Sul presunto (ed in realtà inesistente) contrasto tra Cass. civ. Sez. Un. n. 26724 e n. 26725 del 19/12/2007 e Cass. civ. Sez. Un. n. 8770 del 12/05/2020.
Indice:
- Origine di un equivoco
- L’Interest Rate Swap è una scommessa (che, per essere meritevole, presuppone la razionalità dell’alea)
- Nessun contrasto, ce lo spiega… la Cassazione!
- Conclusione
1. Origine di un equivoco
Il noto arresto della giurisprudenza di legittimità Cass. civ. Sez. Un. n. 8770/2020 in tema di contratti finanziari derivati (ed in particolare di interest rate swap, IRS[1]) ha acceso un interessante dibattito tra studiosi ed operatori del diritto a proposito di un presunto contrasto tra i principi di diritto di recente statuiti con l’ormai consolidato orientamento delle note “sentenze gemelle” (ossia Cass. civ. Sez. Un. n. 26724/2007 e n. 26725/2007) sulla violazione degli obblighi informativi come rilevante sul piano non già della validità del contratto, bensì su quello della responsabilità precontrattuale e/o contrattuale dell’intermediario finanziario.
E’ nostra opinione che il contrasto in questione sia in realtà inesistente e ciò in ragione della peculiarità della fattispecie contrattuale IRS: l’equivoco che origina la tesi del contrasto presuppone, infatti, una implicita (ed errata) assimilazione tra operazioni di negoziazione strutturalmente diverse, ancorché caratterizzate dal “comune denominatore” della causa mandati che connota la relazione negoziale tra intermediario finanziario e cliente-investitore.
Per comprendere appieno la questione oggetto di analisi, facciamo un passo indietro.
Alla fine del 2007 le Sezioni Unite della Cassazione dirimono definitivamente un contrasto giurisprudenziale che durava da qualche anno in ordine alle conseguenze correlate alla violazione da parte dell’intermediario delle prescrizioni comportamentali codificate della normativa settoriale finanziaria.
Come noto, muovendosi sull’asse della tradizionale distinzione tra regole di validità e regole di condotta, con le “sentenze gemelle” la Suprema Corte ha escluso, in ipotesi di acclarata violazione delle norme prescriventi obblighi informativi, la configurabilità della nullità dell’operazione finanziaria (salvo che la stessa nullità non sia testualmente prevista, come accade, ad es., con le disposizioni di cui all’art. 23 TUF e all’art. 30 TUF), riconducendo la ridetta violazione a fattispecie di responsabilità (precontrattuale, laddove la violazione abbia luogo nella fase prenegoziale, ovvero contrattuale laddove avvenga dopo la stipulazione del contratto di intermediazione finanziaria) e/o di risoluzione del contratto per inadempimento dell’intermediario.
I principi statuiti dalle “sentenze gemelle” delle Sezioni Unite della Cassazione hanno trovato piena conferma nella giurisprudenza, di legittimità e di merito, successiva al 2007 e, a ben vedere, non sono affatto smentiti dalla sentenza n. 8770/2020 delle stesse Sezioni Unite. Ciò poiché, come si è accennato, queste ultime nel 2020 si sono occupate, dandone peraltro ampiamente atto nelle motivazioni della sentenza, di un contratto affatto particolare, ossia l’IRS.
2. L’Interest Rate Swap è una scommessa (che, per essere meritevole, presuppone la razionalità dell’alea)
L’IRS non può essere assimilato ad una “semplice” operazione di negoziazione di titoli (ad es., per restare ad una fattispecie che ha originato la copiosa giurisprudenza in materia finanziario all’inizio del secolo, ivi comprese le stesse “sentenze gemelle”, una negoziazione di titoli obbligazionari).
Se infatti è vero che non sarebbe corretto ricondurre allo schema della compravendita anche la più banale operazione di negoziazione di titoli azionari o obbligazionari (atteso che, come si diceva, è convinzione ormai unanimemente condivisa tra gli interpreti che la relazione negoziale tra intermediario e investitore sia connotata da una causa mandati), è altrettanto vero che le peculiarità strutturali dell’IRS conducono a valutazioni specificatamente attagliate a tale fattispecie contrattuale, il che è appunto quanto si legge nella sentenza n. 8770/2020 delle Sezioni Unite della Cassazione.
