Il contratto di leasing: le varie figure giuridiche del contratto di leasing

Redazione 14/04/02
di Alessandro Ludovici

Il contratto di leasing (finanziario) è disciplinato dall’art. 1523 c.c. ed è sottoposto alla disciplina della “Vendita con riserva di proprietà”: il compratore acquista la proprietà della cosa col pagamento dell’ultima rata di prezzo, ma assume i rischi dal momento della consegna. Il contratto si risolve per “inadempimento del compratore”; in questo caso il venditore deve restituire le rate percepite ma ha diritto ad un equo compenso per l’avvenuto utilizzo del bene nonché al risarcimento del danno (art. 1526 1° comma). Il secondo comma dell’art. 1526 afferma:” Qualora si sia convenuto che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo di indennità, il giudice, secondo le circostanze, può ridurre l’indennità convenuta. La stessa disposizione si applica nel caso in cui il contratto sia configurato come locazione e sia convenuto che, al termine di esso, la proprietà della cosa sia acquisita al conduttore per effetto del pagamento dei canoni pattuiti.” In verità le figure di leasing presenti nel nostro ordinamento sono molteplici e ormai praticamente tipizzate dalle interpretazioni rese da dottrina e giurisprudenza ma non tutte possono riportarsi all’art. 1523 c.c (vendita con riserva di proprietà). Guardiamo, ora, le diverse figure di leasing e la disciplina giuridica applicabile ad ognuna di esse. In primis abbiamo il leasing operativo. Esso rappresenta la forma più antica di leasing: può essere inquadrato giuridicamente come locazione di beni strumentali. Infatti con esso vengono ceduti in locazione beni strumentali standardizzati per un periodo di tempo rapportato alla loro vita economica ovvero produttiva. In poche parole esso rappresenta una forma particolare di noleggio perché la società, pur avendone il pieno godimento, paga un canone per così dire locatizio, realizzando nel breve periodo un ingente utile dovuto alla sproporzione derivante dal basso costo di acquisto dei materiali (canone di locazione) e l’utile derivante dagli incassi che i beni acquistati con questa forma di leasing producono (utile). La seconda figura di leasing è il Leasing finanziario che giurisprudenza e dottrina hanno ormai definito la prima nelle sentenze la seconda con vasta letteratura, creando le seguenti due figure giuridiche: il leasing di puro godimento e il leasing traslativo. La prima consiste in una figura giuridica più simile alla locazione che alla vendita con riserva di proprietà: in questa figura rientrano quelle forniture che alla fine del contratto di L. non hanno valore residuale o è, in modo evidente, modesto; è chiaro che in questo caso il “compratore”, in realtà, paga un canone e non una rata per l’utilizzo del bene oggetto di L. ed è soggetto alle previsioni dell’art. 1458 1° comma:” la risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite”. E’ manifesta, in questo caso, la differenza nei confronti della vendita con riserva di proprietà. Di contro è configurabile quest’ultima nel caso di leasing traslativo dove, alla scadenza del contratto di leasing, il bene, acquistato per mezzo di L., possiede ancora un valore economicamente apprezzabile. Ed è chiara a questo punto la distinzione: il leasing puro o di godimento soggiace alla disciplina del contratto ad esecuzione continuata o periodica mentre il leasing traslativo soggiace alla disciplina della vendita con riserva di proprietà con conseguenze giuridiche chiaramente differenti nel caso in cui si verifichi una risoluzione giudiziale del contratto di leasing stesso. Si vedano, a tal uopo, le seguenti massime di Cassazione: “In tema di risoluzione per inadempimento del cosiddetto “leasing finanziario” (o “locazione finanziaria”), occorre distinguere l’ipotesi in cui il rapporto persegua essenzialmente una funzione di finanziamento a scopo di godimento, per un’utilizzazione del bene da parte del cessionario durante tutto il periodo della sua potenziale attitudine all’impiego economico, e, quindi, con una previsione dei canoni su base