L’autonomia negoziale nella famiglia di fatto
E’ ormai opinione consolidata che la tradizionale concezione istituzionale della famiglia è da ritenersi in via di tendenziale superamento: la famiglia, considerata per molto tempo quella fondata sul matrimonio, è oggi un concetto non più valido.
Le unioni di fatto hanno attualmente un ruolo importante e determinante, l’allargamento del concetto di famiglia, consolidato nel tessuto sociale, non poteva essere trascurato dal diritto positivo.
L’unione fondata sul matrimonio, caratterizzata da precisi diritti e doveri, con obblighi codificati a carico di marito e moglie, anche nel caso di separazione o cessazione degli effetti civili del matri- monio, non essendo più l’unica forma adottata per la costituzione di una famiglia, ha visto la giurisprudenza, prima, ed il legislatore, poi, impegnati nel dare risconoscimento a diritti di tutela, anche in seno alle unioni di fatto.
Il dibattito parlamentare, volto a dare una precisa regolamenta- zione alle c.d. unioni civili, si è da poco concluso ed il legislatore, non potendo continuare ad ignorare questo fenomeno sociale, ha affrontato la problematica, dando alla materia la regolamentazione con la legge 76 del 2016.
Il diritto di famiglia, prima della riforma, non aveva una auto- noma connotazione negoziale, potendosi rilevare che la protezio- ne degli interessi (sia di natura patrimoniale che non) aveva una connotazione di carattere pubblicistico.
Il precedente impianto normativo imponeva una rigorosa limitazione all’autonomia privata. L’organizzazione familiare, soprattutto sotto il profilo patrimoniale ed economico, impediva pattuizioni private fra coniugi. Ogni regolamentazione familiare, che comprendesse l’aspetto patrimoniale ovvero l’organizzazione della vita quotidiana, doveva trovare il proprio riscontro nelle nor- me, di carattere pubblicistico. Solo il legislatore poteva prevedere specifici diritti e doveri, anche sotto l’aspetto patrimoniale.
La riforma del 1975 ha definitivamente mutato l’assetto economico, evidenziando nuovi diritti all’interno della famiglia stessa, innovando quanto sino a quel momento era riscontrabile. Con la riforma del diritto di famiglia è stata data una nuova interpretazione al concetto di famiglia, determinando un ribaltamento del rapporto tra famiglia quale formazione sociale ed i suoi membri.
Gli status familiari sono stati concepiti essenzialmente come personalistici. Pertanto, la suddetta formazione sociale ha acqui- sito la funzione di espandere e valorizzare la personalità dei suoi componenti, che potevano porsi anche in antitesi. A seguito di ciò, si è lentamente e progressivamente imposta la necessità di salvaguardare efficacemente tutti quegli aspetti individualistici dei singoli membri, salvaguardia che, sino ad allora, era poco efficace.
La convivenza. La reciproca assistenza morale e materiale
Con l’istituzione della convivenza il legislatore italiano ha recepito e regolamentato un costume sociale presente da diverso tempo nel nostro Paese, come confermato dai dati ISTAT 2013 (1). La norma disciplina la formazione di coppie di persone, senza alcuna preclusione o specificazione di genere, legate da un rapporto affettivo fondato su un legame stabile.
Il tema della reciproca assistenza nelle convivenze può essere affrontato solo a valle di un breve ragionamento sul nuovo istituto, approvato con la legge 20 maggio 2016, n. 76, al cui comma 36 si definisce la convivenza (2) una coppia di “persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”.
La struttura del testo normativo scelta dal legislatore è quella dell’articolo unico per due distinti istituti (unioni civili e convivenze); ai commi 36 e 37 sono previste la definizione e la costituzione della convivenza e dal comma 38 al comma 65 vengono elencati tutti i diritti spettanti ai conviventi a seguito della formalizzazione della loro unione (3) verso terzi.
Allo scopo di acquisire canoni ermeneutici fondamentali per la lettura dell’istituto e per individuare eventuali diritti ed obblighi spettanti ai conviventi in tema di reciproca assistenza, è obbligato il confronto con l’istituto del matrimonio per immediata connessione per materia.
Una prima generale distinzione tra i due istituti è il residuo di tutela pubblicistica ancora sussistente in capo alla famiglia fondata sul matrimonio, rispetto alla natura prettamente negoziale pattizia oggi voluta per le convivenze.
I contratti caratterizzati da clausole con efficacia traslativa
Quanto ai criteri d’imposizione delle convenzioni (e clausole) con efficacia traslativa, bisognerà innanzitutto verificare se il trasferimento (segnatamente immobiliare):
– scaturisce da un vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c., va tenuta in debita considerazione la posizione dell’A.f. espressa nella circolare n. 3/E del 2008 (7) che discrimina tra vincoli senza o con effetti traslativi, riservando solo ai primi le imposte (registro e ipotecaria) in misura fissa e ai secondi le imposte (di successione, ipotecaria e catastale in misura proporzionale);
– scaturisce da un trust, sempre in base a quanto ritenuto dall’A.f. nella ricordata circolare, rileva un’ “unica causa fiduciaria” (e ciò giustificherebbe l’applicazione dell’imposta sulle donazioni);
– in relazione invece alle imposte ipotecaria e catastale, anche in caso di trust, secondo l’A.f. esse sarebbero dovute in misura proporzionale con esclusivo riferimento agli atti con efficacia traslativa.
I presenti contributi sono tratti da Guida pratica ai contratti di convivenza
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