Dopo (molto) tempo, grazie a una recentissima pronuncia della Corte Costituzionale (n. 52) del 28 marzo 2023, la contrattazione di prossimità torna al centro del dibattito.
Per mezzo di tale sentenza, nel dichiarare inammissibile una questione di legittimità (costituzionale) dell’art. 8, D.L. n. 138/2011, sollevata, in riferimento agli artt. 2 e 39 (primo e quarto comma) della Costituzione, dalla Corte d’Appello di Napoli (in funzione di giudice del lavoro), la Corte Costituzionale ha affermato che è possibile un’estensione dell’efficacia dell’accordo aziendale di prossimità (anche) nei confronti dei lavoratori e delle associazioni sindacali che, in occasione della stipulazione dell’accordo stesso, siano espressamente dissenzienti.
1. I fatti
La questione di legittimità costituzionale, come detto, è stata sollevata dalla Corte d’Appello di Napoli (in funzione di giudice del lavoro) la quale è stata chiamata decidere “l’impugnazione proposta da alcuni lavoratori subordinati avverso la sentenza con cui il giudice di primo grado ha rigettato la loro domanda di condanna della società datrice di lavoro alla corresponsione di differenze retributive per scatti di anzianità, ferie e altri istituti retributivi, le quali non erano state pagate perché un contratto collettivo di prossimità, stipulato dalla società convenuta con un sindacato (SINALV CISAL) ritenuto maggiormente rappresentativo, aveva previsto un peggioramento delle condizioni economiche dei lavoratori”.
Dunque, il nodo centrale della questione sottoposta al giudizio della Corte di merito risiede nella legittimità delle pretese dei dipendenti relative al mancato pagamento delle suddette somme da parte del datore, che sarebbe stato giustificato dalla sottoscrizione di un contratto di prossimità peggiorativo rispetto al contenuto del contratto collettivo nazionale di settore.
A sostegno delle proprie pretese, i dipendenti appellanti avevano rivendicato il fatto di aderire a una organizzazione sindacale diversa da quella che aveva sottoscritto il contratto di prossimità e, soprattutto, di aver espressamente “disdettato” il contratto di prossimità attraverso la propria organizzazione sindacale.
Su tale assunto, gli appellanti sostenevano di non essere soggetti ai trattamenti peggiorativi derivanti dall’accordo di prossimità, pretendendo di talché il pagamento delle relative differenze retributive.
Le preliminari osservazioni mosse nel giudizio ordinario di secondo grado si focalizzavano su quanto precedentemente rilevato dal giudice di primo grado e cioè che, sebbene gli appellanti non fossero firmatari dell’accordo di prossimità (né individualmente né per il tramite della loro organizzazione sindacale), esso dovesse reputarsi efficace anche nei loro confronti, estendendosi, per il disposto dell’art. 8 del d.l. n. 138 del 2011 (i.e. efficacia erga omnes del contratto di prossimità stipulato dal sindacato maggiormente rappresentativo) a tutti i lavoratori interessati.
Tuttavia, nel sospettare di illegittimità costituzionalela citata disposizione (art. 8) “nella parte in cui estende l’efficacia dei contratti aziendali o di prossimità a tutti i lavoratori interessati anche se non firmatari del contratto o appartenenti ad un Sindacato non firmatario del contratto collettivo”, la Corte d’Appello di Napoli ha rimesso la questione di legittimità del citato art. 8 in relazione agli artt. 2 e 39 Cost. (i quali tutelano la libertà di organizzazione sindacale) sulla base dei seguenti assunti:
– l’art. 8 lederebbe detta libertà, intesa sia quale libertà del singolo lavoratore di associarsi in formazioni sindacali sia come libertà del sindacato di organizzarsi per svolgere la funzione di rappresentanza dei propri iscritti;
– “da un lato, infatti, l’efficacia erga omnes degli accordi stipulati da un singolo sindacato conculcherebbe la libertà dei singoli lavoratori di aderire ad altro sindacato e di esprimere, attraverso di esso, il proprio dissenso rispetto agli accordi medesimi. dall’altro lato, sarebbe compressa, altresì, la capacità del sindacato non firmatario di svolgere la propria funzione rappresentativa dei lavoratori dissenzienti. E ciò, persino nell’ipotesi in cui si tratti di un sindacato maggiormente rappresentativo, sul piano nazionale, di quello che ha sottoscritto l’accordo di prossimità, attesa l’attitudine di quest’ultimo a derogare anche alla disciplina contenuta nei contratti collettivi nazionali di lavoro”.
– L’art. 8 violerebbe altresì l’art. 39, quarto comma, Cost., in quanto “consentirebbe la stipulazione di contratti collettivi con efficacia erga omnes in difetto della integrazione dei presupposti procedurali e soggettivi da esso previsti, quali la previa registrazione – condizionata alla previsione di un ordinamento interno a base democratica – e la conseguente acquisizione della personalità giuridica”. La riferibilità del dettato dell’art. 39 Cost. (anche) alla contrattazione aziendale troverebbe conferma anche nella giurisprudenza della Consulta (è citata la sentenza n. 268 del 1994).