essenzialmente corrispettiva di tale godimento, la quale relega a pattuizione marginale ed accessoria l’eventualità del trasferimento alla scadenza dietro pagamento del prezzo d’opzione, dall’ipotesi in cui il rapporto stesso sia indirizzato anche a tale trasferimento, in quanto le parti, in relazione al permanere a detta scadenza di un apprezzabile valore residuo del bene, notevolmente superiore al prezzo d’opzione, assegnano a quei canoni pure la consistenza di corrispettivo del trasferimento medesimo. Nel primo caso, trattandosi di contratto ad esecuzione continuata o periodica, la risoluzione non incide retroattivamente sulle prestazioni già eseguite (art. 1458 primo comma cod. civ.), mentre, nel secondo caso, si verifica tale retroattività, con il consequenziale diritto delle parti di ottenere la restituzione di quanto prestato, con l’applicabilità, in via analogica, delle regole dettate dall’art. 1526 cod. civ. in materia di risoluzione della vendita con riserva di proprietà. Sulla base della riportata distinzione, ed in applicazione delle regole di cui agli artt. 72 e 73 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267, si deve ritenere, ove sopravvenga il fallimento dell’utilizzatore, ed in mancanza di subingresso della curatela nel rapporto, che alla società di “leasing” spetta oltre alla restituzione del bene in ogni caso, nel primo, un credito chirografario corrispondente all’entità dei canoni maturati alla data della dichiarazione di fallimento, restando esclusa ogni ulteriore ragione creditoria per il periodo successivo, fino alla effettiva restituzione del bene (stante la sospensione del rapporto per effetto della procedura concorsuale); nel secondo caso, invece, ferma rimanendo l’esclusione di ogni credito per il periodo posteriore alla apertura del fallimento, gli compete, oltre alla restituzione dei ratei pagati eventualmente, soltanto l’equo compenso contemplato dal citato art. 1526 cod. CIV..” (Cass. 13 dicembre 1989, n. 5573) “Nell’ambito del “leasing” finanziario sono individuabili due distinte figure contrattuali: nella prima, corrispondente a quella tradizionale, l’utilizzazione della “res” da parte del concessionario, dietro versamento dei canoni all’uopo previsti, si inquadra, secondo la volontà delle parti, in una funzione a scopo di finanziamento e godimento del bene per la durata del contratto, conforme alla potenzialità economica del bene stesso, onde i canoni costituiscono esclusivamente il corrispettivo di tale godimento; nella seconda, invece, le parti al momento della formazione del consenso prevedono che il bene, avuto riguardo alla sua natura, all’uso programmato ed alla durata del rapporto, è destinato a conservare, alla scadenza contrattuale, un valore residuo particolarmente apprezzabile per l’utilizzatore, in quanto notevolmente superiore al prezzo di opzione, sicché il trasferimento del bene all’utilizzatore non costituisce, come nel “leasing” tradizionale, un’eventualità del tutto marginale ed accessoria, ma rientra nella funzione dalle parti assegnata al contratto. Ne consegue che, mentre il “leasing” tradizionale si qualifica come contratto ad esecuzione continuata o periodica, come tale non soggetto, in sede di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore, alla retroattività dell’effetto risolutivo disposta in via generale dall’art. 1458, comma primo cod. civ., invece nell’altra figura la norma anzidetta si applica senza limitazione alcuna, onde ciascuna delle parti ottiene la restituzione di quanto prestato in base al contratto. In quest’ultima ipotesi, in mancanza di un’apposita disciplina normativa, il rapporto contrattuale “inter partes” è regolato dall’art. 1526 cod. civ., il quale è applicabile in via analogica, stante l’omogeneità degli interessi tutelati. (Cass. 2083/1992). “La risoluzione della locazione finanziaria, per inadempimento dell’utilizzatore, non si estende alle prestazioni già eseguite, in base alle previsioni dell’art. 1458 primo comma cod. civ. in tema di contratti ad esecuzione continuata e periodica ove si tratti di “leasing” cosiddetto