pregiudizio e che, in forza di tale principio, i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la propria decisione.


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2. Gli orientamenti giurisprudenziali

La questione è stata affrontata dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 820 del 31 gennaio 2020, in detta sentenza è stato analizzato il rischio connesso ad una discovery anticipata in sede procedimentale nell’ambito del procedimento di emissione dell’informazione antimafia. Infatti, in tale frangente, potrebbero essere resi noti elementi o notizie contenuti in atti di indagine coperti da segreto investigativo o in informative riservate delle forze di polizia, spesso connessi ad inchieste della magistratura inquirente contro la criminalità organizzata e agli atti delle indagini preliminari. Il contraddittorio procedimentale, potrebbe frustrare la finalità preventiva perseguita dalla legislazione antimafia, che ha l’obiettivo di prevenire il tentativo di infiltrazione da parte delle organizzazioni criminali, la cui capacità di penetrazione nell’economia legale ha assunto forme e “travestimenti” sempre più insidiosi.

L’istaurazione del contraddittorio procedimentale, potrebbe dar vita ad una “fuga di notizie” portando a conoscenza dei destinatari l’imminente o probabile adozione di un provvedimento antimafia, e ciò nell’ambito di un contesto di particolari realtà imprenditoriali, inquinate da logiche e da interessi mafiosi, spesso a base familiare, e con ciò violando l’interesse pubblico sotteso all’adozione del provvedimento antimafia.

Del resto, le associazioni mafiose sono ben capaci di ricorrere a tecniche elusive delle norme in materia che, non a caso, prevedono come indicative di infiltrazioni mafiose anche, ad esempio, le sostituzioni degli organi sociali, nella rappresentanza legale della società nonché nella titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie, «con modalità che, per i tempi in cui vengono realizzati, il valore economico delle transazioni, il reddito dei soggetti coinvolti nonché le qualità professionali dei subentranti, denotino l’intento di eludere la normativa sulla documentazione antimafia» (art. 84, comma 4, lett. f), del D. Lgs. n. 159 del 2011).

Sono tecniche frequenti nella prassi e ben note all’esperienza giurisprudenziale dello stesso Consiglio di Stato, il quale riscontra forme sempre nuove con le quali le associazioni a delinquere di stampo mafioso, di fronte al “pericolo” dell’imminente emissione di informazione antimafia di cui abbiano avuto notizia, reagiscono mutando assetti societari, intestazioni di quote e di azioni, cariche sociali, soggetti prestanome, ma cercando di controllare comunque i soggetti economici che fungono da schermo, anche grazie alla distinta e rinnovata personalità giuridica, nei rapporti con le pubbliche amministrazioni.

Per questo nell’attuale legislazione il codice antimafia, senza escludere a priori e del tutto la partecipazione procedimentale, del resto ammessa per gli analoghi provvedimenti di iscrizione nella c.d. white list, emessi, però, su richiesta di parte ai sensi dell’art. 1, comma 52, della l. n. 190 del 2012, ne rimette, con l’art. 93, comma 7, del D. Lgs. n. 159 del 2011, la prudente ammissione alla valutazione dell’autorità preposta all’emissione del provvedimento interdittivo in termini di utilità rispetto al fine pubblico perseguito.

Infatti, l’art. 93, comma 7, del D. Lgs. n. 159 del 2011, prevede che il Prefetto competente all’adozione dell’informazione, sulla base della documentazione e delle informazioni acquisite nel corso dell’accesso, può invitare, in sede di audizione personale, i soggetti interessati a produrre ogni informazione ritenuta utile, anche allegando elementi documentali, qualora non ricorrano particolari esigenze di celerità del procedimento ovvero esigenze di tutela di informazioni che, se rese note, siano suscettibili di pregiudicare procedimenti amministrativi o attività processuali in corso, ovvero l’esito di altri procedimenti amministrativi finalizzati alla prevenzione delle infiltrazione mafiose.

A ciò si aggiunga che, il principio del giusto procedimento, non ha una valenza assoluta, ma ammette deroghe limitate ad ipotesi eccezionali di tutela di interessi superiori, nel caso in esame, alla tutela dell’ordine pubblico, e proporzionate alla necessità del caso che assume particolare rilievo nel per il caso di pericolo di infiltrazione mafiosa.

Né può essere proficuamente richiamato il principio di buon andamento della p.a. (art. 97 Cost.), per l’ipotesi in cui la partecipazione procedimentale possa in qualche modo essere utile per l’autorità prefettizia chiamata ad emettere il provvedimento interdittivo; perché se è vero che da un lato consentirebbe alla Prefettura di acquisire, in un quadro istruttorio più ampio e complesso, notizie ed elementi utili ad evitare l’emissione di un provvedimento notevolmente incisivo sulla libertà d’impresa, dall’altro, deve considerarsi che, di fronte ai penetranti poteri di accesso e accertamento riconosciuti al Prefetto anche avvalendosi dei gruppi interforze, l’apporto procedimentale dell’impresa e le eventuali strategie dilatorie di questa in sede procedimentale potrebbero rallentare l’incisività e la rapidità di un provvedimento che deve colpire gli interessi economici della mafia prima che essi raggiungano il loro obiettivo, ovvero l’infiltrazione nel tessuto economico-sociale.