Secondo la Suprema Corte il contratto derivato costituisce una “scommessa finanziaria differenziale” (autorizzata ex art. 23 comma 5 TUF) e “il legislatore autorizza questo genere di “scommesse razionali” sul presupposto dell’utilità sociale delle scommesse razionali, intese come specie evoluta delle antiche scommesse di pura abilità”. In tale ottica la meritevolezza ex art. 1322 c.c. della scommessa si riflette sul “particolare atteggiarsi della causa dello swap”, di talché “appare necessario verificare – ai fini della liceità dei contratti – se si sia in presenza di un accordo tra intermediario ed investitore sulla misura dell’alea, calcolata secondo criteri scientificamente riconosciuti ed oggettivamente condivisi, perché il legislatore autorizza questo genere di “scommesse razionali” sul presupposto dell’utilità sociale delle scommesse razionali, intese come specie evoluta delle antiche scommesse di pura abilità. E tale accordo non deve limitarsi al mark to market, ma investire, altresì, gli scenari probabilistici, poiché il primo è semplicemente un numero che comunica poco in ordine alla consistenza dell’alea. Esso dovrebbe concernere la misura qualitativa e quantitativa dell’alea e, dunque, la stessa misura dei costi pur se impliciti”.
Nella prospettiva ricostruttiva adottata dalla Corte nomofilattica con la sentenza del 2020, la mancata condivisione dell’alea tra i contraenti (ciò che rende l’alea appunto razionale e quindi meritevole di tutela per l’ordinamento) impatta sul profilo strutturale del negozio e non su quello funzionale. E che si guardi all’accordo o all’oggetto o alla causa del contratto è la legge (e segnatamente gli artt. 1321, 1322, 1325 e 1418 c.c.) a chiarire il trattamento (la nullità) da riservare ad un contratto carente di accordo e/o privo di oggetto indeterminato (o comunque con oggetto indeterminabile) e/o immeritevole.
Si tratta, in altre parole, di ponderare l’equilibrio di una pattuizione atipica che, come affermano le Sezioni Unite, trova nella negoziazione e monetizzazione di un’alea la propria causa ed il proprio oggetto. Che tale alea debba essere razionale e, dunque, misurabile – comportando ciò la disclosure, da parte dell’intermediario finanziario, di elementi attinenti l’entità e la consistenza quantitativa e qualitativa del rischio assunto – è, in definitiva, una conclusione alla quale si giunge valorizzando, nella ricostruzione della fattispecie, i requisiti fondamentali del contratto (accordo, oggetto e causa) “declinati” in funzione delle peculiarità della species negoziale IRS OTC.
3. Nessun contrasto, ce lo spiega… la Cassazione!
Coloro i quali sostengono che Cass. civ. Sez. Un. n. 8770/2020 si sarebbe posta in netta discontinuità con l’orientamento consolidato dalle “sentenze gemelle” tendono a riportare gli elementi connotanti l’alea alla sfera dei doveri informativi la cui violazione comporterebbe appunto non già la nullità del contratto, bensì la responsabilità dell’intermediario.
Tale impostazione è radicalmente smentita dalla giurisprudenza di legittimità successiva alla sentenza delle Sezioni Unite del 2020, la quale si premura di precisare come non sussista alcun contrasto tra quanto affermato dalla Corte nomofilattica nelle “sentenze gemelle” e quanto statuito nella sentenza n. 8770/2020.
Nel riferirsi agli elementi enucleati da Cass. civ. Sez. Un. n. 8770/2020 (MTM, costi impliciti e scenari probabilistici), la recente Cass. civ. Sez. I n. 21830/2021 precisa che “l’omessa esplicitazione di tali elementi si traduce, sostanzialmente, nella mancata formazione di un consenso in ordine agli stessi, e, dunque, nella inconfigurabilità di una precisa misurabilità/determinazione dell’oggetto contrattuale, allo scopo di ridurre al minimo e di rendere consapevole l’investitore di ogni aspetto di aleatorietà del rapporto. Non si tratta, allora, di semplice violazione di obblighi informativi (come tale idonea a determinare solo eventuali responsabilità risarcitorie. Cfr. Cass., SU, n. 26724 del 2007; Cass. n. 8462 del 2014), ma di una carenza che – tenuto conto delle descritte peculiarità caratterizzanti la causa e l’oggetto dello strumento in esame, nonchè delle innegabili interazioni tra essi configurabili – investe proprio l’essenza (di una parte) dell’accordo, vale a dire del contratto medesimo (quest’ultimo consistendo, appunto, in un “accordo”. Cfr. art. 1321 c.c. e art. 1325 c.c., n. 1), così da cagionarne la nullità (il dovere di informazione, invece, è fuori del contratto ed è oggetto di mera obbligazione di una delle parti, sanzionata, come si è già detto, con la responsabilità per i danni, e non con la nullità)”.