di godimento, pattuito con funzione di finanziamento, rispetto a beni non idonei a conservare un apprezzabile valore residuale alla scadenza del rapporto (con consequenziale marginalità dell’eventuale opzione), e dietro canoni che configurano esclusivamente il corrispettivo dell’uso dei beni stessi. La risoluzione medesima, invece, si sottrae a dette previsioni, e resta soggetta all’applicazione in via analogica delle disposizioni fissate dall’art. 1526 cod. civ. con riguardo alla vendita con riserva della proprietà, ove si tratti di “leasing” cosiddetto traslativo, pattuito con riferimento a beni atti a conservare a quella scadenza un valore residuo superiore all’importo convenuto per l’opzione, e dietro canoni che scontano anche una quota del prezzo in previsione del successivo acquisto (rispetto a cui la concessione in godimento assume funzione strumentale). (Cass. Sez. Unite 65/1993)”. Ma soprattutto è importante la sentenza recentissima del 14 aprile 2000, n. 4855:” La risoluzione della locazione finanziaria per inadempimento dell’utilizzatore non si estende alle prestazioni già eseguite, in base alle previsioni dell’art. 1458, primo comma, cod. civ., in tema di contratti ad esecuzione continuata e periodica, ove si tratti di leasing cosiddetto di godimento, pattuito con funzione di finanziamento, rispetto a beni non idonei a conservare un apprezzabile valore residuale alla scadenza del rapporto, e dietro canoni che configurano esclusivamente il corrispettivo dell’uso dei beni stessi. La risoluzione medesima, invece, si sottrae a dette previsioni, e resta soggetta all’applicazione in via analogica delle disposizioni fissate dall’art. 1526 cod. civ. con riguardo alla vendita con riserva di proprietà, ove si tratti di leasing cosiddetto traslativo, pattuito con riferimento a beni atti a conservare a quella scadenza un valore residuo superiore all’importo convenuto per l’opzione, e dietro canoni che scontano anche una quota del prezzo in previsione del successivo acquisto. Non è, pertanto, la sola opzione di per sé indice sicuro della volontà delle parti di porre in essere un leasing traslativo, in quanto essa denota solo che le stesse hanno convenuto che il concedente rimanga vincolato alla propria proposta di vendita, mentre l’utilizzatore è libero di accettarla o meno, e, quindi, non ha espresso alcuna volontà in merito. Ai fini dell’accertamento della volontà delle parti in ordine al tipo di negozio posto in essere, se leasing traslativo o di godimento – accertamento che rientra nei compiti del giudice del merito, ed è incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato – occorre avere riguardo anche al fatto che le parti abbiano, o meno, incluso nei canoni periodici, oltre al corrispettivo del godimento del bene, anche quello del pagamento parzialmente anticipato del valore del bene al momento della scadenza del contratto.” Si è potuto constatare come anche la giurisprudenza applichi la disciplina prevista dall’art. 1458 ovvero quella dell’art. 1523 c.c. a seconda che si tratti di leasing di godimento ovvero di leasing traslativo. Abbiamo, poi, il cosiddetto Lease back: questa figura di leasing è la più atipica rispetto a quelle viste finora: essa viene utilizzata, di solito da un’impresa commerciale, per ottenere un finanziamento; in poche parole l’impresa cede un immobile ad un imprenditore finanziario che ne acquista la proprietà il quale a sua volte lo ricede in locazione finanziaria alla stessa parte venditrice che ha la facoltà di riacquistarlo dietro pagamento del prezzo da corrispondere al momento della scadenza del contratto. L’ultima forma di leasing è quello immobiliare. Tale figura rappresenta chiaramente un contratto con riserva di proprietà: esso è utilizzato solitamente per l’acquisto di beni immobili di grande valore economico (sede di un’impresa, magazzini, ecc.) e scopo dell’acquisto non è soltanto il suo utilizzo ma anche l’acquisto della proprietà e come tale soggiace alle regole dell’art. 1523 c.c.. L’Aquila 23 aprile 2002

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