Nel contemperamento degli interessi in gioco, il vigente codice antimafia, pone maggiore rilevanza alla tutela dell’ordine pubblico rispetto alla libertà di esercizio di impresa, prevedendo un contraddittorio eventuale ai sensi dell’art. 91, comma 7, del D. Lgs. n. 159 del 2011.

Del resto il sacrificio delle garanzie procedimentali e dei diritti di difesa, proporzionato rispetto al fine perseguito, è compensato dall’eventuale sindacato giurisdizionale sull’atto adottato dal Prefetto, sindacato che è pieno ed effettivo. Come ha riconosciuto la stessa Corte Costituzionale con la sentenza n. 57 del 26 marzo 2020, in tema di interdittiva antimafia, il sindacato giurisdizionale, investe l’atto sia sul piano della c.d. tassatività sostanziale, ovvero sull’esistenza di fatti indicatori di eventuale infiltrazione mafiosa, posti dall’autorità prefettizia a base del provvedimento interdittivo, sia sul piano della c.d. tassatività processuale, ovvero sulla prognosi inferenziale circa la permeabilità mafiosa dell’impresa, nell’accezione, nuova e moderna, di una discrezionalità amministrativa declinata in questa delicata materia sotto l’aspetto del ragionamento probabilistico compiuto dall’amministrazione (Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758 e Cons. St., sez. III, 5 settembre 2019, n. 6105).

3. Ipotesi di ammissione del contradditorio procedimentale

Alla luce dei sopra richiamati principi potrebbe ammettersi un contraddittorio procedimentale  in tutte quelle ipotesi in cui la permeabilità mafiosa appaia dubbia, incerta, e presenti delle zone grigie, rispetto alle quali l’apporto procedimentale del soggetto potrebbe fornire utili elementi a chiarire alla stessa autorità procedente la natura dei rapporti tra il soggetto e le dinamiche, spesso ambigue e fluide, del mondo criminale.

In via generale la partecipazione procedimentale potrebbe essere ammessa per le ipotesi in cui non venga frustrata l’urgenza del provvedere e le particolari esigenze di celerità del procedimento per bloccare un grave, incontrollabile o imminente pericolo di infiltrazione mafiosa e, dunque, non ostacoli la ratio stessa dell’informazione antimafia quale strumento di massima tutela preventiva nella lotta contro la mafia.

In tale ottica, la partecipazione procedimentale, consentirebbe:

  1. a) all’impresa di esercitare in sede procedimentale i propri diritti di difesa e di spiegare le ragioni alternative di determinati atti o condotte, ritenuti dalla Prefettura sintomatici di infiltrazione mafiosa, nonché di adottare, eventualmente su proposta e sotto la supervisione della stessa Prefettura, misure di self cleaning ove la situazione lo consenta, prima che si adotti la misura più incisiva dell’informazione antimafia.
  2. b) al Prefetto di intervenire con il provvedimento interdittivo a fronte di situazioni gravi, chiare, inequivocabili, non altrimenti giustificabili e giustificate dall’impresa, secondo la logica della probabilità di infiltrazione mafiosa, all’esito di una istruttoria più completa, approfondita, meditata, che si rifletta in un apparato motivazionale del provvedimento amministrativo il più possibile esaustivo ed argomentato;
  3. c) consentirebbe al giudice amministrativo di esercitare con maggiore pienezza il proprio sindacato giurisdizionale sugli elementi già valutati dalla Prefettura in sede procedimentale, anche previo approfondimento istruttorio nel contraddittorio con l’impresa, nonché sul conseguente corredo motivazionale del provvedimento prefettizio, e di affinare così ulteriormente, nell’ottica della full jurisdiction, i propri poteri cognitori e istruttori.

Tuttavia, l’attuale sistema normativo italiano non prevede un obbligo di partecipazione procedimentale nell’ambito del procedimento di emissione dell’informativa antimafia e, come ribadito dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 820 del 31 gennaio 2020, la stessa Corte di Giustizia UE ha infatti affermato che il diritto al contraddittorio procedimentale e al rispetto dei diritti della difesa non è una prerogativa assoluta, ma può soggiacere a restrizioni, a condizione che “queste rispondano effettivamente a obiettivi di interesse generale perseguiti dalla misura di cui trattasi e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile, tale da ledere la sostanza stessa dei diritti così garantiti” (sentenza della Corte di Giustizia UE, 9 novembre 2017, in C-298/16, 35 e giurisprudenza ivi citata) e, in riferimento alla normativa italiana in materia antimafia, la stessa Corte di Giustizia UE, seppure ad altri fini (la compatibilità della disciplina italiana del subappalto con il diritto eurounitario), ha di recente ribadito che «il contrasto al fenomeno dell’infiltrazione della criminalità organizzata nel settore degli appalti pubblici costituisce un obiettivo legittimo che può giustificare una restrizione alle regole fondamentali e ai principi generali del TFUE che si applicano nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici» (Corte di Giustizia UE, 26 settembre 2019, in C-63/18, 37).

 

Nancy Ferrara

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