Dunque, gli IRS possono considerarsi validi solo se le parti contrattuali si sono previamente accordate, con correttezza e trasparenza, sul valore finanziario (ossia la misura sintetica della distribuzione delle alee) e gli scenari probabilistici (le percentuali di probabilità, stimate ex ante al momento della conclusione, di “vincere” oppure di “perdere” la scommessa, per ciascuna parte), nonché – aggiunge la stessa Cass. civ. Sez. I n. 21830/2021, esplicitando quanto poteva ritenersi implicito in Cass. civ. Sez. Un. n. 8770/2020 – sul modello matematico di calcolo (quello appunto in forza del quale si sono stimati il valore finanziario e si sono distribuite le probabilità di andamento degli indici dello swap).
E ciò indipendentemente dalla funzione speculativa o di copertura cui sono deputati gli IRS (sul punto cfr. di recente Corte d’App. Bologna Sez. III n. 404/2022 per cui “va esclusa la rilevanza, ai fini dell’individuazione della causa tipica, delle funzioni, di speculazione o di copertura, dei derivati OTC perseguite dalle parti, pur assumendo esse importanza per il giudizio di conformità all’interesse ex articolo 21 TUF e per quello di adeguatezza ed appropriatezza”), nonché dalla qualifica soggettiva attribuita all’investitore (non è certo un caso se nemmeno un rigo della sentenza delle Sezioni Unite del 2020 si sofferma sulla rilevanza o meno della classificazione del cliente come operatore qualificato).
Non si tratta, dunque, di sovvertire regole interpretative consolidate ormai dal 2007, bensì di fare corretto impiego, in relazione ad una peculiare tipologia di contratti atipici, delle norme codicistiche che regolano il giudizio di liceità e di meritevolezza del contratto.
Tali conclusioni, peraltro, sono state fatte proprie anche da recentissima giurisprudenza di merito; l’appena citata Corte d’App. Bologna n. 404/2022 afferma infatti la necessità di accertare “la validità del contratto, sia sotto il profilo della causa tipica, sia della determinatezza o determinabilità dell’oggetto, in relazione alla presenza o meno di elementi che consentano alla parte di valutare l’entità, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, dell’alea che si va ad assumere. Pertanto, […] l’indicazione del mark to market, compresa l’esplicitazione della formula matematica, l’esplicitazione dei costi impliciti e la prospettazione dei cd. scenari probabilistici debbono costituire espressamente oggetto dell’accordo contrattuale ed essere in esso contenute”.
Nello stesso senso si esprime Trib. Venezia Sez. I n. 696/2022, secondo la quale “in assenza […] della indicazione del mark to market, dei costi impliciti dello stesso o dei c.d. scenari probabilistici si ha carenza di elementi fondamentali dell’IRS, ovverosia della causa, che presuppone un’alea c.d. razionale, e dell’oggetto, che deve essere determinato e determinabile. Da tanto discende la nullità del derivato ai sensi degli artt. 1325 e 1418 c.c. Infatti, la assenza delle indicazioni sopra individuate si traduce nella mancata formazione di un consenso in ordine agli elementi considerati, e, dunque, nella inconfigurabilità di una precisa misurabilità/determinazione dell’oggetto contrattuale, allo scopo di ridurre al minimo e di rendere consapevole l’investitore di ogni aspetto di aleatorietà del rapporto (così Cass. 21830/2021). Non può, pertanto, ritenersi che si tratti di semplice violazione di obblighi informativi (come tale idonea a determinare solo eventuali responsabilità risarcitorie), ma di una carenza che – tenuto conto delle descritte peculiarità caratterizzanti la causa e l’oggetto dello strumento in esame, nonché delle innegabili interazioni tra essi configurabili – investe proprio l’essenza (di una parte) dell’accordo, vale a dire del contratto medesimo, così da cagionarne la nullità (si legga, in tal senso, sempre Cass. 21830/21)”. In altre parole, sempre secondo il Tribunale veneziano, si tratta “dell’accertamento della validità del contratto sotto il profilo della sussistenza della sua causa tipica sia sotto il profilo della determinatezza o determinabilità dell’oggetto, avuto riguardo alla presenza di elementi che consentano alla parte di valutare l’entità, sia sotto il profilo quantitativo e qualitativo, dell’alea del contratto che sta per essere concluso”.