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2. La Corte Costituzionale
Preliminarmente, la Corte Costituzionale ha inteso chiarire l’oggetto della questione, rilevando che le questioni di legittimità costituzionale sono state poste con riferimento soltanto a un contratto aziendale di prossimità e non a contratto territoriale di prossimità. Il chiarimento preliminare, a detta della Consulta, è stato reso necessario dall’eccessiva ampiezza testuale dell’ordinanza di rimessione ove “la Corte rimettente abbia contestato l’efficacia erga omnes dei contratti «aziendali o di prossimità»”.
Fatto tale rilievo, i Giudici Costituzionali hanno rilevato l’inammissibilità della questione sollevata sull’assunto che gli accordi aziendali “ordinari” non estendono l’efficacia anche nei confronti dei lavoratori e delle associazioni sindacali c.d. dissenzienti.
È principio consolidato in giurisprudenza di legittimità (Cass. nn. 31201/2021; 27115/2017; n. 6044/2012) “l’affermazione che l’efficacia generale (per tutti i lavoratori) degli accordi aziendali è tendenziale – in ragione dell’esistenza di interessi collettivi della comunità di lavoro nell’azienda, i quali richiedono una disciplina unitaria –, trovando un limite nell’espresso dissenso di lavoratori o associazioni sindacali; limite coessenziale alla riconducibilità anche di tali accordi, non diversamente da quelli nazionali o territoriali, a un sistema di contrattazione collettiva fondato su principi privatistici e sulla rappresentanza negoziale – non già legale o istituzionale – delle organizzazioni sindacali”.
A parer della Consulta, dunque, “l’accordo aziendale – come in generale il contratto – «ha forza di legge tra le parti» e la sua efficacia può essere estesa a terzi solo nei «casi previsti dalla legge» (art. 1372 del codice civile). Sicché – si è affermato in giurisprudenza – «sarebbe illecita la pretesa datoriale aziendale di esigere il rispetto dell’accordo aziendale anche dai lavoratori dissenzienti perché iscritti ad un sindacato non firmatario dell’accordo medesimo» (Cass., n. 27115 del 2017)”.
Stante la disamina proposta fino a questo punto, sempre a parer della Consulta, la norma censurata (art. 8) mira a colmare questo possibile limite di applicabilità dell’accordo “prevedendo una speciale fattispecie di contratto collettivo aziendale – quello qualificato come di «prossimità» – che, appunto, ha «efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati», come espressamente dispone l’art. 8, comma 1, del d.l. n. 138 del 2011”.
Il carattere eccezionale della speciale fattispecie normativa è stato intravisto sia da giurisprudenza di legittimità(Cass. nn. 33131/2021; 16917/2021; 19660/2019) nonché da precedente specifico della medesima Corte Costituzionale (sentenza n. 221 del 2012).
E tale eccezionalità è ancor più marcata in ragione della prevista possibilità che il contratto collettivo aziendale di prossimità deroghi alle disposizioni di legge che disciplinano le materie richiamate dal comma 2 dell’art. 8 e alle relative regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro, pur sempre nel rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dal diritto europeo e dalle convenzioni internazionali sul lavoro.
In ogni caso, a parer netto della Consulta, l’efficacia erga omnes, proprio perché eccezionale, sussiste solo se ricorrono gli specifici presupposti declinati dal medesimo più volte citato art. 8.
Ma quali sono tali requisiti? Li riportiamo qui di seguito in breve:
– l’accordo deve essere sottoscritto dalle associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda;
– le specifiche intese (accordi aziendali) devono essere «sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali»;
– l’accordo – nel perseguire un interesse collettivo dei lavoratori in azienda (identificato dalla giurisprudenza di legittimità, soprattutto, nel superamento di crisi aziendali ed occupazionali) – deve risultare alternativamente finalizzato alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività;
– l’accordo dovrà afferire alla regolazione delle materie inerenti all’organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento a specifici settori elencati dall’art. 8, comma 2. A tal proposito, i Giudici della Consulta segnalano che “con l’espressa esclusione della materia dei licenziamenti discriminatori, l’accordo può riguardare: gli impianti audiovisivi e la introduzione di nuove tecnologie; le mansioni del lavoratore, la classificazione e l’inquadramento del personale; i contratti a termine, i contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, il regime della solidarietà negli appalti e i casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; la disciplina dell’orario di lavoro e le modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro”.
Pertanto, all’esito dell’interessante disamina proposta, la Consulta ha rilevato che l’ordinanza di rimessione non contenesse, con riferimento ai profili sopra indicati, “una plausibile motivazione in ordine alla circostanza che nel giudizio principale si controverta proprio di un contratto collettivo aziendale di prossimità ex art. 8 del d.l. n. 138 del 2011, dotato di quell’efficacia generale (erga omnes) prevista dalla disposizione censurata, che il giudice a quo ritiene contrastante con gli invocati parametri, e non già di un ordinario contratto aziendale, provvisto di efficacia solo tendenzialmente estesa a tutti i lavoratori in azienda, ma che non supera l’eventuale espresso dissenso di associazioni sindacali o lavoratori”.
Ed è per tale assorbente e generale motivo che i Giudici Costituzionali hanno dichiarato, concludendo, l’inammissibilità delle sollevate questioni di legittimità costituzionale “per incompleta ricostruzione della fattispecie, che dà luogo a un difetto di motivazione sulla rilevanza, in riferimento a tutti gli indicati parametri”.
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