Il franchising è un contratto atipico, in quanto non disciplinato espressamente dall’ordinamento, di provenienza americana che ha assunto negli ultimi anni un’importanza sempre crescente nel commercio italiano, nel settore della produzione, dei brevetti o di altre conoscenze (Know-how).
Esso può essere definito come un contratto atipico a prestazioni corrispettive di durata, con cui il franchisor (concedente o affiliante) concede ad altro imprenditore (franchisee o affiliato), il diritto di vendere i propri prodotti previa utilizzazione del marchio del franchisor nonché dei suoi segni distintivi ovvero di un brevetto di invenzione, del know-how e della sua assistenza dietro stipulazione di un contratto, versando una somma fissa periodica (front fee o entry fee ovvero somma minima) con cui l’imprenditore entra nella catena e pagando un canone ulteriore che dovrà essere proporzionale al volume d’affari (royalty).
Con la stipulazione del contratto si creano particolari obblighi a carico di entrambi gli imprenditori.
Gli obblighi del franchisor consistono in:
trasferire al franchisee la licenza per l’utilizzazione della propria formula commerciale, comprensiva del diritto di sfruttamento del know-how e dei segni distintivi del franchisor;
Impegno per il franchisor ad addestrare e mettere a disposizione del franchisee il personale adatto da impiegare presso l’impresa di quest’ultimo;
Obbligo di assistenza nei confronti del franchisee.
Gli obblighi del franchisee sono:
obbligo di adeguamento agli standard di qualità del franchisor;
obbligo di segretezza;
obbligo alla corresponsione dei canoni;
obbligo di utilizzare i segni distintivi del franchisor nei limiti della licenza concessa nel contratto di franchising.
Ma come può l’ordinamento tutelare il contratto di franchising se esso non è espressamente previsto da leggi ne tanto meno dal codice civile?
L’art. 1322 c.c. prevede espressamente al secondo comma che “Le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico [41 Cost.]”. A tal uopo si veda la seguente sentenza della Corte di Cassazione:
“Il contratto di “franchising” o di affiliazione commerciale tra due società costituisce espressione del principio di libertà di iniziativa economica privata garantito dall’art. 1322 cod. civ. e ancor prima dall’art. 41 Cost, il quale consente e tutela l’aggregazione e l’affiliazione e comunque la collaborazione di imprese. Ne deriva che detto contratto attiene a materia disponibile in quanto espressione della libertà di scelta nello svolgimento delle attività economiche riconosciuta al soggetto privato in quanto tale, con la conseguenza che le controversie nascenti dal contratto medesimo, compresa quella relativa alla facoltà di recesso della società affiliata prima del termine finale previsto dal contratto, sono compromettibili in arbitrato rituale. (Cass. civile, sez. I, 20-06-2000, n. 8376)”.
Da ultimo è intervenuto un D.M. n. 295 del 28-05-2001 che definisce il contratto di franchising: “”franchising” indica un accordo che comporta la licenza di un insieme di diritti di proprietà immateriale che riguardano in particolare marchi o insegne e know-how, per l’uso e la distribuzione di beni o servizi. Oltre alla licenza dei diritti di proprietà immateriale, l’affiliante (“franchisor”) fornisce all’affiliato (“franchisee”), durante il periodo di vigenza dell’accordo, un’assistenza tecnica o commerciale: licenza e assistenza formano parte integrante della formula commerciale oggetto del franchising”.
Ma lungi dall’essere un contratto tipizzato esso rappresenta tuttora un contratto atipico, sottoposto alle norme del codice civile solo per via analogica.
Abbiamo, a tutt’oggi, numerose grandi catene che lavorano utilizzando contratti di franchising: catene informatiche, alimentari, rivenditori auto ecc..
Ognuna di tali catene ha assunto nella dottrina una classificazione che reputa, quindi, esistenti quindi franchising di produzione, di distribuzione, di servizi: nei primi rientrano, ad esempio, le grandi catene di abbigliamento, nella seconda quelle informatiche, nella terza istituti di bellezza, attività turistiche ecc..
I contraenti non sono di regola sottoposti a particolari obblighi uno nei confronti dell’altro se non a quelli già sopra illustrati.
Per tali ragioni, in mancanza di un diverso accordo, ben può il franchisee continuare ad utilizzare, in aggiunta al marchio della catena, il proprio marchio o organizzarsi in maniera autonoma senza sottostare a particolari direttive, nonché esporre una propria insegna.
Allo stesso modo il franchisor può stipulare più contratti di franchising all’interno del territorio di competenza di un ipotetico franchisee che abbia già stipulato anteriormente un contratto di franchising se ciò non è espressamente vietato nello stesso contratto primo contratto di franchising originariamente stipulato nella zona.
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