Si osserva infine che la ricostruzione della fattispecie contrattuale nei termini sopra esposti (e fatti propri dalla giurisprudenza di legittimità) non si pone affatto in contrasto con il riconoscimento di margini lucrativi per l’intermediario finanziario. Tuttavia, l’esistenza di tale (pur legittimo) margine di lucro in favore dell’istituto bancario “si configura esso stesso quale componente essenziale del contratto, sia in quanto onere sul quale necessariamente deve convergere l’accordo negoziale delle parti, sia in quanto componente che, determinando di fatto uno squilibrio iniziale dello swap (con passaggio dal suo valore teorico al valore di mercato), influisce sulla misura dell’alea che le contrapposte parti si assumono” (così, ancora, Cass. civ. Sez. I n. 21830/2021).
D’altra parte già nel 2013 la Corte d’Appello di Milano, in un noto arresto che per molti aspetti ha precorso la giurisprudenza di legittimità, avvertiva che il compenso dell’intermediario “deve essere determinato nel contratto o deve essere determinabile in virtù di un criterio (modello matematico di pricing) condiviso ex ante dall’intermediario e dal cliente. Ad esempio con la pattuizione, separata, di una fee, e non certo “annegato” dentro le condizioni economiche dell’atto gestorio” (Corte App. Milano Sez. I n. 3459 del 18/09/2013).
4. Conclusione
La vicenda del presunto (ma come visto inesistente) contrasto tra le “sentenze gemelle” del 2007 e l’arresto delle Sezioni Unite del 2020 sui contratti derivati suggerisce l’opportunità di ponderare i giudizi alla luce delle peculiarità strutturali della fattispecie contrattuale al vaglio dell’interprete, prestando la dovuta attenzione ai caratteri distintivi del negozio oggetto d’esame.
Pur condividendo il comune denominatore della causa mandati, tratto sempre connotante la relazione negoziale tra intermediario finanziario ed investitore, un’operazione avente ad oggetto un IRS non può essere assimilata ad un’operazione avente ad oggetto un bond ed è proprio sulla base di tale presupposto che prende le mosse il ragionamento svolto da Cass. civ. Sez. Un. n. 8770/2020.
A parere di chi scrive si tratta(va) di una evidenza che, in quanto tale, non necessitava di particolari spiegazioni, sebbene a Cass. civ. Sez. I n. 2130/2021 debba essere ascritto l’indubbio merito di aver esplicitato in maniera definitiva l’assenza di qualsivoglia contrasto tra le sentenze gemelle e l’arresto delle Sezioni Unite del 2020 sui contratti derivati.
Note:
[1] Gli IRS sono contratti a mezzo dei quali due parti si accordano per scambiarsi reciprocamente, per un periodo di tempo prefissato al momento della stipula, pagamenti calcolati sulla base di tassi di interesse differenti e predefiniti, applicati ad una somma di denaro nominale fissata dalle parti che non è oggetto di alcuno scambio fisico tra le stesse e che è detta capitale nozionale. Nell’esecuzione del contratto IRS non vi è dunque lo scambio di capitali tra le parti, ma solo di flussi corrispondenti al differenziale fra i due interessi (di solito uno fisso ed uno variabile) alle date prestabilite dalle parti stesse nel contratto (di solito ogni 3 o 6 mesi). A seconda di come gli IRS sono strutturati e del fatto che essi siano collegati o meno a determinate passività detenute dal cliente, tali contratti possono avere natura di copertura dal rischio di movimenti dei tassi di interesse ovvero natura meramente speculativa. Gli IRS non sono negoziati sui mercati regolamentati bensì, come occorso nel caso di specie, sui mercati cd. over the counter (OTC) che sono i mercati non regolamentati dei titoli che non figurano nei listini di borsa; il valore degli IRS cambia perciò continuamente ed in maniera decorrelata rispetto all’andamento delle Borse ufficiali.
Per identificare il valore di un contratto IRS ad una determinata data, si ricorre al concetto di mark to market (MTM) che rappresenta il valore corrente di mercato di ciascun contratto, corrispondente all’attualizzazione del saldo dei flussi differenziali alla data di rilevazione.
In argomento cfr. Consob, “I principali prodotti derivati – Elementi informativi di base”, in consob.it.
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